martedì 29 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°12 - Parte seconda)

Il marito della contadina, sentendo voci sconosciute,  si era affacciato alla porta della stalla. Diffidente, stava osservando i due uomini ai quali, poi, ripulendosi le mani nel grembiule, si avvicinò, lento.
"Da dove venite?"
"Dall'Italia" rispose il più giovane dei due, sollevando lo sguardo verso quella montagna d'uomo che lo sovrastava letteralmente.
"Cosa siete venuti a fare in Svizzera?" 
"A fare? A cercare, vorrete dire... A cercare ciò di cui tutti abbiamo bisogno. Lavoro, cerchiamo lavoro... "
Lo svizzero assunse un'aria un po' più rilassata, anche se non appariva troppo convinto. Si grattò il mento borbottando: "Ah capisco, ma anche qui non è facile... Io faccio tutto da solo e non ho bisogno di nessuno, mio figlio, anche se è poco  più di un ragazzino, è già in grado di darmi una mano... "
"Ah capisco, be', potremmo proseguire per Lugano; lì vivono lo zio e un cugino del mio amico - e così dicendo il Professore cercò con lo sguardo il compagno che gli stava accanto in silenzio - i quali, forse, potrebbero darci una mano, almeno speriamo! Voi potete darci un passaggio sul carro? Vostra moglie ci ha detto che il casaro al quale portate il latte... "
"Sì, sì, ho capito: se è solo questo che vi serve, non ci sono problemi; all'incrocio, dove vi posso portare senza problemi perché è la strada che faccio tutte le mattine, vi farò scendere, una scarpinata di un'oretta e sarete alla stazione. Poi andrete dove voi, o il diavolo, deciderà di portarvi... "
I due che gli stavano davanti sorrisero, ringraziando, ma l'uomo concluse dicendo: "Il riposino ve lo scordate, io parto subito: non ho tempo da perdere" ed era evidente il suo desiderio di liberarsi il più rapidamente possibile dalla presenza di quei due estranei che, come giustamente  sospettava, dovevano aver passato la frontiera clandestinamente, provenendo dall'Italia. Non erano i primi  e non sarebbero stati gli ultimi che avrebbe visto sbucare dal sentiero come fantasmi, di primo mattino e di sera, con quelle facce stanche e nello sguardo la paura e l'audacia, una strana mescolanza di sentimenti che caratterizzava quei fuggitivi... Perché  erano dei fuggitivi, gente che scappava dall'Italia, da quel capo, vestito di nero, dalle parate minacciose... Oh lui ne sapeva poco di politica - e ancora meno avrebbe voluto saperne - ma di Mussolini parlavano tutti i giornali, anche se lui non li leggeva. Sentiva soltanto le chiacchiere all'osteria, ma non era uno stupido - pensò, salendo sul carro, mentre i due vi saltavano sopra, avvolgendosi stretti nel mantello.
Dopo pochi minuti erano già addormentati, cullati dal suo fischiettare sommesso e dal canto degli uccelli che il sole che si alzava alto nel cielo, intiepidendo l'aria della vallata, buttava fuori dai nidi.

(continua... )

sabato 26 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°11 - Parte seconda)

