martedì 24 dicembre 2013

UN NATALE SERENO A MARTINA, ALESSANDRO E JACOPO!

lunedì 23 dicembre 2013

All you need is love? Balle!

Caro Michele, mi permetto di darti del tu come compagna (suona strana oggi questa bellissima parola che evoca ricordi tanto gloriosi quanto dolorosi) che alla speranza di un mondo migliore ha associato la scelta dolce/amara di essere madre. Nel tuo libro Gli sdraiati tu liquidi l'infanzia di tuo figlio assimilando il tuo rapporto con lui, in quegli anni, al rapporto che lega il padrone di un cucciolo al suo cane. Amare un cucciolo, per di più adorante, non richiede particolari qualità. Lui , tuo figlio, è cresciuto nella tua casa, tra pappe e cacche, come si conviene a ogni bambino, e tu, fuori da quella casa, nel vasto mondo, hai lavorato al cambiamento, come si conviene a un uomo del tuo stampo, a un borghese di sinistra. La definizione non è mia, è tua.
Pure io ho lavorato, sono un'insegnante, e, come te, ho sognato e sperato, ma anche cercato, di cambiare il mondo.
All'università avevo studiato più Keynes che Marx, ma aveva provveduto mio padre, comunista e sindacalista, a colmare le lacune. Un papà progressista, ma non con le figlie. Strappargli il permesso per andare a ballare richiedeva una lotta all'ultimo sangue. Come ogni padrone che si rispetti, imponeva le sue condizioni. Era severissimo. La mia infanzia non è stata la tua, per me il cambiamento impellente, improrogabile doveva partire dalla famiglia, doveva riguardare il rapporto tra maschio e femmina. Sono una ribelle, ma prima di essere una lavoratrice ribelle, sono stata figlia, donna, madre, moglie... ribelle.
Letti i libri delle femministe americane, ignorati i consigli (pieni di buon senso) di mia madre, mi sposai, mi laureai, un figlio di nove mesi sulle ginocchia mentre battevo a macchina la tesi di laurea, trovai lavoro e... smisi di dormire. Passavo le notti in bianco, cantando nenie all'alieno che tenevo tra le braccia: un cucciolo tenerissimo, intelligentissimo... ma ringhioso. Anarchico, precoce, mi vampirizzava. Io, cresciuta tra regole e orari, educazione austro-ungarica, non mettevo paletti, non delimitavo i suoi spazi facendolo sentire sperso, spaventato: avrebbe voluto un giardinetto, non una sconfinata prateria. Il padre non se ne occupava, pappe e cacche non lo riguardavano. Quando, raramente, era a casa, anche se il bambino strillava durante la notte, lui riusciva a dormire, e poi io con le mie nenie lo facevo scivolare nel sonno. L'alieno per quattro anni dormì solamente di giorno: brevi sonnellini spezzati da risvegli urlanti. Il padre girava il mondo per lavoro. Lo stipendio consistente era il suo, il mio andava in baby sitter...  Mi avrebbe preferita a casa, a fare a moglie di rappresentanza. Il mio stipendio -  diceva - serviva soltanto a collocare il nostro reddito in uno scaglione più alto, facendoci pagare più imposte.
Tutta questo per farti notare, caro Michele, che un bambino non è  un cucciolo,  che va seguito, ascoltato, osservato da entrambi i genitori  e dal primo momento in cui apre gli occhi. Si deve o si dovrebbe creare un rapporto continuativo, fatto di attenzione, affetto e rispetto. Dove ho sbagliato io? Imponendo a mio figlio una libertà non dosata secondo i suoi crescenti bisogni di autonomia, ma a misura del "mio" famelico bisogno di libertà. La natura dà due genitori, la società, per tutta una serie di motivi, spesso, troppo spesso, li riduce a uno soltanto. Quattro occhi vedono più di due, il confronto tra genitori può ridurre il numero degli errori. Almeno credo.
Tu, Michele, una mattina, improvvisamente, hai scoperto che il cucciolo era diventato alto come te, dotato di parola... un adulto insomma, al quale fare, finalmente e saggiamente, da Padre. E il padre chi è? E' il dispensatore delle regole, quello che insegnerà al figlio a stare  al mondo, quel mondo che lui, il padre, conosce bene, anche se non è riuscito a renderlo migliore. Anzi, a dire la verità, è sì riuscito a cambiarlo, ma in peggio. O non è riuscito a evitare che altri lo peggiorassero.
L' infanzia di tuo figlio non sembra aver lasciato ricordi in te.
Dalla culla all'adolescenza il passo non è breve... Non dai notizie sullo scolaro delle elementari, sul ragazzino delle medie, sui compleanni, il primo giorno all'asilo, gli amichetti per casa, le favole lette insieme, le domeniche al cinema, il primo giorno con i pattini, gli scii, la bicicletta senza le rotelle... 
Ad un tratto, come un coniglio bianco dal cilindro di un prestigiatore, scaturisce un adolescente che mangia come un uomo, ingombra come un adulto, puzza come un adulto, ma non ragiona come un adulto, perché non sa cosa voglia dire essere  "grande".  Lui è solo alto e spallato, pesa come  te, ma non ha la tua esperienza, non ha esperienza, tout court. Se la dovrà fare, tra errori e patemi. Come te, come tutti.
E' questo il momento in cui scopri l'alieno, e vedere girare per casa un marziano non è facile. Capisco... Io, l'alieno l'avevo già conosciuto, avevo trovato il modo di comunicare, ero abituata alle sue metamorfosi ( alle loro metamorfosi perché di figli, in rapida successione ne avevo avuti altri due, facendo fuggire il marito da una casa che sapeva troppo di Nutella e borotalco per approdare a lidi più tranquilli e gratificanti), ai cambiamenti. In fondo non era quello che avevamo voluto? Cambiare tutto, e subito?
Ma non basta che le cose cambino, è importante la qualità del cambiamento.
"E' l'evoluzione della specie" dice il tuo ragazzo. E' il progresso tecnologico, è la politica marcia, è la scomparsa dei valori, è la globalizzazione, è la crisi mondiale, è il berlusconismo, è la brutta copia dell'America con la festa del Ringraziamento in cui i figli tornano a casa solamente per scannarsi con i genitori e ignorare il tacchino. E' questo mondo che non è più a nostra misura che ci è scoppiato sotto il culo, quasi a nostra insaputa - diciamo noi (vecchi). Però, confessa, vorresti anche aggiungere che lui, tuo figlio, ha accanto uno come te: progressista (pure tu?), intelligente, ironico, colto, giornalista, scrittore. Uno che ha la voglia e la capacità di accompagnarlo nella crescita, di indicargli la strada.
Ma quello (il figlio), non parla, non ascolta, nemmeno litiga con te: ti ignora e basta! Non ti ritene autorevole, anzi ti obbliga a essere autoritario! Uno come te che ha sempre privilegiato il dialogo, il confronto!  
Gli alieni non saremo per caso noi, Michele, noi che non li abbiamo respinti ma li abbiamo ingannati, o abbiamo permesso che altri li ingannassero?
Per te Michele, sarà guerra tra giovani e vecchi... E' evidente che i vecchi saranno sconfitti; basterà sospendere la somministrazione dei farmaci che li tengono in vita, lasciandoli morire di malattia e delusione. Quanta sofferenza costano i cambiamenti, quante correzioni di rotta prima di capire....
E pensare che il nostro inno era "All you need is love"...

