lunedì 25 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°28)

Marilena ricordava bene quella notte, ricordava l'angoscia che aveva provato e la sensazione, sconvolgente, di non sapere più con chi avesse a che fare. Chi era Gualtiero? Il timido, rassicurante compagno tra le cui braccia aveva trovato amore e sicurezza? Oppure uno di quei violenti, brutali "picchiatori" che, come diavoli neri, scorrazzavano per la campagna, aggredendo e pestando contadini inermi, colpevoli soltanto di non pensarla come loro?
Quanto le aveva fatto comodo propendere per la prima ipotesi, attribuendo all'influenza di Desmo, che Gualtiero subiva senza riuscire a elaborare una scelta critica che fosse sua, quella partecipazione ad azioni che lei non capiva o addirittura disapprovava.
Allora, l'angoscia che aveva provato, i suoi pianti, la minaccia di lasciarlo, avevano finito per indurre il marito a rinunciare a quelle spedizioni, sì, così le chiamavano, spedizioni punitive, ma lui non era mai riuscito a perdonarla del tutto, anche se non aveva mai più voluto affrontare con lei l'argomento.
Poi era morto Desmo e la vecchia ferita si era riaperta. Furente, Gualtiero le aveva urlato tutta la sua rabbia, le aveva gridato che era stato per colpa sua (di lei, donnetta timorosa e possessiva, ignorante della vita, della politica, priva di sogni, del "grande Sogno" di un Paese nuovo, fatto di uomini nuovi) che lui non si era trovato accanto a Desmo, l'amico, il fratello, il confidente con cui aveva condiviso tutto, in quella maledetta notte, o giorno, in cui qualcuno l'aveva aggredito alle spalle. Dov'era, dov'era in quella maledetta notte? Rintanato tra le sue bianche braccia, a rotolarsi nel proprio letto, soddisfatto e sicuro come un maiale quando si rotola nel pantano merdoso del suo recinto!
Quel giorno il marito l'aveva guardata con occhi diversi, estranei, facendo riaffiorare in lei il dolore di abbandoni relegati nella parte più oscura dell'anima. Quel giorno una fessura, diventata crepa, aveva incrinato il loro rapporto rendendolo paradossalmente più forte, perché la paura di tornare a essere soli, da quel momento, aveva superato il desiderio di  essere insieme. I bisogni prevalendo sui desideri avevano minato alle radici la loro storia.
Che significato poteva avere quell'offerta di lavoro che era stata fatta al marito? Cosa aveva accettato di fare? Di diventare? In quel Paese dove il controllo dello Stato si faceva di giorno in giorno più invasivo, dove la propaganda urlava violenta o ronzava in sottofondo, persuasiva, cosa aveva accettato di fare Gualtiero se non lo spione, lo spione a pagamento?
(continua... )
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domenica 24 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°27)

Il silenzio alimenta i segreti, li fa crescere, rendendoli di giorno in giorno più potenti, invincibili perché conservati senza nemmeno sfiorarli, mai!, come trine preziose che l'esposizione alla luce potrebbe far dissolvere - pensò Marilena. Non c'è famiglia che non ne serbi qualcuno, nascosto, come i gioielli di casa, da qualche parte. In fondo, a volerli cercare, si troverebbero e... chissà, portati alla luce, scoperti, si rivelerebbero per ciò che drammaticamente ma realmente sono, smettendo di alimentarsi di fantasie, di costituire alibi, di giustificare un attaccamento al passato dovuto alla mancanza di coraggio che lo sforzo di costruirsi un futuro richiede.
Lei aveva cercato di sapere qualcosa di più sulla morte di Desmo ma, ogni volta che al paese aveva fatto il suo nome, o non aveva ricevuto risposta o si era dovuta accontentare di quella che era, ormai da anni, la versione ufficiale: quella fornita dalla Gendarmeria che aveva indagato sulla morte di Desmo, trovato ucciso nel bosco, colpito da una fucilata alla schiena. E non avevano dato prova di grande  fantasia, i gendarmi, incolpando del fatto un improbabile cacciatore che, in quella tersa mattina si primavera avanzata, avrebbe sparato per errore... prendendo quel ragazzone biondo per un fagiano o, data la sua stazza, per un cervo. In campagna!
Certamente Gualtiero sapeva, doveva sapere...  e, soprattutto, doveva avere avuto la sua parte di colpa o responsabilità in ciò che era avvenuto. Lei ricordava - erano già fidanzati - che l'unica volta in cui Gualtiero aveva partecipato a una spedizione punitiva contro i "Rossi", era ritornato sconvolto. Sorretto da Desmo, una spalla slogata, fradicio di sudore, si era accasciato sul letto, piombando in un sonno popolato da incubi. Aveva delirato, mormorando frasi sconnesse, bruciato dalla febbre, per tutta la notte,  e lei aveva dovuto chiamare il medico, non sapendo più che cosa fare per calmarlo. Il dottor Bergonzi era arrivato appena al mattino, sconvolto dalla stanchezza, borbottando su quella notte d'inferno che l'aveva visto correre da un casolare all'altro a "rappezzare teste". Sì, aveva detto proprio così, aggiungendo, mentre scuoteva quel suo testone calvo, accarezzandolo con la mano "E servirà a ben poco, perché io posso aggiustare teste, non cambiare ciò che contengono e il male peggiore è rintanato lì ed è incurabile".
(continua... )
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sabato 23 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°26)

