giovedì 20 febbraio 2014

Morgana

Si chiamava Miki, anche se pomposamente, al suo arrivo in casa,  pensai di chiamarla Morgana. Forse perché era bellissima, selvaggia, e, come tutti i gatti, misteriosa. Gli ultimi anni restammo solo noi, come due zitelle astiose, a litigare in continuazione in quella casa troppo ordinata, troppo grande e silenziosa. 
Quando mi vedeva accoccolarmi sul divano, accorreva e si sdraiava, pesante, sulle mie gambe che già non funzionavano. Allora le allungavo uno spintone e la  cacciavo. Dopo pochi secondi ritornava e si acciambellava su se stessa piantandomi addosso quei suoi occhi fermi, fissi, che sembravano di vetro lucido e cangiante. L'accarezzavo, pentita, e lei mi allungava un morso, ma calibrato,  per recuperare quella dignità che è tipica della sua specie.
Dividevamo la cioccolata, il gelato e il pollo arrosto. Anche la noia dei pomeriggi di pioggia e lo sfinimento che ci causava il caldo estivo, anche quello. Mi ridusse il divano a brandelli: il terzo in quindici anni. Provai di tutto per indurla a "farsi le unghie" altrove. Inutilmente. 
"Non sai educare nemmeno un gatto" diceva mia madre e, forse, aveva ragione.

Nessun commento:

Posta un commento