domenica 29 aprile 2012

Fantomatici obiettivi


Mario Monti, tra un pasticcino e un sorso, appena un sorso, di ottimo vino bianco servito freddo naturalmente, di cosa avrà parlato, all’ultimo incontro del Bilderberg? Quale sarà stato “il punto caldo” all’ordine del giorno? Di questo gruppo, formato dagli uomini più potenti del mondo, che si riunisce una volta all’anno per discute e  confrontarsi sui grandi temi della pace e prosperità mondiali, la stampa non parla. Si sa poco, si fantastica parecchio,  ma una cosa si può affermare, senza paura di essere smentiti: qualsiasi decisione sia scaturita da questi incontri, qualunque tattica sia stata adottata, qualsivoglia strategia perseguita… i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il problema che si pone è: hanno conseguito gli obiettivi che si erano prefissati oppure no?
Nel primo caso ci sarebbe da indagare su questi fantomatici obiettivi, sintetizzabili in vantaggi enormi per pochi e una sorta di schiavitù economico/finanziaria per molti. Troppi, direi. Nel secondo caso, se questa crisi che ci sta scoppiando tra le mani non è frutto di una scelta ben precisa, ma è il risultato di una serie di molteplici errori… Be’, allora, sarebbero (tecnici, politici e ‘consiglieri’) da prendere a calci, mandandoli a svernare lontano, il più lontano possibile, dove potrebbero, senza fare danni, discettare tutt’al più sul gioco delle bocce.

Fughe...

I ragazzi mi telefonano: hanno voci tese, preoccupate... "Qui è una guerra, mamma, c'è un clima d'incertezza totale, si naviga a vista nella nebbia, senza radar... ". Vivono lontani; noi siamo una famiglia sparpagliata, c'incrociamo su facebook, a volte scherziamo, a volte un "ciao" e via. Scompaiono dal monitor, mai dalla mia vita.
Questa mattina Giuditta, la morosa di mio figlio, mi ha regalato un angolo di mare... il mio mare: quello che vedevo dal terrazzo di casa, a Trieste. La mia famiglia, dalla parte materna, è originaria di Venezia. L'acqua fa parte di me, devono esserci state notti dimenticate passate a nuotare sul fondo, sirena tra le sirene, giorni persi a percorrere la geometria dei canali, ritrovando piazzette e gatti acciambellati, subito amici. Tutto racchiuso nei cromosomi. Poi il mare dell'Istria e le isole di roccia bianca, battute dal vento. La lingua slava, aspra di consonanti, e il dialetto veneziano - parole morbide come velluto - che avrebbero diviso le nonne, innalzando confini di filo spinato, alimentando rancori mai sopiti.
Famiglie in fuga (quelle di mio padre e mia madre), dalla bianca isola di roccia e dall'Istria invasa dalle truppe titine... Alla ricerca di un altro mare, sarebbero approdati a Trieste, la città dalle sette bandiere che, agli inizi del Novecento, faceva ancora parte dell'Impero austro-ungarico. Città che accoglieva tutti, accolse anche noi.
Ho scelto di essere triestina, anche se in realtà non ho un'appartenenza. In me tutto cozza, nulla si è amalgamato, fuso. Mi arrabbio e amo in dialetto, scrivo in un italiano dove abbondano i "triestinismi", ho vagato di città in città, ho cambiato casa decine di volte... Ora mi sono fermata, ma soltanto perché una malattia ( la vita quando vuole sa essere bastarda) mi inchioda ai percorsi brevi e fissi della mia casa.
Mi manca il mare: l'odore, il suono, lo stridio dei gabbiani in picchiata sulle onde. Anche se ho dipinto la casa d'azzurro, non basta!