"Mi sarei aspettato un po' più di entusiasmo da parte tua" disse Gualtiero.
Marilena cominciò a mangiare, in silenzio.
"Si può sapere cosa c'è?"
La moglie non alzava la testa dal piatto.
"Parla, boia d'un mond laeder!" urlò Gualtiero, alzandosi da tavolo, dopo avere scaraventato il tovagliolo sulla tavola. Mentre lui percorreva la cucina a lunghi passi, avanti e indietro, come un animale in gabbia, lei cominciò a parlare: "Perché mi devi sempre umiliare in questo modo? A te un figlio sarebbe servito solo a far carriera, ma per me, per me, sarebbe stato un bambino mio, un bambino da tenere tra le braccia, da amare. Negli anni in cui ho insegnato ho potuto illudermi che quei ragazzini  fossero un po' miei... ma ora, ora sono sola e... "
"E io chi sono? Nessuno!" la interruppe il marito, avvicinandosi e allungando una mano per cingerle le spalle. Ma lei, in piedi come lui, si sottrasse brusca a quel contatto, voltandosi a fronteggiarlo e dicendo: "Credi non veda gli sguardi di commiserazione delle donne della tua famiglia, tua madre in testa? Pensi sia cieca o stupida? Vorrei ricominciare a insegnare: era di questo che oggi, quando sei rientrato... "
"Non se ne parla nemmeno" l'interruppe Gualtiero. Perentorio.
"Hai la fortuna di avere un marito in grado di mantenerti, e non è una fortuna da poco. Avrei voluto dei figli anch'io, cosa credi? Vengo da una famiglia contadina e sono un fascista, un fascista convinto. Ti ricordi cosa diceva Desmo? Diceva che i nostri figli avrebbero avuto un mondo migliore, e che noi, con il Duce, l'avremmo costruito... Ecco, oggi, io... "
Marilena lo guardò, pallida: "Desmo, il Duce... non sai dire altro. Apri gli occhi, Gualtiero, apri gli occhi. E, visto che oggi è il giorno della verità, parliamo di Desmo: dimmi cos'è successo? Perché è morto e chi l'ha ucciso?"
Gualtiero impallidì; poi, con una voce che lei non gli conosceva, le rispose: "Non farmi  domande su Desmo: non voglio parlarne. Non posso, non posso, hai capito!"
"Perché?" lei insistette.
"Non servirebbe  a nulla. Potessimo tornare indietro... "
"Ma tu cosa... cosa hai fatto?"
E Marilena lo guardò pallida, aggiungendo: "Ha a che fare con Ninetto questa storia, è vero?"
Gualtiero annuì, lo sguardo che si faceva fosco, indecifrabile.
"Parlamene... "
Il marito scosse la testa.
"Parlamene... "
Gualtiero le girò le spalle e, dopo aver bestemmiato, uscì dalla cucina, trascinando i piedi mentre Marilena crollava a sedere su una seggiola, pallidissima.
(continua... )
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venerdì 22 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°25)