Tutto era filato liscio: la macchina era stata nascosta nel fienile di Massimo, uno dei loro sul quale sapevano di poter contare; un caffè, finalmente caldo, per rinvigorli e poi, gambe in spalla, i fuggitivi avevano scarpinato a lungo seguendo viottoli che li avevano portati a ridosso del confine con la Svizzera.
"Questo breve tratto è 'terra di nessuno'. Correte, pensate soltanto a correre... " Si erano abbracciati: il Professore che si perdeva, piccolo e nero, contro il torace ampio e muscoloso del compagno; ancora una manata sulle spalle e via! Via di corsa, sentendo l'erba crepitare sotto le scarpe e il sangue rombare nelle orecchie... 
Poi, non avrebbero saputo dire quando, si erano fermati, dopo essersi intrufolati strisciando pancia a terra attraverso quel varco che gli Svizzeri fingevano di non vedere. Avevano puntato gli occhi sul bosco che si ergeva compatto alle loro spalle, avevano fatto ancora un cenno con la mano e poi, la tensione che si allentava, avevano rallentato il passo, respirando quell'aria che sembrava entrare più leggera nei polmoni. 
Erano salvi! Erano liberi!
Passarono davanti a una cascina: una donna stendeva ad asciugare dei panni bagnati. Canticchiava a mezza voce. Dalla stalla giungeva un battere di zoccoli... Si fermarono, scambiandosi uno sguardo: la normalità esisteva ancora, e il paesaggio ordinato che la valle svelava stava lì a sbandierarla in tutta la sua pacata concretezza.
"Scusi, la stazione ferroviaria più vicina?" 
La donna sorrise rispondendo: "E' a qualche chilometri da qui... "
"Possiamo riposarci un momento?" domandò il Professore, crollando a sedere sul ciglio della strada.
"Dobbiamo muoverci... " sussurrò l'altro.
"Siete fortunati, mio marito porterà, tra poco, il  latte al casaro; a meno di due chilometri dal  caseificio c'è la stazione. La volete una tazza di latte? E' ancora caldo: appena munto!"
"Possiamo sdraiarci un momento nel fienile?"
"Se volete entrare in casa... "rispose la contadina.
"Ci basta il fienile e, quanto al latte, lo accettiamo volentieri".
Nonostante l'aria stremata, l'uomo più giovane e minuto, l'ultimo che aveva parlato, s'imponeva. Calmo e sicuro aveva quello sguardo che a volte hanno i bambini, ma soltanto quelli cresciuti troppo in fretta e depredati dell'infanzia.

(continua... )

venerdì 25 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°10 - Parte seconda)

Gualtiero allungò un braccio cercando il calore del corpo della moglie, meccanicamente, in un gesto che gli era abituale. Ma lei non c'era, si era già alzata e, attenta a non svegliarlo, armeggiava in cucina.
La stanza, in ordine, sembrava quella di sempre, la luce che filtrava dalle imposte socchiuse era forse più smorzata, meno brillante, ma il suo cambiamento annunciava soltanto l'arrivo dell'autunno e lui lo coglieva con l'immediatezza con cui i contadini avvertono ogni minimo cambiamento nella natura che li circonda...
Si alzò, si lavò rabbrividendo sotto il getto fresco dell'acqua, si sbarbò e andò in cucina; sul tavolo la tazzina di caffè, scuro, amaro come piaceva  a lui, il bricco del latte e i biscotti... Marilena gli voltava le spalle, trafficando attorno al fornello. Silenziosa.
Anche lui taceva, inzuppando i biscotti nel latte, dopo aver ingoiato il caffè in un sorso solo, una smorfia sulla faccia quasi avesse trangugiato una medicina...
"Bene, io vado... " e, dopo una lieve esitazione "ci vediamo alla solita ora" concluse, uscendo dalla cucina.
Lei non rispose, soltanto le sue spalle, quelle sue spalle esili che lui aveva tante volte circondato con un braccio, proteggendole, tradirono un sussulto, un tremore di uccello spaventato.
Uscì dalla cucina, dopo aver lasciato scorrere lo sguardo sulla credenza, le tendine a quadretti, l'orologio a muro, dipinto di bianco, la vestaglia azzurra che avvolgeva Marilena, la finestra che lasciava intuire il cielo che schiariva di minuto in minuto.
Mentre si chiudeva la porta d'ingresso alle spalle, si voltò e infilò la chiave nella serratura, contrariamente a quanto abitualmente era solito fare. La imprigiono in gabbia, come una gallina nel pollaio o una vitella nella stalla - pensò, ma il suo viso, rigido e duro, non tradiva emozioni mentre scendeva le scale, impettito come sempre, rispondendo al saluto del portinaio, non prima di averlo avvolto in uno di quegli sguardi attenti, indagatori, utili a fargli capire se qualcosa del litigio violento della sera prima fosse filtrato... Se qualcuno avesse udito e magari commentato, se la rispettabilità piccolo-borghese, così duramente conquistata, fosse stata anche se solo di un soffio incrinata...
No!, il portinaio, che aveva il sorriso un po' falso di sempre, disse: "Sta arrivando l'autunno", così come aveva sempre commentato l'arrivo delle altre stagioni... Era tutto sotto controllo, poteva stare tranquillo - pensò, rispondendo: "Quest'anno è in anticipo, ma le stagioni, come il resto, stanno cambiando!"
Poi, lo accolse la strada con il suo abituale odore di polvere.

