giovedì 25 aprile 2013

I partigiani non vogliono fiori...

Mi è difficile salutare questo 25 aprile... Farò, gambe permettendo, quel giro mio, intimo, personale, di lapide in lapide, qualcuna seminascosta sotto una cascata di edera, qualcuna ancora aggrappata a un muro pericolante, o infangata o sbiadita... Sono passati tanti anni, ma Gelido, Antenore, Desmo e Decimo, a differenza di quanto è avvenuto a me, non sono invecchiati. Hanno lo stesso sorriso, gli stessi occhi immortalati da quelle fotografie che madri, morose, sorelle fecero incorporare nelle lapidi che portano quelle due date  - nascita e morte - in cui è racchiuso il loro destino. Gelindo è morto a 18 anni, Desmo era "vecchio", ne aveva 34!  Antenore è stato ammazzato dieci giorni prima della Liberazione...
Non vogliono fiori, nemmeno una margherita raccolta in un campo, né commemorazioni ufficiali; non oggi, non in questo particolare 25 aprile. 
Cosa vuoi Gelindo? E voi: Antenore, Desmo,  Decimo...? Volete che non muoiano i vostri sogni  (quei sogni per i quali avete già dato le vostre vite), volete che continuino a camminare sulle nostre gambe, anche su quelle fragili e maldestre come le mie?
E allora ragazzi, ricominciamo a camminare: ne abbiamo di strada da fare... E chi può, cominci a correre.

domenica 21 aprile 2013

Adieu

Hanno tagliato anche gli alberi del giardino: quei due pini altissimi, maestosi che ingentilivano il condominio vecchiotto e un po' malconcio nel quale abito. Erano malati... Perché io non lo sono? Ma, soprattutto, toglievano spazio alle automobili da parcheggiare. Be', ora , quando apro le finestre il mio sguardo dilaga su un garage a cielo aperto; il giardino è diventato un cortile, un brutto cortile.
Interdetti alcuni merli zampettano sul tettuccio di una macchina, poi svolazzano  all'intorno. Credo stiano cercando i pini. Anche loro.
Adieu alla Miki, ai pini, al Pd.
Sono triste.