Dopo una stretta di mano il sorvegliante aveva lasciato il locale e Gualtiero, passati alcuni minuti, era uscito a sua volta, scivolando lungo il muro del deposito; guardandosi intorno per la paura di essere visto da qualcuno che si fosse attardato in fabbrica, aveva raggiunto in gran fretta il cancello principale e solo dopo averlo varcato, lasciandosi alle spalle lo stabilimento, si era sentito finalmente al sicuro.
Il portamento eretto, una mano nella tasca dei pantaloni (perché Gualtiero non usciva in tuta dalla fabbrica, si cambiava sempre, mettendosi anche la cravatta, quasi fosse un impiegato e non un operaio) il passo lento che gli era abituale, e una sicurezza nuova stampata sul viso, una sicurezza che si coglieva soprattutto nello sguardo che, indagatore, si posava su ciò che osservava come se volesse, e potesse, coglierne l'aspetto nascosto, segreto.
Allungò, intenzionalmente, la strada per giungere a casa. Voleva godersi il primo tepore della primavera e assaporare quello che considerava un successo personale, il primo passo per uscire dalla folla anonima che lo circondava. Il fascismo gli stava offrendo un'opportunità di riscatto, una speranza, in quella sua vita che si era appiattita su una modalità ripetitiva, scontata...
Così pensando, era arrivato davanti a casa quasi senza rendersene conto. Varcato il portone d'ingresso, era stato investito dalle grida dei ragazzini del caseggiato, usciti in massa dagli appartamenti a godersi il tepore della stagione e a dare un po' di pace alle madri impegnate nelle pulizie di primavera. Per la prima volta non provò l'abituale fitta d'invidia: portava in dono a Marilena una promozione importante, un aumento di stipendio consistente... e senza essere padre, senza avere alle spalle una sfilza di figli che gli spianassero la strada, agevolandogli la carriera.
Quando entrò in cucina, Marilena, indaffarata a preparare la cena, lo salutò distratta, senza interrompere quel suo andare e venire dal lavello al fuoco, mescolando il cibo nelle pentole.
"Sono stato promosso" esordì, infilando i pollici nella cintura dei pantaloni e divaricando leggermente le gambe per assumere una posa consona all'importanza della notizia appena comunicata.
Marilena si voltò, con il cucchiaio di legno in mano, guardandolo interrogativa.
"Sorvegliante!" precisò.
"Sorvegliante?" esclamò sorpresa la moglie, crollando a sedere sulla seggiola più vicina.
"Be', ancora non del tutto: per il momento aiuterò Bepi, l'attuale sorvegliante del reparto... ma è solo questione di tempo. E lo stipendio è, già da questo momento, raddoppiato".
Marilena sollevò il volto arrossato dal calore delle pentole, un'ombra di sospetto nello sguardo, mentre chiedeva, più a se stessa che a lui: "Perché proprio tu?"
Seccato, Gualtiero le rispose: "Perché me lo merito, evidentemente!" e poi, cattivo, aggiunse "anche se non ho figli".  
"Allora... congratulazioni!" rispose Marilena, alzandosi per mescolare qualcosa che rischiava di bruciare sul fuoco, mentre sulla cucina calava, improvviso il silenzio.
(continua... )
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giovedì 21 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°24)

Il Deposito Attrezzi sapeva di polvere e di olio lubrificante, come la bocca di Gualtiero  che aspettava il sorvegliante, deglutendo a fatica. Il cigolio della porta che scorreva sui cardini lo distolse dai suoi pensieri.
Bepi entrò e gli si parò di fronte scrutandolo, soppesandolo, quasi cercasse il suo punto debole, la pecca, il difetto, come abitualmente faceva, in fabbrica, rovistando tra viti, bulloni, chiodi e dadi.
"Il Capo Reparto... la Direzione apprezzano il tuo lavoro e... " (pausa ben calcolata) "avrebbero pensato a te per un incarico un po' particolare: delicato e difficile. Un lavoro che richiede certe doti, determinate caratteristiche". E qui il Bepi, prima di continuare, introdusse un'altra pausa, sempre spiandolo con quegli acuti occhi a i quali nulla poteva sfuggire.
"Dovresti raccogliere in giro per la fabbrica i commenti, i discorsi, il malumore e i motivi che lo alimentano, individuando coloro che sobillano e incitano alla protesta, se non addirittura alla rivolta, i compagni. Cogliere eventuali complicità, vedere se... Be', credo tu abbia capito!"
"Ho capito perfettamente ma, inchiodato come sono al mio posto, come potrei muovermi liberamente per la fabbrica?" replicò Gualtiero.
"Ci abbiamo già pensato: per non insospettire i tuoi compagni, per il momento, continueresti a lavorare al tuo posto, al mattino, e, al pomeriggio, mi affiancheresti nel lavoro di sorveglianza del prodotto. La fabbrica si sta allargando e la produzione è in costante aumento. Tu e io non lavoreremmo affiancati, sorveglieremmo  reparti diversi, a rotazione, quindi tu potresti condividere il pasto, a turno, con tutti - ripeto! - tutti gli operai della fabbrica. ".
"Ma qualcuno non sospetterà... " borbottò Gualtiero, concludendo "Si chiederanno perché proprio io"
"Perché sei metodico, preciso nel tuo lavoro, non perdi tempo in chiacchiere... E poi, perché no?"
" E lo stipendio?" chiese Gualtiero.
"Raddoppiato" rispose Bepi, mentre un ultimo raggio di sole, con un guizzo, illuminava il volto di Gualtiero prima di stendere sul locale la prima precoce ombra della sera.