(continua... )

giovedì 24 novembre 2011

Un paron de maniera


Sarà un Nadal  ben triste
per quei settantamila, 
e meno mal che 'l'iera
un paron de maniera, 
col maion
girocolo 
e gnanca la cravata...
E tuti a dir che bravo
'borghesia illuminata'
...
ma noi veci savevimo
che manco un faro basta
a s'ciarirghe le idee,
perché per i paroni 
ghe vol solo i bastoni.

Le babe che le pianzi, 
i pici senza zoghi, 
i masci in osteria,
che, tanto, la Rosina
no la xe  scandalizza
a sentir 'na bestemia
che 'l vento porta via
...
'Cristo no xe paron, 
Cristo capissi, speta'
la pensa
'ntanto che se ghe spegni,
tra i dedi,
sfregolando,
l'ultima spagnoleta.

lunedì 21 novembre 2011

Ho visto rosso, come i tori.

Pardon. Ieri sera ho visto rosso, come i tori, ma ora andiamoci piano ed elenchiamo i fatti.
Il dottor Marchionne, come ogni manager dovrebbe fare, ha trovato la via per ridurre i costi all'osso e massimizzare i profitti. Qualunque costo e, a maggior  ragione, quello del personale. Si è mosso stabilendo regole aventi come obiettivo l'aumento della produttività del lavoro. Se queste nuove regole saranno ora estese a tutti i lavoratori Fiat, rendendone più dura la già grama vita, non sono affari suoi.  Ha detto "ciao" a Confindustria, ha fatto il gesto dell'ombrello alla Fiom e alla Cgil - gli altri sindacati avevano firmato l'accordo di Pomilgiano e Mirafiori - e ha preso l'aereo per l'America.
Questo è un manager coi fiocchi, un tecnico, un esperto!
Se il governo Monti non dovesse farcela, potremmo sempre ricorrere a lui. Teniamolo presente. E gli altri imprenditori cosa faranno? Resteranno a guardare? O allungheranno la zampetta per adeguarsi?
Non mi lascia tranquilla che il dottor Marchionne sia stato additato, come esempio imprenditoriale da seguire, dall'attuale presidente Mario Monti... che però, con i toni pacati che - giustamente - piacciono a tutti noi, ha chiesto anche coesione sociale e promesso equità.
L'altro fatto che contraddice le parole pronunciate è la scelta di una patrimoniale da applicare subito - per equità (?)  a tutti -  al posto dell'Ici, abolita da Berlusconi, ma recuperata dai Comuni con l'immediato aumento dell'addizionale Irpef comunale, che resterà comunque in vigore, presumo per assicurare la coesione: tra tecnici e politici? Ma noi cittadini l'avevamo inteso in termini diversi il concetto di coesione.
Cambierà nome, però, e "peso", poiché la rendita catastale su cui si basa sarà rivalutata e quindi la renderà più onerosa. Noi cittadini la patrimoniale sulla casa (anche la prima) la pagheremo subito, la pagheremo di più, pagheremo anche l'addizionale Irpef... pagheremo imposte più alte all'atto della cessione di un immobile. Intanto commercialisti astuti, spulciando nel groviglio di norme tributarie contraddittorie e complesse, troveranno la via per eludere la tassazione: immobili non censiti (al Sud uno su due!), intestazione a società di comodo con sede in luoghi fantasiosi e... via dicendo. Per gli immobiliaristi, quelli che possono concedersi commercialisti di chiara fama. Come Tremonti.
Si parla anche di un ulteriore aumento dell'Iva: Così si fa cassa subito, ma aumentando i prezzi e di nuovo l'imposizione fiscale. Ma non per gli evasori... Come sempre?
Le chiamerebbe misure per lo sviluppo queste, dottor Monti? E lei, dottor Passera?
Eque!?

Pecunia non olet

Forse perché ho una laurea in Economia e Commercio (aveva ragione mia madre a opporsi a questa mia "strana" scelta universitaria), forse perché ho avuto un padre comunista ( non bastava sindacalista, diceva mia nonna), forse perché ero una bambina timidissima, solitaria e curiosa e quando i cugini giocavano a Monopoli origliavo i discorsi dei "grandi", forse perché mi porto addosso la maledizione di capire, di fiutare l'inganno (come un segugio).