domenica 15 dicembre 2013

Lettera a una figlia

Era una giornata d'inverno, limpida come solo a Trieste - grazie alle bora - le giornate possono essere terse. Prima di chiudermi la porta alle spalle, avevo abbracciato in fretta tua nonna e baciato i tuoi fratelli. Il medico aveva detto: "Non oltre il 15 dicembre... Sarebbe pericoloso per il feto e la madre (tu e io). Faremo un parto pilotato e tenteremo di evitare un cesareo..." L'ostetrica era stata più esplicita, "Non sarà una passeggiata" aveva detto. E non fu una passeggiata. Nascesti di sera, il cielo ormai nero come l'inchiostro, un persistente singhiozzo che ti tormentava. L'ostetrica, pensierosa, commentò: "Nascono quasi tutti così: sono i bambini del terremoto... ". Il terremoto del Friuli, quello del 6 maggio del settantasei, il giorno in cui il medico mi comunicò che sarei diventata madre per la terza volta. Ricordo tutto della tua  nascita: la paura, la gioia, il dolore. Tuo padre che dormiva sulla poltrona della mia camera, il giornale sportivo allargato sulle ginocchia, le parole infastidite del medico: "Vada a dormire fuori!" (Fu in quel momento che percepii la sua indifferenza, la fine del nostro rapporto?)
Sei nata bella, bellissima, il ritratto della bisnonna di cui porti il nome. Non è stato difficile crescerti... A te, e forse anche a me, il merito di aver infranto la catena dei rapporti difficili tra madre e figlia (poiché per generazioni abbiamo partorito solo figlie femmine). Affetto e rispetto tra noi, al di là degli inevitabili errori di ogni madre e delle scelte, non sempre condivise ma rispettate, di ogni figlia. Con te ho vissuto una maternità serena. La serenità non l'avevo mai conosciuta.
Sono passati in fretta questi anni, sono successe tante cose, abbiamo condiviso il dolce e l'amaro della vita... Tu sei cresciuta e io invecchiata. Tanto è cambiato intorno a noi, ci circonda un mondo difficile: tu hai ancora intatta la tua forza, io sto perdendo (ho già perso?) la mia.
Ricordi quel giorno all'ospedale? Non rammento l'ospedale, come le galere si assomigliano tutti e, ormai, sono frequenti i miei ricoveri e scarsa la mia memoria. Tu arrivasti, una ventata di vitalità e dolcezza, in quella stanza che sapeva di malattia e dolore. Via le scarpe! Ti allungasti sul letto accanto a me, la testa sulla mia spalla... Ti addormentasti tenendomi stretta. Entrarono un medico, un'infermiera... Io mi misi un dito sulla bocca.
Uscirono senza dire una parola.
In punta di piedi.
Tanti auguri, piccola.

Salsomaggiore, 15 dicembre 2013