martedì 19 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°23)

Il giorno successivo al suo ritorno Gualtiero era tornato in fabbrica, riprendendo la vita di sempre. Lo stanzone ronzava come un alveare mentre indossava la tuta e Giovanni, uno dei compagni di lavoro, passandogli accanto, gli sussurrava: "Hanno arrestato Mario!" "Quando?" aveva chiesto, aggiungendo in fretta, senza nemmeno attendere la risposta: "Perché?"
L'altro operaio l'aveva osservato per un istante, pensieroso. Poi, in fretta, gli aveva detto: "Oggi, al suo posto, Bepi ha messo un ragazzo che nessuno di noi ha mai visto; uno giovane, inesperto. E' stato Bepi, a darci la notizia del suo arresto. Non ci voleva  molto a capire che non gli andava giù. Lui, Mario, se qualcosa non gli piaceva, sputava il rospo... Mica come noi... Lui non aveva paura!".
Bepi, il sorvegliante del reparto in cui lavorava Gualtiero, vedendoli parlottare, si era avvicinato.
"Cosa avete da dirvi voi due? Al lavoro, al lavoro...  che qui, i soldi, non ve li regala nessuno" e, mentre Giovanni si allontanava borbottando, il sorvegliante, allungando una strizzatina d'occhio a Gualtiero, a bassa voce, gli aveva sussurrato: "Bel lavoro! Alla fine del turno ti aspetto", aggiungendo "al solito posto".
Gualtiero aveva sentito una vampata di calore salirgli al volto, mentre gli ritornava alla mente quanto era accaduto in fabbrica pochi giorni prima.
Il Capo Reparto aveva ridotto la pausa concessa per il pranzo agli operai, e la notizia era stata accolta da mormorii di protesta e mugugni vari, borbottati tra i denti. Quando, al suono della sirena, gli impianti si erano fermati e gli operai avevano cominciato a mangiare, Mario - sì, sempre lui, quello che non aveva paura di niente e di nessuno, quello che sarebbe stato capace di ridere in faccia non solo al sorvegliante, anche al padrone, e pure a, a... Mussolini, se gli si fosse parato di fronte - dopo aver buttato giù due cucchiaiate di minestra, scaraventata a terra la gamella, aveva esclamato furioso, i pugni contratti dalla rabbia: "A calci in culo ci trattano... Che aspettiamo a dire 'Basta!' Cosa aspettiamo!? Che ci proibiscano anche di andare al cesso?"
"Ma cosa possiamo fare? Abbiamo la famiglia da mantenere" aveva detto Giovanni e Pioltino aveva aggiunto: "Se Mussolini ha deciso così, avrà le sue ragioni", mentre Simone, presa la sua gamella, si era allontanato in silenzio. Gli altri, intanto, avevano incominciato a mangiare, in fretta, evitando di guardarsi. Poche parole borbottate al vicino a bassa voce e solo qualche imprecazione, isolata, avevano tagliato l'aria.
Poi il silenzio, rotto soltanto da quel ruminare, quasi bovino, di mascelle in azione. 
"Non possiamo continuare a tacere; non possiamo e non dobbiamo!" aveva sibilato Mario tra i denti, guardandosi intorno alla ricerca di un appoggio, di una risposta, di una reazione ma i compagni, uno ad uno, pur ascoltando e annuendo, appena finito in fretta di mangiare e dopo essersi sgranchiti le gambe, erano rientrati nello stanzone e avevano ripreso il lavoro, gli sguardi bassi che tradivano, come il passo strascicato e quelle spalle un po' più curve, il sentimento dominante: una cupa, opprimente rassegnazione.
Dopo pochi minuti il lavoro era ripreso e Bepi, passando accanto a Gualtiero, gli aveva sussurrato: "Aspettami, ci vediamo alla chiusura al deposito attrezzi". E così era stato, e così lui, Gualtiero, aveva raccontato al sorvegliante quanto era successo... E così Mario era stato arrestato.
Avrebbe potuto tacere, ma aveva scelto di parlare. Perché? Da che parte aveva deciso di stare? Be', sempre dalla stessa parte, con i fascisti. Desmo cosa gli avrebbe suggerito, se non di fare ciò che aveva fatto? Quelli come Mario, in fabbrica, quelli come Ninetto, in campagna, se non fossero stati spazzati via dai fascisti, avrebbero impedito al Paese di progredire, di diventare... Cosa? Cosa stava diventando il Paese? E lui, Gualtiero, chi era? Be', dato che non sarebbe stato padre, non era più un contadino, almeno sarebbe stato un buon fascista. Non erano questi i pensieri che l'avevano tormentato, fastidiosi come zanzare estive, avvelenandogli il ritorno al paese? Magari l'avrebbero promosso sorvegliante, al posto di Bepi, e avrebbe portato a casa più soldi e Marilena l'avrebbe guardato con altri occhi... Forse.
(continua...)
http://falilulela.blogspot.com/2011/07/storia-di-nebbie-e-acquitrini-puntata_09.html