Forse perché ho lottato per cinque lunghi anni contro una banca (e ho perso, nonostante avessi ragione) e ho insegnato tecnica bancaria per trentacinque anni, forse perché mio zio, esperto di borsa ai tempi di Francesco Giuseppe, in quella ventosa città che nel 1918 accolse in Piazza Grande i liberatori italiani,  mi diceva: "Lo vedi quel signore? Se potessi parlare... " E ridacchiava concludendo: "Più sono ricchi, più sono ladri". Passava il suo tempo tra banche e borsa.

Forse perché maneggiare denaro è il lavoro più sporco, e dopo un po', qualche spicciolo ti rimane attaccato alle dita... Eh sì, il denaro si attacca, s'incolla... Non puzza, dicono, ma non è vero. Chi ne ha tanto, s'è  turato il naso. Di brutto.

E' da qualche giorno che l'aria non sa soltanto d'inverno, non è soltanto fredda. Puzza. Che cosa ci fanno in giro tutti questi banchieri? Un'invasione. Sono dappertutto, anche in Parlamento. Così  forbiti, così eleganti, così benvisti, così educati, così silenziosi, a passi felpati...

E i politici? Allontanati con fermezza. Neutralizzati dai mercati e dalle valutazioni delle società di rating.

E la "gente"? L'80% degli italiani è con "loro". Conquistata.

Monti applaudiva l'innovatore Marchionne. Uomo capace di far quadrare i conti. Della Fiat. Aveva ragione lui: ha aperto la via agli altri padroni, pardon imprenditori. Ora gli unici conti che non quadreranno saranno quelli  degli operai. Ma il nuovo presidente del Consiglio non è consulente di poveracci (è stato, è ancora? consulente della Goldman Sachs).

E Passera? Passerà oltre?

Mai fare studiare una donna. E' tempo perso (dichiarava il mio ex marito). Forse aveva ragione!

E la puzza? Sale, sale. Inarrestabile.



http://falilulela.blogspot.com/2010/10/puzza-di-padroni.html

domenica 13 novembre 2011

Chi appicca e chi spegne gli incendi?

Cos'è la Goldman Sachs? E' una delle più potenti banche d'affari americane, tanto potente da essere riuscita a influenzare pesantemente il Congresso americano, inducendolo prima a deregolamentare (con Roland Regan) il settore della finanza, poi ad accettare l'introduzione dei prodotti derivati e a impedirne la regolamentazione (con Clinton e Bush) e, attualmente, (con Obama) a non consentire nessuna efficace normativa di controllo  sull'operato delle banche d'investimento.
Tutto ciò nonostante una crisi finanziaria, innescata da queste stesse società, che ha cambiato - e messo in serissima difficoltà -  "Occidente" e capitalismo. 
Chiamata, nel 2010, a testimoniare davanti al Congresso americano, la Goldman Sachs ha ammesso, per voce dei suoi dirigenti, di aver sempre saputo di vendere "spazzatura" (prodotti derivati). Incriminata per frode nello stesso anno dalla Sec (l'equivalente americana della Consob italiana), dopo essere stata salvata dal fallimento grazie a uno stanziamento del Congresso, costato ai cittadini americani 61 miliardi di dollari, sembrerebbe - a scriverlo è Milano Finanza -  aver innescato anche la speculazione sui Btp italiani.
E' in questo "gioiellino", oltre che al Bilderberg, che Mario Draghi (dal 2002 al 2005 vicepresidente e membro del management Committee Worldwide)  e Mario Monti (dal 2005 International Advisor e precisamente membro del Research Advisory Council del “Goldman Sachs Global Market Institute") si sono conosciuti e hanno collaborato. 
A quali progetti? 
Ieri sera, a Che tempo che fa, Fabio Fazio - a voce bassa com'è nel suo stile - ha accennato alla eventualità che si possa configurare un conflitto d'interesse... , oh, non tra Draghi e Monti che sono amici da sempre, ma tra i due incarichi di Monti: come dire che se un piromane lo facciamo diventare contemporaneamente pompiere, poi magari si confonde... Ma Ferruccio De Bortoli lo ha, e ci ha, rassicurato dicendo: "La Goldman Sachs è un po' birichina, ma sull'autonomia di Mario Monti non ho dubbi!"
Beato lui!

giovedì 10 novembre 2011

Dalla padella nella brace

Chi è Mario Monti? Nominato, in tutta fretta, dal presidente della Repubblica senatore a vita, è stato commissario europeo,dal 1994 al 1999, per nomina del primo governo Berlusconi,  e dal 1999 fino al 2004, per nomina del primo governo D'Alema. 

