mercoledì 29 maggio 2013

Fanciulle in fiore

Abito a fiori
larga la gonna
quasi
di un fiore
la corolla
...
Danzava
...
Del suo destino
nulla sapeva
Lei sorrideva

Le vecchie case conservano... anche il rumore dei passi.

La svegliò un rumore secco, come di stoviglie rotte, cadute dalle mani di una serva indolente. Rabbrividendo - faceva molto freddo - scivolò fuori dalle coperte. Un lampo illuminò la stanza, mentre lei acccendeva il lume a petrolio. Si posò lo scialle di lana sulle spalle e andò alla finestra. Il vento aveva fatto cadere i vasi dei gerani e ora sofffiava sul paese, facendo dondolare insegne, sbattere imposte e innervosire animali e  bambini. La notte si accese di luci, animandosi di muggiti e di voci.
Sentì un rumore di passi provenire dall'interno dela casa. Passi lenti, pesanti.
"Dimenticata sei tu?"
"Sì, signo'... Che tempo, per fortuna i ragazzini non si sono svegliati..." borbottò la donna spalancando la finestra per chiudere le imposte che, solo accostate la sera, ora sbattevano rumorosamente e sembravano sul punto di volare via.
Un pianto infantile agggiunse una nota stizzita al rumore del vento.
"Nunziatina? Nunziatina?" chiamò Dimenticata, aggiungendo " è possibile che quella ragazzina dorma come un angioletto?"
"Vado io; è Giovanni che si è svegliato... "
Attraversò il salone e percorse il corridoio, in fretta, il lume che, ondeggiando, disegnava figure in movimento sui muri. Rabbrividì mentre la casa, intorno a lei, sembrava scricchiolare, investita dal vento e illuminata a tratti dalla luce dei lampi.
Il pianto infantile aumentava d'intensità. Elena, giunta in fondo al corridoio, aprì la porta  e si precipitò nella stanza; afferrato il bambino, lo avvolse nello scialle, iniziando a ninnarlo, mentre, stizzita, continuava a chiamare. "Sei tutto bagnato, ti sei pisciato addosso... Nunziatì... Ora ti cambiamo; dormi, dormi amore di mamma... Nunziatì... "
Nunziatina, il viso puntuto e spaventato, entrò finalmente nella stanza strillando: "Oh Santa Vergine Maria, che paura: ho sentito dei passi nel corridoio... "
" Ma ero io... chi volevi girasse per casa? In una notte come questa? Prendi dei panni asciutti: muoviti, il bambino è gelato, povera creatura, e pure spaventato... "
"Eh no, signo', io ho sentito dei passi anche l'altra notte... "
"Finiscila di dire sciocchezze... "
Il silenzio avvolse la casa. Improvvisamente cessò l'urlo del vento, tacque il gemito che aveva attraversato le stanze. Il lume si spense e il buio tinse d'inchiostro l'aria immobile.
"Oh Gesù, Giuseppe e Maria... " mormorò la ragazzina con la voce resa stridula dalla paura mentre un rumore di passi faceva scricchiolare le vecchie assi del pavimento.
"Dimenticata, sei tu?"
Silenzio, rotto solo da quel rumore di passi.
"Dimenticata, sei tu?"
Silenzio e... passi.
Sempre più vicini.