sabato 20 aprile 2013

Amarcord

Per te, Giuditta, sono soltanto luoghi, città, paesi, una cattedrale da vedere, un castello da visitare... per me sono lo scenario - nel ricordo prevalentemente azzurro - che ha fatto da sfondo a quella recita (un po' dramma, un po' commedia) che è stata la mia vita. Ubi ricorderà, non può non ricordare, Franci chissà, Eghe era piccolissima...
La scalinata bianca dell'università mi fa riprovare, e ritrovare, in un istante la paura degli esami, la voglia d'imparare, gli amori  e... la libertà. Il tutto racchiuso in quel breve lasso di tempo che chiamiamo giovinezza. Era bella? Non lo so, era una vita all'insegna dell'intensità, tutto mi si conficcava dentro, mi cambiava, trovava un posto nell'anima, lasciava un segno sulla pelle. A Duino si andava (con l'amica del cuore o il moroso) quando si faceva "fogone": sotto la gonna e la camicetta il bikini, i libri abbandonati  sul molo, e noi a rosolarci al sole e a nuotare. A casa, per giustificare l'abbronzatura sempre più intensa e i capelli sempre più biondi che la salsedine schiariva, si mentiva spudoratamente. "Tra una lezione e l'altra, mamma, ci sediamo sui gradini dell'università... La vista è bellissima e il sole abbronza". E' probabile che le madri fingessero di crederci... 
Quanto vento, quanto mare in quelle estati della mia giovinezza! Quanto azzurro! Finalmente quanta liberà: in parte conquistata, ma anche un po' rubata. Una sensazione - che presto si sarebbe rivelata iillusoria - di parità con i maschi. Eravamo poche e coccolatissime ragazze in una facoltà "maschile"; i professori erano severi, ma gli assistenti erano giovani e il giorno dell'esame, anche se avevamo passato la notte a studiare, eravamo belle, con quei capelli cotonati e le camicie impeccabili. Quale donna, a vent'anni, non lo è? E, ogni tanto, qualche assistente si distreva... 
Era iniziata la Contestazione, all'orizzonte si profilava il Sessantotto. Niente più gonne a ruota e scarpe con il tacco alto: jeans - stretti da non respirarci dentro - e Clark. Discussioni su tutto e con tutti: genitori, morosi, insegnanti. Studiavo Keynes, ma lessi (senza capirci molto) Marx... Ci sarebbe voluto tempo (parecchio) per rendermi conto che le parole di Marx, per essere capite, dovevano essere lette anche con l'anima. Nel marxismo astruso delle formule che illustravano la caduta tendenziale del tasso di profitto, non ritrovavo la fame, la disoccupazione, l'arroganza dei padroni che trasudavano dai racconti delle nonne... Solo quando colsi il nesso compresi, e scelsi da che parte stare. E fu, a differenza degli amori, per sempre, perché la solidarietà, il rispetto per l'altro, il bisogno di giustizia, la lealtà sono valori che attingono all'etica. Non passano, né vengono di moda.
A volte, soprattutto in questi giorni, mi chiedo, guardando i settantenni di oggi: "Ma sono i ventenni di allora?" Mi sembra impossibile. In quegli anni vissuti a Trieste, quella bora che non dava tregua sembrò avere spazzato via l'autoritarismo, le regole di una morale bigotta, i baroni universitari... quel mondo, quella cultura che a noi giovani apparivano stantii, decrepiti, ingessati furono archiviati, oggi qualcuno direbbe "rottamati". La società dei padri accusò il colpo, sembrò crollare sotto l'onda d'urto della contestazione dei figli, decisi a costruire  un futuro migliore. Questo? 
Ci sposavamo ancora in chiesa, per non deludere le madri, ma spesso con il "pancione". Venivano chiamati "matrimoni riparatori".C'è una pieve romanica, a Muggia, sulla collina che domina il mare: è piccolissima, ma ai matrimoni riparatori erano ammessi soltanto gli stretti familiari. Bastò a contenerci tutti: quel nipote - che avrebbe portato il nome del nonno morto durante la ritirata dal fronte russo - anche se occultato al momento delle nozze sotto il mio vestito "impero", operò il miracolo: la famiglia dello sposo (di destra) e quella della sposa (di sinistra) banchettarono e brindarono insieme. Soltanto quel giorno; poi ripresero le ostilità.
Fu un "inciucio", si direbbe oggi, anche se di poche ore. 
Basterebbe un matrimonio tra la figlia di Bersani (ammesso che ne abbia una) e uno dei figli di Berlusconi a consentire un accordo sul nome del presidente della Repubblica, o la nascita di un governo di larghe intese? Non credo. Mio padre non andò mai a cena dalla suocera, Bersani non ha mai messo piede ad Arcore. Renzi sì? E' giusto, è sbagliato? Forse bisognerebbe "fare pace con il passato" per avere un futuro? 
Hai visitato la Risiera di San Sabba, Giuditta? E la foiba di Basovizza, dove, nella feroce contabilità della guerra, i conti "quadrarono" con la vendetta? Dalle fotografie non direi. 
Hai visitato Redipuglia... Forse deve passare almeno un secolo perché la pace non sia solo una parola scritta sui trattati, perché si possa perdonare e cominciare a dimenticare. 
Dopo il Carso- è un peccato che tu non abbia potuto vederlo  a settembre, quando il sommacco diventa rosso rubino, giallo, arancio e rosso violaceo e i cespugli al tramonto sembrano fuochi di bivacco accesi ad illuminare  la sera che avanza sul mare, avete attraversato il Vallone, e intravisto il monte Calvario, il San Michele, il Sabotino... Finalmente gli alberi sono ricresciuti, i boschi sono di nuovo folti, ma tutti quei soldati, caduti come foglie sugli alberi d'autunno, obbligano al silenzio. Ancora, dopo tanto tempo. Non trovi, Giuditta?
Per oggi basta, i ricordi sono come i peperoni per lo stomaco. Un po' pesanti da digerire.
Grazie per le bellissime fotografie...

(continua... Forse)

martedì 16 aprile 2013

Paole, soltanto parole...