domenica 17 luglio 2011

Casta (ma non pura!)

Torno da un tentativo (fallito) di vacanza, e cosa mi ritrovo? La casa svaligiata dai ladri. Si sa, rubare, quando le case sono vuote e la gente è al mare, risulta più facile... La Banda Bassotti, in tutta fretta, ha varato una manovra finanziaria che è un vero e proprio furto ai danni, soprattutto, delle fasce sociali più deboli: i lavoratori a reddito fisso. Come sempre a sostenere il peso maggiore saranno quelli che hanno sempre pagato le tasse, quelli già penalizzati dall'introduzione dell'euro, quelli che hanno fatto studiare i figli per vederli andare all'estero onde evitare il precariato a vita... Sempre quelli, sempre gli stessi. E, come se non bastasse, mentre il Bassotto, alla testa dei suoi, s'introduceva nelle case a rubare l'argenteria, la Sinistra faceva il "palo", fuori, sulla strada.
Divisi su tutto, incapaci di trovare un valore ideale condiviso, i nostri politici hanno fatto fronte comune e, velocissimi ed efficienti come non mai, hanno legalizzato il furto, ma - ciliegina sulla torta - lo hanno fatto per noi, il popolo italiano, per evitarci il disastro, per frenare l'attacco della speculazione finanziaria.
La speculazione finanziaria fa soltanto il suo (sporco) lavoro. E' la classe politica che non fa il suo (lavoro); infatti si salva ma non ci salva!
Lunga vita alla Casta, che non potrebbe essere più casta (ma non pura) di così!

domenica 10 luglio 2011

Il racconto va in vacanza.

Parto per alcuni giorni... Il racconto riprenderà al mio ritorno a casa.
Buone vacanze a tutti e... grazie per l'attenzione.

sabato 9 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°22)

