sabato 12 settembre 2015

"In fuga... "

Quando li vedo marciare, carichi di borse, fagotti, i figli appesi al collo, "in fuga".. qualcosa mi si smuove dentro e, lenti ma inesorabili, riemergono i racconti sentiti nell'infanzia. La diversità era evidente, pur in quella Trieste che faceva parte dell'Impero e che sembrava disponibile ad accogliere chiunque avesse voglia di lavorare. C'erano i greci di religione ortodossa, neri di occhi e capelli, sempre sorridenti e pronti ad andar per mare, gli ebrei, gli italiani , gli slavi e gli austriaci. Si distinguevano prima che aprissero bocca, bastava un'occhiata. Gli ebrei erano i padroni del ghetto, "i strazzarioi", quelli che raccoglievano gli stracci, ma erano anche coloro che sedevano nei consigli di amministrazione delle grandi banche, delle assicurazioni e delle compagnie di navigazione. Sefarditi i primi, ashkenaziti i secondi. Gli slavi erano soprattutto sloveni: alti, biondi, grossi, occhi azzurri. Facevano i lavori più pesanti e umili. Le donne andavano a servizio nelle famiglie ricche e spesso oltre a occuparsi degli anziani e dei bambini si prendevano cura anche dei "padroni di casa", tanto da godere di una fama non meritata di femmine tentatrici. Ma c'erano anche i montenegrini, i croati, i macedoni e tutte le infinite etnie che compongono il puzzle bosniaco, con le loro lingue, religioni e usanze diverse. E gli austriaci? Beh gli austriaci erano i burocrati mandati da Vienna, con mobili Biedermeier, porcellane di Baviera e cristalleria di Boemia, a tenere sotto controllo una città in forte subbuglio,  agitata da un nazionalismo di cui si facevano portatori gli italiani. Sì, ma non tutti. In effetti -  mi  raccontava lo zio - erano gli italiani del popolino e la parte più intellettuale della borghesia ad avercela con Vienna, tanto che uno di loro, per spregio, aveva discusso la tesi a Vienna in latino, pur di non parlare il tedesco. La Trieste che contava, la Trieste ricca, mandava i figli nelle scuole tedesche, li laureava a Vienna, e plaudiva a Franz Josef, di cui imitava lo stile, la misura e l'ordine, decisamente teutonici, ma badava soprattutto a diventare ricca e a godersi la vita in quella città bella di una bellezza inconsapevole e quasi oltraggiosa. Quando i burocrati austriaci passeggiavano sui moli o sedevano nei caffè, stile viennese, gli occhialini sul naso, un'innata alterigia, la gente li salutava con deferenza e invidia. Sembravano i milanesi di oggi, ma zia Maria diceva sempre: "Sotto l'Austria xe magnava cinque volte al giorno... ", quando nella cucina profumata di basilico e rosmarino, m'imboccava tentando di infrangere il mio ostinato rifiuto del cibo con dolci slavi e racconti , mentre fuori la bora soffiava e il mare si faceva cupo... La famiglia della nonna Ina, nonna  da parte materna, non aveva abbandonato un'isola di pescatori per raggiungere Trieste, "in fuga" dalla fame e dalla miseria, come la famiglia paterna, ma era stata parte di un altro doloroso esodo: quello degli istriani dall'Istria. Io non sono mai stata nell'isola di Lesina, né all'interno dell'Istria, ma conosco tutto di quei luoghi: quei cieli di un azzurro diverso, quei paesi con la chiesa da una parte della piazza principale e con l'osteria dall'altra, quelle pinete, quel mare mi sono stati raccontati. 
Ammantati di rimpianto e di dolore....