Ho parlato tanto... Troppo? Insegnante, madre e persona innamorata delle parole. Come madre ricordo bene le prime parole pronunciate dai miei figli: mamma dal primo, apa (acqua)  dalla figlia minore e Bao (Ubaldo) il nome del fratello maggiore dalla seconda figlia. Hanno scelto loro la prima parola da usare. La seconda deve essere stata pappa (o papà): una parola sola per soddisfare bisogni e desideri in un colpo solo. Cibo e affetto - cosa si può volere di più? Con Bao è arrrivata anche mamma, quasi contemporaneamente a pappa. Ho letto loro tante favole, filastrocche, i bellissimi libri di Rodari. Qualcosa ho inventato:  racconti e una terminologia su misura per soddisfare le prime curiosità legate agli organi sessuali e per dare loro quella che pomposamente veniva chiamata educazione sessuale (che io non avevo ricevuto). Ricordo il mio imbarazzo e il rifiuto di scegliere tra vocaboli che avevo trovato nei bagni della scuola e parole che avevo sentito solo sulle labbra dei medici. Volevo qualcosa di scherzoso e fantasioso.
Parole d'amore, parole di rabbia, parole per spiegare, consolare... raccontare. Risultato: una figlia che a quattro anni sapeva già leggere e (un po') scrivere, un figlio che a nove anni non aveva ancora imparato né a leggere, né a scrivere, e l'ultima - quella che ancora in famiglia chiamiamo "la piccola" -  muta. Come un pesce. Silenziosissima, leggeva soltanto le istruzioni allegate al ferro da stiro, al robot da cucina, alla cucitrice o al trapano elettrico (quelle istruzioni che io avevo fino a quel momento gettato immediatamente nella spazzatura, imprecando come uno scaricatore di porto al momento dell'uso). Quando un oggetto qualunque si rompeva, lei lo smontava e lo rimontava fino a quando non riusciva a individuare il guasto. Assisteva in silenzio alle discussioni tra noi tre, ma non resisteva sveglia più di qualche minuto... Poi, si addormentava: credo ci trovasse ripetitivi e logorroici.
A scuola, noi insegnanti, oltre al gesso e alla lavagna, cosa avevamo? La parola, sì la parola.
Quando i figli se ne andarono di casa, i nipoti mi fecero capire che preferivano televisione e computer, e gli alunni diventarono un ricordo, io acquistai un computer e aprii un blog sul quale ho scritto tanto... Troppo?
Una mattina, dopo avere scritto l'ennesimo post, l'ho riletto e ho pensato: "A chi mai potrebbe interessare? Non serve elencare le malefatte di Berlusconi, se scendesse in piazza con un fucile mitragliatore e sparasse sulla folla, molti, troppi italiani continuerebbero a votarlo. E' tanto simpatico!" Si profila all'orizzonte, nel mare agitato della politica, qualcosa, qualcosa dai contorni ancora incerti, ma cosa? Oh Cristo, un inciucio... Niente di nuovo sul fronte occidentale avrebbe detto Remarque. Ah, dimenticavo Grillo, Renzi, i "tecnici" e i "saggi", fulgidi esempi del "nuovo che avanza".
Forse abbiamo abusato delle parole, forse le abbiamo usate con leggerezza... Forse è arrivato il momento di tacere...

lunedì 15 aprile 2013

Correre è volare...

Che orrore! Chi sarà stato questa volta a fermare, con le bombe, uomini, donne  e ragazzi in corsa , in una giornata di primavera, tra i grattacieli di Boston? "Parecchi tra i feriti hanno subito l'amputazione degli arti inferiori... " comunica lo speaker. Erano usciti di casa - o dagli alberghi - in tuta, i muscoli guizzanti sotto la pellle, l'asfalto che si snodava, grigio, sotto i loro piedi... Alle maratone si corre come si può, tutti insieme; chi non ce la fa più rallenta senza disonore e senza racore (per i migliori), recupera il respiro e...  chiacchiera con chi gli sta accanto, scambiando sorrisi e battute.  Gli atleti "veri" sono davanti, impegnati a macinare chilometri come fossero centimetri nello sforzo di vincere. 
La corsa cos'è se non il volo che è concesso a noi, bipedi umani? 
Chi ha confezionato quelle maledette bombe ha interrotto quel volo...  per molti e per sempre.
Perché?

domenica 7 aprile 2013

Prima che non sia la speranza l'ultima a morire, ma il morire l'ultima speranza....