Ma è soprattutto "uomo di mondo", iscritto a club prestigiosi come il Bilderberg, l'Aspen Institute (di cui è  attualmente presidente Giulio Tremonti e vicepresidente Enrico Letta) e la Trilateral Commission, espressione di una classe/casta di tecnocrati che privilegia l'incontro, il confronto e il dibattito (rigorosamente "a porte chiuse") su temi vari, di attualità, in un'ottica globale (che sia partita da qui l'idea di "globalizzare" il mondo?) e con un'attenzione particolare alla business community internazionale.

Dov'era questo distinto signore negli anni in cui è stato consentito al mondo bancario/finanziario di diventare un Far West (esercitando pressioni sui governi affinché venisse smantellata la normativa che tutelava i risparmiatori), di inventare e diffondere titoli tossici (tutta la complessa serie dei prodotti derivati),  di dare il via  a quella nuova arma letale -  per conquistare le nazioni, senza spargimenti di sangue - che è l'attacco ai debiti pubblici a suon di vendite miliardarie allo scopo di rendere tali debiti insostenibili?

Sappiamo che frequentava Mario Draghi (suo ex collega come consulente alla Goldman Sachs), Tremonti, Lucas Papademus (banchiere proposto per il governo tecnico greco) con i quali discuteva di strategie politiche in club privatissimi... E la trasparenza? Quella è d'obbligo nelle istituzioni, non nelle riunioni private fra (e dei) potenti.

E questo elegante signore dovrebbe "salvare" il Paese dal baratro? Quale Paese? Quello dei pochi che hanno tremato di fronte alla minaccia di una "Patrimoniale", o che falliscono portando i loro patrimoni all'estero, o che evadono le imposte? E il resto del Paese?

Questa è la prima domanda che m'inquieta; la seconda riguarda il PD...  che per sostenere questo signore accetta di allearsi con Fini e Casini.
Fini e Casini?

E, dopo il diluvio, Mario Monti aprì l'ombrello.

E' una grigia mattina di novembre: grigio uniforme screziato dalle pennellate gialle delle foglie cadute. La gatta, sul davanzale, annusa l'inverno in arrivo, io rumino sulle mie storie, mentre la Storia mi si srotola davanti: Berlusconi, il piccolo tiranno che regna dal 1994 sul Bel Paese, ha annunciato le sue dimissioni. Com'è nel suo stile, una promessa, solo una promessa. Sarà l'ultima di una lunga serie e la prima mantenuta? Chissà?

L'omino si lascia alle spalle un paese distrutto. Devastato. Non è riuscito, né avrebbe potuto, fare tutto da solo: ha avuto numerosi e validi collaboratori: tutti gli italiani - tanti, troppi  - che lo hanno votato, tutti i servi - molti - che lo hanno adulato e incensato. Ha, come i torrenti che abbiamo visto esondare in questi giorni, trascinato nel fango, sommerso e sporcato tutto ciò che ha trovato sul suo cammino. Sarebbe tutto da buttare per voltare pagina e ricominciare ma, come dopo un'alluvione o un terremoto, si fruga tra le macerie e si cerca qualcosa che, pur ammaccato, sia ancora utilizzabile.

Un Bersani cos'è? Un tavolo senza una gamba, che traballa ma può ancora stare in piedi? E Fini, il grande traditore? Una collanina da battesimo che sembrava d'oro, ma a guardarla bene era ed è d'ottone? E Casini? Una radio rotta che emette un suono che abbiamo già sentito, tanto tempo fa, molesto e ripetitivo, come le scontate prediche domenicali di un parroco noioso?.

Dietro a noi che frughiamo, a controllare che non ci si metta in tasca un anellino storto o un vassoietto d'argento, stanno a fucili spianati, gli Europei, quelli che dovrebbero salvarci ma che, per il momento, controllano che nulla venga trafugato. Ma non era ed è "roba nostra"? Beh, sì e no: è tutto da vedere!

