mercoledì 22 agosto 2012

Camminare


Ho ripreso a camminare: so che è quasi un miracolo. Mi sveglio presto, prestissimo... frutta e pane nella borsa, acqua, medicine, e... via! Non ho una meta precisa, cammino e penso. E guardo.
Un cenno al proprietario del cane che mi sfiora - ormai sono giorni che ci incrociamo - un saluto al giornalaio, mio ex alunno, tra i primi a sollevare la serranda. La stanchezza comincia a farsi sentire, ma io sono decisa a ignorarla. Potrei sedermi su una panchina, un muretto, un gradino, e leggere il giornale, ma io voglio camminare, voglio camminare...
Ricordo mio figlio: a undici mesi decise che era arrivato il momento di camminare, ricordo il sorriso che mi rivolse, incredulo quando, abbandonata la poltrona a cui si era appoggiato, mosse il primo passo traballando incerto come un equilibrista sulla corda...
"Ha bisogno di aiuto, signora?"
"Ma se vado come un treno... " rispondo.
"Ah, scusi... " borbotta lo sconosciuto che mi si è parato davanti e, ora, mi guarda, interrogativo.
Devo sembrargli pazza oltre che handicappata e, invece, sono soltanto felice.

domenica 12 agosto 2012

Donne e democrazia

Non avrei mai immaginato che una democrazia potesse continuare ad apparire tale, conservando ben più di una parvenza di legalità normativa e, contemporaneamente, sbriciolarsi.
Morire di fame o morire di cancro... Questa è l'alternativa offerta agli operai dell'Ilva? Pagare il "pizzo" alla mafia o essere ammazzati? Restare in Italia, disoccupati a vita, oppure fare la valigia ed emigrare? Altra alternativa concessa ai cittadini, quelli più giovani e "dotati", mentre a quelli "datati" si offre la catena (di montaggio)... a vita. Come, neanche più, ai cani.
La democrazia, quella sintesi di libertà, eguaglianza e giustizia che questa parola riassume, già corrosa e indebolita, rischia veramente di diventare un contenitore vuoto, un alibi per delinquere, un concetto senza spessore, privo di significato. 
L'unica risposta non è l'antipolitica, ma la politica quella seria, serissima, e l'esercizio del voto, dopo aver ripristinato una corretta rappresentatività politica.
I miei figli parlano di diritti, ingiustizie, problemi, ma poco, pochissimo, di politica. A causa mia? Non lo so, ma mi sembra un atteggiamento sbagliato, comprensibile ma sbagliato. Ignorare la politica significa lasciarla decidere agli altri, demandare senza scegliere né controllare, tanto "i politici sono tutti ladri".
Soprattutto voi, ragazze, che giustamente protestate perché siete ancora (e pesantemente) discriminate sul luogo di lavoro (ed è soltanto la punta dell'iceberg), non dimenticate che il voto concesso alle donne è  conquista  - se vogliamo - recente: le vostre nonne andarono a votare per la prima volta nel 1946! Non gettate alle ortiche una conquista così importante: senza politica non può esserci democrazia e senza democrazia la libertà... ve la scordate. Per sempre!

venerdì 3 agosto 2012

Quella casa...

Non so perché, nel dormiveglia del mattino, la memoria non mi ha portato il pensiero, ripetitivo e angosciante, dello spread che sale erodendo sicurezze ritenute acquisite, e nemmeno la rabbia, mista a impotenza, per la vergognosa situazione politica del  Paese, ma mi ha regalato - perché è stato un regalo - il ricordo di "quella" casa... affacciata sui tetti, la grande terrazza macchiata dal rosso dei gerani, le rondini ubriache di sole che sfrecciavano nere nel cielo estivo, "lui" che spellava i peperoni e cucinava gli spaghetti, in silenzio per non disturbarmi, rispettoso di quella che sapeva essere la mia isola felice: la lettura. Aveva capito che anche quella casa, sospesa tra cielo e terra, era un' isola (l'isola che non c'è), anche se io ne coglievo tutta la precarietà, ma senza angoscia, rassegnata all'idea di perderla, vederla svanire in qualunque momento come una illusione ottica o un'allucinazione. Troppo diversi eravamo, noi due, e troppo, entrambi, gelosi della nostra libertà.
Troppa "famiglia" tra noi: la sua, che mal tollerava una divorziata con tre figli, la mia che non  aveva digerito ancora, né mai lo avrebbe fatto, la separazione e che lo considerava, lo considerò sempre un estraneo: troppo allegro, troppo pazzo per prendersi cura di me e di quei ragazzini forsennatamente ostili  a chiunque si avvicinasse alla loro madre. Cosa temevano, che amandolo, amassi meno loro? Perché la felicità fa paura? Ho sempre saputo che avrebbero vinto. Loro.
Abbiamo avuto un solo spazio "nostro", anche se per poche ore rubate a vite frenetiche: quella casa. Piena di libri, di musica, di parole, rabbiose e tenere, risate e pianti, giuramenti non mantenuti, notti passate ad aspettare il mattino, abbracciati, il primo caffè condiviso, prima di riprendere la corsa in quella Milano caotica e rumorosa che entrambi amavamo e odiavamo. Quella casa in cui il cielo era così vicino da dare l'illusione di poterlo toccare, anche se soltanto con un dito.