Mia figlia, in lacrime, mi fissava, ripetendo quella domanda: "Se facessimo il gioco della torre, chi scaraventeresti nel vuoto, chi sceglieresti? Chi tra il tuo compagno e me? Chi, chi... mamma?" Avevo presentato ai miei tre figli l'uomo che frequentavo ormai da un anno, dopo aver preparato la cena e indossato il vestito più bello. Nella casa insolitamente ordinata che sapeva di nutella e borotalco, con lo stomaco strizzato dall'ansia, correvo su e giù dalla cucina con i piatti tra le mani e quella risatina un po' stridula sulle labbra. Dentro, quella preghiera "Signore, fa' che si piacciano", mi torceva le budella.
Li avevo guardati - i miei figli e il mio uomo - mangiare, parlarsi, sorridersi, provando la sensazione di essere una famiglia: di nuovo, dopo tanti anni. La figlia più piccola e il figlio non avevano dato segno di particolare disagio; anche lui -  pronto ad assumere il ruolo istituzionale di "compagno", emergendo dalla nebbia fumosa che fino a quel momento lo aveva avvolto permettendo a tutti, ipocritamente, di qualificarlo solo come "amico" (della madre) - quella sera sembrava essere all'altezza della situazione
Poi una frase buttata là, un secondo di silenzio di troppo, insicurezze affettive che  prendono il sopravvento e "l'amico" della madre diventa "nemico" della figlia. L'imbarazzo era calato sulla stanza come un falco, lui aveva tagliato la classica corda senza bere nemmeno il caffè, e lei, mia figlia, mi si era avventata contro: alla ricerca di rassicurazioni, ponendomi davanti a una scelta che non volevo, non potevo fare, anche perché non era necessaria.
"Da quella torre mi getterei io, se fossi costretta a scegliere!" avevo mormorato, vinta. Definitivamente.
E' necessario fermarsi, puntare i piedi, prendere decisioni, PRIMA... prima che la strada diventi una strettoia, prima che le scelte diventino ricatti.. Anche il fattore tempo incide: un farmaco efficace somministrato in ritardo non salva un paziente ormai al limite delle forze. 
All'Ilva di Taranto per troppo tempo la normativa a tutela dell'ambiente è stata ignorata. Ora, che nemmeno i morti possono essere sotterrati senza rischio (smuovere la terra equivale a rimestare tra i veleni, poiché terra, aria, acqua, tutto è contaminato, avvelenato), quale scelta rimane ai vivi? Solo l'alternativa tra morire di cancro o morire di fame. Mia nonna avrebbe sentenziato: "O è zuppa o pan bagnato!"
E Bersani? Ora sulla torre c'è anche lui: la sua alternativa è tra un governo di larghe intese (con Berlusconi) o nuove elezioni (con una legge elettorale inqualificabile e un Paese sull'orlo dell'abisso). Quel tic nervoso  che spesso gli percorre il viso bonario di emiliano non lascia dubbi. Sa che sarà lui a volare giù dalla torre: responsabile soprattutto di un'opposizione debole, di più di un errore, ma non di aver portato il Paese allo sfascio. Tutt'al più corresponsabile. La classe operaia distrutta, il tessuto produttivo ridotto a una tela di ragno, i politici meno compromessi fatti a pezzi (anche dal fuoco amico)... mentre sulla torre i veri responsabili del disastro brindano a... a che cosa? Ma alla nascita del governo di larghe(o saranno strette, strettissime?) intese, insomma al solito inciucio.  
L'alternativa che resta al Paese è la beceraggine di Grillo e dei suoi adepti?
La Chiesa, vecchia di duemila anni di esercizio del potere, sussurra - anzi grida - la parola speranza. Ai giovani dice:"Non permettete che vi derubino anche della speranza!". 
E io - facendo miei le parole di qualche saggio  - aggiungo: "Prima che non sia la speranza l'ultima a morire, ma il morire l'ultima speranza".