"Marilena stai male?" e, guardandola negli occhi, la voce incerta, Gualtiero le aveva chiesto: "Cosa ti succede?"
Raddrizzandosi, lei aveva borbottato: "Ma chi erano quegli uomini? Cosa volevano?".
"Stavano cercando qualcuno... e lo hanno trovato", aveva risposto Gualtiero. Nello scompartimento i viaggiatori sussurravano tra loro, guardandosi intorno diffidenti, mentre il treno rallentava per fermarsi poco dopo, con uno stridio acuto di ferraglia, alla stazione successiva. Anche qui, aperti gli sportelli dei vagoni, c'era chi saliva e chi scendeva. Ma la fermata si protraeva più del solito... Cosa stava aspettando il capostazione per usare il fischietto e dare il via libera al macchinista?
Qualcuno sussurrò: "Come mai non si parte?" e nessuno rispose. In quel momento sulla banchina apparvero i due uomini che avevano appena controllato i documenti: tra loro, piegato in avanti, le braccia intrecciate a tenersi lo stomaco, camminava a fatica l'uomo che aveva tentato di fuggire. S'intravedeva dai finestrini la piazzetta antistante la stazione e la parte posteriore di una macchina. In attesa. Mentre il treno riprendeva il viaggio, l'uomo - un ragazzo alto, magro - voltò la testa, come se cercasse qualcuno, e Marilena ne incrociò per la seconda volta lo sguardo: sempre spaventato ma con un fondo di fierezza. Vedendola aveva cercato di raddrizzare la schiena, con uno sforzo evidente e... le aveva sorrise. O era stato soltanto uno stiramento di labbra, dovuto al dolore? - aveva pensato, socchiudendo le labbra per parlare, ma Gualtiero l'aveva bloccata con uno sguardo, sussurrandole: "Non è il caso di fare commenti! Non lasciarti commuovere e... " 
Nello scompartimento, avvolto in un silenzio impacciato e timoroso, una voce aveva sussurrato: "Sono quelli dell'OVRA e con loro non si scherza!" 
Il treno correva ora sbuffando fumo nella pianura e Marilena cercava di scacciare dalla mente quel ragazzo, chiedendosi il motivo di quel suo comportamento, a dire poco, strano. Aveva già tanti problemi... Che ne capiva lei di politica? E Gualtiero si era reso conto? Ma cosa avrebbe dovuto capire, il suo era stato un gesto istintivo... Istintivo e sciocco - pensò, mentre di nuovo il treno rallentava e il marito, già in piedi, raccoglieva  valigia e pacchi, invitandola ad affrettarsi. 
Appena scesi sulla banchina si trovarono di fronte altri poliziotti in borghese che fermavano i viaggiatori, chiedendo i documenti. "Oggi è giornata di controlli... "aveva borbottato Gualtiero, seccato.
" Non soltanto oggi" lei gli aveva risposto, ma senza guardarlo  negli occhi.
(continua... )

venerdì 8 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°21)

Grazie a Dio si torna a casa! - pensava, a sua volta, Marilena, guardando dal finestrino del treno la campagna che le sfilava davanti agli occhi. Accanto a lei sedeva Gualtiero, silenzioso come sempre. Intorno, famiglie con madri che scartocciavano pane e marmellata per i bambini e padri che dormicchiavano o chiacchieravano tra loro. Le abituali chiacchiere da treno tra sconosciuti, con i figli che piagnucolavano o si rincorrevano - i più grandicelli - scansando fagotti e pacchi, infilandosi in ogni spazio libero, rimproverati dai genitori. Il treno si fermava in continuazione, caricando e scaricando passeggeri che si facevano spazio a fatica, sistemando cesti e fagotti. Marilena e Gualtiero viaggiavano in terza classe e molti tra i viaggiatori erano contadini, riconoscibili sia dall'impaccio che procurava loro indossare 'l'abito buono', sia dalle mani callose e abbronzate che tenevano in grembo, sedendo rigidi come davanti al medico o al notaio. Le donne sposate vestivano di scuro, i capelli raccolti in crocchie o annodati in trecce, coperti dai fazzoletti, rigorosamente neri. Alcune allattavano appoggiando sul seno, pudicamente, lo scialle; altre chiacchieravano scambiandosi informazioni sui paesi di provenienza, sul tempo e... sui bambini dei quali, chissà poi perché, comunicavano età, nome, anno scolastico frequentato, come fossero davanti a un impiegato dello Stato civile.
Sto diventando acida - pensò Marilena, notando che nessuno si rivolgeva a lei, divisa, quasi isolata dalla gente che la circondava da un muro invisibile. Non le era sfuggito che, invece, si rivolgevano al marito come fosse uno di loro: quando quella bottiglia di vino, spuntata da un fagotto, era arrivata - di mano in mano e di bocca in bocca -  fino a Gualtiero, era bastato ne bevesse una sorsata esclamando: "Frizzante al punto giusto come dev'essere il nostro vino" per consentirgli di dire la sua su vini, vitigni e tappi e cantine... mentre lei, Marilena,  fissava quelle sue mani bianche, lunghe e sottili, mani da 'signora', abituate a stringere matite colorate e penne, a sfogliare pagine di libri...  mani che, ora, le giacevano in grembo leggere e bianche come ali di farfalla.
Ma un brusio allarmato, seguito da un innaturale silenzio - anche i bambini sembravano essersi improvvisamente zittiti - la distolse dai suoi pensieri. Due uomini in borghese erano entrati nello scompartimento e uno dei due, quello più alto, portandosi una mano al cappello quasi fosse abituato alla divisa e a scattare sull'attenti, aveva detto a voce alta, per farsi sentire da tutti: "Controllo dei documenti!".
Marilena aveva aperto la borsetta, alcuni viaggiatori, sbottonate le giacche, avevano infilato le dita nei taschini interni, mani di donna avevano iniziato a rovistare tra i fagotti, mentre i due uomini passavano di posto in posto, di passeggero in passeggero - un'occhiata al documento e una al proprietario - veloci. Efficienti. Soltanto in quel momento Marilena aveva incrociato lo sguardo del suo dirimpettaio. Muto, opaco di terrore. In quelle mani tremanti, in quella fronte imperlata di sudore aveva colto una disperata richiesta di aiuto: fingendo di sentirsi male, aveva spostato le gambe piombando sulla spalla del marito, per lasciare all'uomo la possibilità di aprirsi un varco in quell'intrico di borse, gambe, fagotti e bambini. Lui era scattato, balzando in piedi, il terrore che lo faceva volare calpestando tutto ciò che trovava sul suo cammino. Dietro a lui, altrettanto veloci, come cani su una preda stanata, erano partiti all'inseguimento i due uomini in borghese.
(continua... )

