lunedì 30 settembre 2013

Assolutamente da non perdere la puntata di mercoledì prossimo!

Su suggerimento del Presidente del Consiglio in carica... prego! Intanto i ministri del Pdl si dimettono per gioco e i diversamente abili, pardon, diversamente berlusconiani pigolano critiche imbarazzate all'indirizzo del Capo. Lo spettacolo continua. Assolutamente da non perdere la puntata di mercoledì prossimo!

mercoledì 25 settembre 2013

La guerra continua. Impari.

Trema, sembra sul punto di battere i denti. La fronte è segnata da alcuni  graffi. Ha una gamba ingessata, ma la sua gamba sarà libera tra poche settimane. Potrà tornate a camminare, a correre e a ballare... ma "lei" dovrà liberarsi da una "gabbia" ben più stretta, da una prigione che racchiude il suo cervello e la sua anima. E'  una donna "maltrattata", una delle tante costrette a vivere nel terrore. Ringrazia Dio per non essere stata uccisa: non ancora, nemmeno questa volta, ma quel suo sguardo da animale braccato fa affiorare un inferno, un inferno quotidiano. Lei non solo lo ha lasciato (il marito), ha anche ottenuto il divorzio, ha fatto - non sa più quante! - denunce  al Commissariato di zona... e ha atteso. E' vissuta aspettando di trovarselo di fronte, davanti al portone della sua casa o al mercato o all'uscita dal posto dove lavora, deciso a ucciderla. E' vissuta aspettando di morire, tremando, il cuore che impazziva per un passo alle sua spalle o accelerava al suono del campanello di casa, sobbalzando a ogni squillo del telefonino. Ora il marito è stato arrestato per tentato omicidio. Lo dice incredula, passandosi una mano sul volto, su quel volto che non  ha età... Mormora qualcosa, abbassa lo sguardo e scompare dallo schermo. Vissuta come un soldato in guerra, disarmata, si è salvata per puro caso, ma la guerra, impari, continua...

sabato 21 settembre 2013

TANTI AUGURI MARTINA!

       Sei già sveglia Martina? Non credo, alla tua età il sonno è letargo di marmotte, non ti sveglierebbero nemmeno le cannonate. Ma oggi è un giorno particolare: è il tuo compleanno; compi "ufficialmente" tredici anni.
Come tutti gli anziani, non ricordo nulla, o quasi, di ciò che ho fatto ieri, ma ricordo perfettamente il giorno della tua nascita... Ero venuta da Milano, dove abitavo, alla fine di agosto per assistere la mamma. Sapevamo che saresti nata con un parto cesareo e quella mattina io ero più terrorizzata del solito. Tua madre, com'è nel suo carattere, affrontava il parto con l'abituale coraggio. 
"E' una bellissima bambina" disse il medico, aggiungendo che era andato tutto bene. Respirai di sollievo e guardandoti mi resi conto che non era una frase di rito, ma la verità: avevi un faccino tondo, perfetto, gli occhi "tirati", i capelli già folti, scuri (strano vero?) e ti guardavi intorno Non piangevi (avresti dimostrato di lì a poco il tuo caratterino sconvolgendo la routine della nursery con i tuoi "ruggiti"), sorridevi: mi, ci (c'era anche tuo padre, naturalmente) sorridevi... Io, come al solito, frignavo... 
Poi, appena tua madre si riprese un po', andammo a Milano. Ricordo tanta stanchezza e tanto sonno (tu e tuo fratello non dormivate mai, perlomeno di notte), ma anche tanta allegria e tanta "vita": la zia Eghe, lo zio Ubaldo, papà che veniva a fine settimana, amici, amiche per casa a tutte le ore. Disordine e profumo di borotalco e Nutella. Di nuovo...
Come ci si sente a tredici anni Martina? Con una gran voglia di averne quindici o sedici? Di bruciare i tempi, di essere "grandi"? Io mi sentivo così... e anche un po' spaventata, frastornata davanti a tanti cambiamenti...
E tu?

Tutto passa...

Mi sveglia  il chiarore del giorno, un altro giorno senza il gusto amaro del caffè, senza l'odore acre dell' asfalto e della  polvere a  imbellettare Milano di grigiore.
Qui, al paese, l'aria sa di terra,  di gerani ormai sfioriti,  di erba arsa dalla caldana d'agosto: lo stesso odore dei panni stesi ad asciugare al sole
Guardo il cielo: nuvole. A nord, a sud, a oriente e a occidente, nuvole.
Tra poco l'acqua scorrerà, picchierà violenta, gorgoglierà rumorosa; in città sbocceranno, imbevute di smog, pozzanghere di veleni nere come l'inchiostro.
Un'altra estate affogherà nell'acqua, sbiadirà nella nebbia.
Vinto, come l'estate, da una nuova stagione, sbiadirà anche Berlusconi...