La classe politica italiana, caduto - si fa per dire! - Berlusconi, non sa che fare. Ma non avevano nel cassetto fior di programmi particolareggiati? Precisi? Dove sono finiti? Ammesso che siano mai stati scritti, ora dovranno essere buttati: i mercati macinano perdite e  bisogna fermarli, recuperando la famosa "credibilità
perduta". Come? Firmando una cambiale in bianco, come si fa con i mafiosi: noi mettiamo la firma, loro la cifra. "Loro" chi? Beh, non i politici, poiché una buona metà ha già perso la faccia e la parte restante non può rischiare di perderla e, soprattutto, di perdere i voti del proprio elettorato!

E allora mettiamoci Mario Monti al governo: un tecnico va bene per tutte le stagioni. Ma non  è un economista nonché banchiere? Ma gli economisti non ne hanno azzeccata una da lungo tempo e i banchieri non sono i responsabili della peggiore crisi finanziaria nella storia del capitalismo?
Sì, e allora?

martedì 8 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°9 - Parte seconda)

La macchina filava nell'oscurità lungo il viottolo accidentato e pieno di curve. Il professore, pur giovanissimo, era il cervello dell'organizzazione. Ad attirare l’attenzione dell’interlocutore su di lui, su quel suo corpo fragile, minuto, sul volto pallido dagli zigomi pronunciati, erano gli occhi: scuri, lucidi come di febbre, capaci con uno sguardo di comunicare la sua forza, lasciando percepire la passionalità e il rigore della sua anima. In tempi diversi, sarebbe forse diventato  un attore, capace d'impersonare ogni parte, perché lui, il Professore, si calava in ogni uomo che avesse di fronte,  cogliendone la falsità o la genuinità, l'angoscia o la gioia, l'entusiasmo come la paura che si annidano nell'animo di ognuno. Nessuno sapeva chi fosse, da dove venisse e quale serie di eventi, lo avessero reso edotto così sottilmente, così implacabilmente, dell'animo umano e dei suoi mille percorsi
.Era un capo nato, il Professore, e nessuno avrebbe osato mettere in dubbio la sua autorevolezza, anche se ora dormiva abbandonato sul sedile accanto al guidatore e, raggrumato nel mantello troppo grande, sembrava un ragazzetto, svegliato dal padre troppo presto per portarlo al lavoro, strappandolo al sonno
.Viaggiarono tutta la notte tra boschi e strade secondarie, fermandosi pochi secondi per vuotare una tanica di benzina nel serbatoio, e poi riprendere il viaggio. Avevano come meta la Svizzera, ma non sapevano ancora se si sarebbero fermati in quel paese... Forse avrebbero raggiunto la Francia
.L'uomo al volante frenò dolcemente, passandosi una mano sul volto stanco.
"Devo sgranchirmi le gambe" borbottò, uscendo dalla macchina
.Il silenzio del bosco li circondava, interrotto, a tratti, da un frullo d'ali o da un cinguettio d’uccello.
"C'è ancora del caffè; ne vuole un goccio, Professore?"
Mario, l'operaio che era andato a prelevarlo nella sua casa, si stagliava, scuro e quasi mastodontico, contro i rami degli alberi che li circondavano. Incerto, nell’intrico del bosco, filtrava il primo chiarore dell'alba.
L'uomo, raggomitolato sul sedile della macchina, sembrava assorto, perso nei suoi pensieri.
"E' freddo, lo so, ma non abbiamo di meglio... "
"No, grazie, ma non perdiamo tempo. Andiamocene di qui... Non vorrei che qualcuno ci avesse inseguito: quel Debosi non molla la preda, che Dio lo fulmini!"
Mentre la macchina ripartiva, un raggio di sole s'insinuò tra i rami degli alberi, accendendone di rosso le foglie.

(continua... )




sabato 5 novembre 2011

Esiste un paese per vecchi?

La svegliò il rumore di una macchina che stentava a mettersi in moto, ansimante. Come il respiro di un vecchio catarroso. Ma dove diavolo andava la persona alla guida, alle cinque del mattino? In un giorno festivo? Il guidatore continuava, ostinato, a girare la chiavetta dell'accensione: il motore sembrava ingranare ma poi, in un breve rantolo, si spegneva. Al quinto o sesto tentativo, la macchina partì, scivolando sull'asfalto e lasciandosi alle spalle il silenzio, di nuovo intatto, dell'alba che un chiarore appena intuibile annunciava. Ma, ormai, era sveglia.