Madre e figlia

Mia madre è morta in primavera, sono già passti cinque anni. Se l'è presa la primavera così come soffia via le ultime foglie secche, quelle rintanate negli angoli. Mi aveva stretto la mano, quella mattina all'ospedale, le dita fredde, nodose dei vecchi. Mani imperiose, usate per pulire cucinare, riordinare. Poco adatte ad accarezzare. Lei era fatta così: l'affetto lo mostrava tenendoti in ordine - colletto inamidato, scarpe pulite con il bianchetto - con lo stesso zelo che metteva nel tenere pulita, immacolata, la nostra casa. Non con le smancerie, come me con quei figli sempre attaccati al collo, a succhiarne l'odore, a cogliere il tepore della loro pelle, a interrogarli per sapere, per risolvere ogni problema, a viziarli in cento modi.
Siamo sempre state diverse lei e io. 
Non pensavo mi sarebbe mancata. Tanto. Non credo di aver capito molto di lei e forse per questo, vuotandone la casa, ho inconsciamente cercato qualcosa, una traccia che ne incrinasse l'immagine stereotipata che di lei mi sono sempre portata dentro. Non avevo mai aperto i suoi cassetti, frugato tra le sue cose e, ora, entravo nella sua intimità. Era tutto in perfetto ordine, ma questo lo avevo previsto. 
La giornata di primavera inoltrata dava alla  stanza un chiarore che ne evidenziava tutti i particolari. Un velo impalpabile di polvere rendeva gli oggetti opachi e il silenzio esasperava il cigolio delle porte dell'armadio che si aprivano, il fruscio dei cassetti che s'incastravano per riprendere poi a scorrere chiudendosi con un tonfo secco. Pile di asciugamani, lenzuola e tovaglie. 
I ricordi mi inondavano, precisi nei particolari, puntigliosi.
La tovaglia rossa, quella natalizia... L'ultimo Natale festeggiato insieme: i bambini eccitati a scartare i regali e lei che osservava Antonio, mio marito, uscito dalla stanza per rispondere al telefonino. Forse l'aveva capito allora, o forse già prima da quella tristezza di donna non desiderata che m'incupiva lo sguardo, dal livore con cui mi rivolgevo al padre dei miei figli. A volte può bastare un particolare a inquadrare il tutto. A me Antonio aveva dovuto dirlo, urlarmelo in faccia, che non mi amava più. Che c'era un'altra donna no!, l'aveva negato e io, imbecille, gli avevo creduto. E me l'ero presa con mia madre per quel suo volgare, inopportuno "Chi non mangia ha già mangiato" che mi aveva fatto imbestialire.
"Un collega... Non mi danno pace nemmeno a Natale... " aveva borbottato, ma la telefonata aveva scacciato la noia dai suoi occhi che ora brillavano di quel fuoco che spesso anima lo sguardo dei meridionali e che mi aveva colpita in lui fin dal nostro primo incontro.
Mia madre, al momento del brindisi, aveva evitato di incrociare il suo bicchiere con quello del traditore e, abbassando le palpebre, aveva evitato il mio sguardo...
Cosa cercavo in quella casa? Cosa speravo di trovare?
Ogni oggetto che mi passava tra le mani accendeva un ricordo, evocava parole, sguardi, emozioni. A volte mormoravo una domanda e, assurdamente, tendevo l'orecchio in attesa della risposta, la sua risposta. Ma solo il silenzio rispondeva, rendendo tangibile l'assenza, facendomi affogare in quella solitudine di orfana.
Si pretende tanto da una madre, forse troppo.
E si capisce tardi, e poco.

Elena, Laura e il telefonino...

E piove... Cammino su un tappeto  di foglie che l'acqua riduce in poltiglia. Tra alcuni giorni andrò a votare per il ballottaggio. Non riesco a parlare di politica, mi assorda a sufficienza il mare di parole, ben più insistenti della pioggia, che mi inonda da settimane. Incapaci di offfrire soluzioni, i politici offrono parole... tante. Troppe? Come piazzisti, decisi a non darci tregua, reclamizzano sogni mentre noi, elettori tirati per la giacchetta, ci confrontiamo con un presente e un futuro da incubo. Sono andata a votare: io, da donna, il voto  lo vivo ancora come un diritto, più che come un dovere... ma il disincanto che provo mi ronza intorno come una zanzara estiva. Osservo i miei figli, ascolto i loro amici: la politica sembrano averla liquidata. La Politica liquidata!?
Perdere il posto di lavoro è un incubo, trovare lavoro? Un sogno.
Nel mezzo pc e telefonini di ultima generazione.
Ieri a Milano, all'ultimo (telefonino), un iPhone?, mia figlia ha chiesto: "La pizzeria più vicina?" "Lui" ha risposto, con voce da "lei", elencando tutta una serie di nomi e vie... Ignote? No problem! C'è il navigatore, anche se non si chiama "Ulisse"... Io, ad alta voce ho detto: "Oggi sono triste". "Ogni tanto piangere fa bene!" -  ha risposto. No, non mia figlia, il telefonino.
Lei mi ha abbracciata forte, ridendo con quella sua risata squillante...