giovedì 13 novembre 2014

La chiesa sappia tacere, capire... e rispettare.

Il dolore posso anche sopportarlo, ciò che non reggo è la sua inutilità. Si soffre molto per mettere al mondo un figlio, è un dolore che non si dimentica, come mai più si dimenticherà quel fagotto di carne arrossata, bagnata, le mani incredibilmente piccole, gli occhi che frugano ciechi in quel mondo sconosciuto, rumoroso, luminoso, al quale solamente un profumo noto, una voce conosciuta, il tepore di un abbraccio ci sottrarranno assicurandoci protezione... Quella (della nascita) non è solo un'epopea del dolore, è anche avventura al  limite del possibile che alimenterà storie, racconti, ricordi, ma il dolore che accompagna una malattia che non concede scampo, che umilia il carattere e squassa la carne, è esperienza di tutt'altro genere. Non c'è ricompensa, né medaglia al valore che ci possa o voglia premiare. All'ultima stazione arriviamo tutti, chi prima chi dopo; sappiamo di dover morire, ma essere strappati alla vita con la ferocia del dolore, no, non è destino di tutti. Qualcuno si ribella, sulle labbra gli fiorisce una parola: dignità. La morte è un insulto sempre, anche quando colpisce un anziano, dio ci salvi quando sbarra la strada a un giovane, a un bambino...
Si può scegliere la morte per salvare un altro essere umano, per conquistare in guerra una postazione. E' possibile offrirsi volontari per un'azione suicida. Perché non per salvare la propria dignità? Ed è proprio la dignità che quella giovane donna americana, affetta da un cancro all'ultimo stadio, ha voluto salvare. 
La chiesa sappia tacere, capire... e rispettare.

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