Si alzò, e curiosò oltre il  vetro della finestra; alitava sul paese il respiro infreddolito di un inverno precoce... Lei non lavorava più: era, da anni, in pensione. Da tutto, non solo dagli impegni professionali. Era lì, sul bordo della vita che le scorreva davanti agli occhi come un fiume in piena, così come si sta al tavolino di un bar - poche seggiole, un cameriere frettoloso, un caffè amaro - lasciando scorrere uno sguardo piatto sul traffico dell'ora di punta, chiedendosi cosa? Nulla, solo domande oziose.

Forse non era stato soltanto quel rumore fastidioso a svegliarla, forse era la qualità del suo sonno a essere cambiata: dormiva poco, sprofondando in un riposo/veglia, quasi vigile. Attenta a tutto. In attesa.
In attesa di che cosa? Nella sua vita non c'erano più né orari né impegni da rispettare. Il tempo  - nell'appartamento troppo grande, troppo silenzioso, troppo ordinato - si era dilatato a dismisura.
Il  tempo non è una variabile indipendente, oh no!, si allunga, si snoda, si contrae fino quasi a scomparire... a seconda dell'uso che ne facciamo.

Quanto breve era stato il tempo in quei pomeriggi lontani, rubati ai figli e al lavoro e dedicati all'amore? Una manciata di minuti, pelle contro pelle, a sentire il tepore di un altro corpo, e già le lancette dell'orologio la obbligavano, colpevole Cenerentola, a salire sul cocchio e correre... correre a casa: prima che battesse la mezzanotte. A lavare, cucinare, stirare, studiare, correggere compiti, già sapendo che il tempo, quel bastardo, si sarebbe allungato di nuovo, a dismisura, fino al prossimo appuntamento.

La gatta le si strusciò contro, emettendo un miagolio di protesta.
La prese in braccio e la portò in cucina. Mise la moka sul fornello e aprì una scatoletta di cibo per animali.
Condivisero la colazione: caffè per l'una e bocconcini di pollo per l'altra.
Erano insieme da quindici anni: era vecchia. Come lei.

Aspettavano entrambe, quietamente, quell'ultima scadenza: senza fretta e senza angoscia, lasciandosi scivolare sulla pelle quell'ultimo scampolo di tempo che, come ogni scampolo che si rispetti, è sempre troppo corto o troppo stretto. Per poterci fare qualcosa. 
E allora?

Allora... niente!, se non gustarsi quell'ultimo caffè.

mercoledì 2 novembre 2011

Déjà vu?

Ci sono momenti d'incertezza profonda, di disorientamento, in cui alla forza e all'intraprendenza dei giovani si deve affiancare la saggezza dei vecchi. Ricordo una frase di Giorgio Bocca che diceva più o meno così:  "Quando sei incerto, quando non trovi il bandolo della matassa, quando non 'capisci'... cerca la via dei soldi. Attaccati insomma, saldamente, a un bel bigliettone e non mollare la presa: percorrerai vie tortuose e sconosciute, autostrade e/o viottolo, ma ti porteranno a scoprire la verità".

Le borse, i  santuari del capitalismo, sembrano impazzite: distruggono miliardi in un giorno e li ricreano, quasi con un colpo di bacchetta magica, il giorno successivo. E' sadismo finanziario? No, è solo un vecchio giochetto: comperare e vendere a prezzi diversi... Non è questa l'essenza dell'affare? Quante volte un amico ci ha detto, con l'occhietto furbo e l'aria tronfia di chi sa come funziona il mondo, di aver comperato qualcosa, una cosa qualunque, "per quattro lire"  e averla rivenduta al doppio o al triplo del prezzo pagato, guadagnandoci sopra una bella sommetta?

E' sufficiente manovrare sui mercati finanziari in modo da provocare un ribasso, vendere a 100, aspettare il ribasso, e comprare a 80 e... il gioco è fatto. Le regole dei mercati borsistici consentono di operare a termine (stipulo il contratto oggi dandogli esecuzione in un momento successivo), allo scoperto (senza possedere che una minima parte della somma in gioco), e di invertire la sequenza delle operazioni (compro e vendo se prevedo un rialzo, vendo e poi compro in previsione di un ribasso).

