venerdì 25 aprile 2014

L'orgoglio di allora, lo sdegno di oggi

25 aprile 1945. Era una giornata che preannunciava l'estate o l'aria sapeva ancora d'inverno, di neve non ancora sciolta? Con quale incredulo stupore si accoglievano la fine della guerra e la libertà? Di cosa sa la libertà? Si pensava al futuro, non più parola senza senso, ma promessa, opportunità da cogliere, diritto a essere, vivere. Si pensava ai figli, ai mariti, agli amici morti, al prezzo pagato per quella libertà così fragile, così difficile da definire, così nuova e sconosciuta?
Io appartengo alla generazione nata in guerra, cresciuta a latte avvelenato dalla paura delle madri, dal dolore, dalla fame, cresciuta a ninne nanne che si mescolavano al fragore delle bombe nei rifugi umidi, freddi, dove stretti gli uni agli altri si aspettava di morire o salvarsi senza poter fare nulla, attendendo soltanto che la Morte decidesse chi prendere, chi fare a pezzi in quelle notti da incubo.
Io non ricordo: ero troppo piccola.
Ho chiesto. Non ho avuto risposte. Dell'orrore non si riesce a parlare, il terrore non si vuole rievocare. Si cercava, si voleva dimenticare…
Mi piacerebbe sedermi in una vecchia osteria, un bicchiere di vino e un partigiano, carico di anni e di ricordi, davanti che mi raccontasse di quel giorno, di quei giorni.
Fuori le fanfare, le ghirlande, la retorica dei discorsi ufficiali.
Dentro il dialetto, la commozione, l'orgoglio di allora, lo sdegno di oggi…