venerdì 20 settembre 2013

La politica e gli sguardi

Da qualche anno ho preso l'abitudine di guardare le persone, soprattutto quelle appena conosciute, negli occhi. Occhiate lunghe, dirette, indisponenti. Gli occhi dei giovani racchiudono sguardi che, almeno in un aspetto, si somigliano: non hanno storia. Non ancora. Dovranno incorniciarsi di rughe, borse e palpebre cascanti per conoscerla..
Mi ricordano i quaderni nuovi, tutti da scrivere, della mia infanzia, la curiosità e l'emozione del primo giorno di scuola.
L'incrocio di sguardi di due vecchi è uno scontro/incontro di esperienze, racchiude in sé segreti che non saranno mai raccontati, orgogli feriti, poteri perduti, rimpianti, ricordi... Sono musei a cielo aperto. 
Negli occhi dei giovani gli sguardi si accendono di curiosità, si colorano di desideri, di arroganti sicurezze, ma anche di timidezze, incertezze, paure... Mostrano, gli sguardi dei ragazzi, ciò che essi provano, ciò che sono; mentire nei vecchi sono, spesso, muro di cinta che si alza a protezione del proprio giardino. Nel linguaggio gestuale lo sguardo è re, monarca assoluto; uno sguardo non vale, a volte, più di mille parole?
C'è anche, sempre più frequente, lo sguardo "vuoto". E' quello del potere, quando è fine a se stesso Dà l'impressione di sbattere il muso contro una saracinesca abbassata, una porta sprangata, una finestra chiusa. Cosa nasconde - ci si chiede incontrandolo? Tutto o nulla? Certamente non emozioni, men  che meno passioni mi suggeriscono l'intuito e la saggezza (unico vezzo di un'anziana signora)...  L'ho trovato in Draghi, in Berlusconi, ancora incerto appare e scompare in Renzi. E' sguardo che il silenzio  delle parole può enfatizzare o un eccesso di parole tentare di sommergere, riuscendo in realtà soltanto ad animarlo o rianimarlo per qualche istante... A me rimanda l'idea di un'anima vuota, morta o, chissà, forse mai esistita.

mercoledì 11 settembre 2013

Claudia FA.

     Nonostante abbia letto molti commenti di persone affette dal Parkinson, le parole di Claudia mi hanno colpita in modo particolare perché raccontano una maniera "altra", diversa, di affrontare il Parkinson.
     Claudia è prima di tutto sincera, dannatamente e dolorosamente sincera. Con se stessa e, di conseguenza, con gli altri. La malattia toglie colore (e calore) alla vita, la ingrigisce, la limita, intacca i rapporti familiari, allontana gli amici (i "cosiddetti" sani). Sembra o sembrerebbe fare terra bruciata di ciò che ognuno di noi è stato. 
      La diagnosi devasta, fa crollare a terra anche i più forti; poi, però, traballando (chi più, chi meno) ci  si rialza e si reagisce. Come? Sostanzialmente in due modi: o negando la realtà, con l'assurda pretesa di vivere come "prima", o consentendo che la malattia ci sommerga, senza opporre resistenza. 
      Claudia, attraverso la metafora dei colori, non finge, chiudendo gli occhi, di continuare a vedere il rosso là dove il nero regna sovrano, ma nemmeno si rassegna all'oscurità, a quel nero devastante: combatte, pensa, riconquista brandelli di terreno perso, cerca contatti, alimenta confronti e sulla tavolozza della sua vita.... riappaiono i colori. Sfumati, sbiaditi, mischiati, ma di nuovo presenti.
     Il Parkinson non le ha "migliorato" la vita, è riuscito solo a fargliela amare di più, e a regalarle quello sguardo attento che permette a chi ha molto sofferto di cogliere con immediatezza la sofferenza altrui. Con quello stesso sguardo si è "vista" , a differenza di chi si è solo guardato, ha scisso i bisogni dai desideri, e ha ricominciato a vivere, con quella fatica che tutti noi malati conosciamo, ma anche con quel coraggio che non tutti possediamo.
     Il coraggio è qualità caratteriale, ci si nasce e in pillole non esiste. Purtroppo. Ma Claudia passa poi al "sociale": alle strutture che non esistono, alla solitudine del malato, alla mancanza di ascolto da parte dei medici, all'inesistenza di una collaborazione fattiva tra neurologo e medico di base... Insomma, a quella miriade di "bisogni" che fanno di noi parkinsoniani degli extraterrestri. Tutti pensiamo che si dovrebbe fare qualcosa, 
    Claudia non si limita a pensare: lei FA!
    E noi?