Si potrebbe fare qualcosa? Sì, cambiare le regole: vietare (provvisoriamente) le vendite a termine e dichiarare fuori legge i "derivati". Un governo che può dichiarare la guerra (mandando a morire i propri cittadini) non può emanare leggi capaci di tutelare i risparmiatori? Potrebbe ma, evidentemente, non vuole. Perché quella via che abbiamo imboccato per seguire i soldi porta proprio qui: a questa casta di ricchi e straricchi che pretenderemmo cambiassero le regole del gioco... per noi, rinunciando a parte della loro ricchezza. Per noi, noi poveri cristi che non arriviamo alla fine del mese, per i nostri figli che non trovano lavoro?

E' in atto, nell'economia occidentale, un cambiamento importante ma, di nuovo, vecchio come il mondo: una redistribuzione della  ricchezza a favore dei più ricchi. Per essere una crisi, dalle motivazioni complesse e le soluzioni quasi impossibili, ha un gusto decisamente stantio: sa di déjà vu.


martedì 1 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Parte seconda - Puntata n° 8)

Marilena si guardò intorno, lasciando scivolare su quella devastazione un'occhiata incredula. 'Non sarebbe rimasta un minuto di più in quella casa... con quell'uomo. Con quel bugiardo che l'aveva ingannata, facendosi passare per ciò che non era: un uomo d'ordine, gran lavoratore, persona semplice ma quadrata, solida. E invece, invece... '
Prese una valigia dal ripostiglio e incominciò a riempirla disordinatamente: biancheria raffinata, abiti sartoriali, scarpe eleganti, il profumo, la crema... Mio Dio, ma cosa stava facendo? Pensava forse di partire per una vacanza? Avrebbe dovuto trovarsi una camera in affitto, cercarsi un lavoro. Un lavoro? Era una maestra, o meglio, lo era stata, ma ci sarebbero stati problemi di graduatorie e termini per iscriversi da rispettare... E dove sarebbe finita? In qualche paesino sperduto, in montagna, tra bambini pieni di pidocchi e geloni...
Crollò a sedere sul letto nell'appartamento silenzioso, mentre la pendola del salotto cominciava a scandire i suoi rintocchi,  riportandola alla realtà. Si affacciò alla finestra: la strada buia, illuminata fiocamente da un lampione, sfumava in una nebbia leggera. Non passava nessuno, solo un'ombra sembrò sfiorare, per un secondo, il muro di una casa per scomparire subito, quasi si fosse trattato di un fantasma. Si vide in quella strada, la valigia troppo pesante da trascinare, il buio e quel silenzio poco rassicuranti intorno. Senza una direzione da prendere, un posto dove andare. Sola! Una dona sola a conoscenza di  segreti pesanti,  pericolosi.
Dov'era Gualtiero? Dov'era l'uomo l'uomo che l'aveva sempre protetta, difesa dalle brutture del mondo - pensò. Non esisteva più! In quel letamaio, ora, aveva trascinato anche lei, a forza, obbligandola a condividere quell'orrore. Perché non aveva cercato un amico, un prete, un fascista della sua stessa pasta per sfogarsi? Ma la risposta era lì, sotto  suoi occhi, nel vuoto di quelle loro solitudini affiancate. Gualtiero era, come lei, solo, senza amici. Dopo la morte di Desmo, gli era rimasta lei... e quel segreto, quelle spedizioni punitive, quel morto - uno soltanto? - sulla coscienza. Era un fascista, l'aveva sempre saputo... Ma non aveva mai pensato fosse un assassino. Era uno 'spione', e anche di questo era a  conoscenza... ma, ma che cosa? Il suo lavoro, quel lavoro che l'aveva resa un'agiata borghese, era un lavoro sporco, nero come quella notte senza luna, nero come i suoi pensieri, nero come la disperazione che si stava impossessando di lei, che la stava attanagliando alla gola, mentre capiva che restare con il marito avrebbe significato essere complice delle sue oscure trame, abbassarsi al suo livello, scendere a patti con la propria coscienza, vendersi per qualche vestito di seta e un abbraccio frettoloso a riscaldare per un istante la notte. Solo per un istante.
Tolse un appendino dall'armadio e vi sistemò sopa un abito, poi ne prese un altro e un altro ancora; fino a quando la stanza riprese il suo aspetto usuale. Rassicurante.
Sentì il marito rientrare e chiuse gli occhi, fingendo di dormire. Lui si spogliò, allungandosi lento al suo fianco.
Come sempre.
(continua... )