mercoledì 6 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°20)

Erano ripartiti in tutta fretta, il giorno seguente, e sul treno Gualtiero, seduto accanto al finestrino, si era perso in quel mare verde che il tepore della primavera aveva fatto dilagare sulla terra della Bassa. Qua e là emergevano a tratti vigneti, casolari e boschetti  che svanivano immediatamente nel nulla come fantasmi nella notte, facendogli provare un dolore acuto in mezzo al petto. In lui - sempre più spesso gli accadeva - affiorava acidulo il rimpianto, facendo smarrire la sua mente nei ricordi del passato, quasi non ci fosse più un futuro da sognare e, prima che i sogni potessero acquistare il gusto amaro dell'illusione, realizzare. Certamente non era più un ragazzo, ma era ben lontano dall'essere un vecchio... Perfino suo padre gli era sembrato più, più... , ci sarebbe voluta Marilena per dare le giuste parole al suo malessere, ma la moglie, che cercò con lo sguardo, appariva anche lei spersa nella contemplazione del paesaggio che il finestrino del treno inquadrava. Non riusciva ad analizzare le motivazioni del suo malessere, ne coglieva solo il disagio e i  motivi che anche un osservatore superficiale avrebbe individuato, come la mancanza di un figlio e il rimpianto per il mondo nel quale era nato e cresciuto. Suo padre - stappando il vino per aspirarne il profumo prima di berlo, tastando il ventre delle vacche per valutare il tempo mancante alla nascita del vitello, macellando il maiale e gustandone il sanguinaccio -  aveva convalidato, con quei gesti antichi, un modo di essere, stabilito una gerarchia  rispettata e da rispettare, muovendosi nel solco già tracciato di una tradizione che lui, Gualtiero, non aveva continuato. Come il fiume della sua terra, aveva rotto gli argini infrangendo un equilibrio... Era stata Marilena, con quella frase buttata lì alcuni giorni prima, a dare la stura al suo malessere, Marilena che, ora, sedeva accanto a lui silenziosa, con quell'aria un po' austera , riservata, che tanto l'aveva colpito e che la rendeva così diversa dalle donne che si era visto intorno fin da bambino. Sua madre, quando l'aveva conosciuta, scrollando la testa aveva detto: "Ma con tutte le ragazze che ci sono qui... Perché con questa che viene da lontano, che non sa nemmeno 'tirare la sfoglia' o ammazzare una gallina... E' diversa da noi, è estranea al nostro mondo". E così la diversità di Marilena era diventata estraneità, estraneità che aveva finito per contagiare anche lui, insinuandosi tra loro... Ma non solo tra loro. Al pranzo pasquale del giorno prima, ai suoi riti, lui, Gualtiero,si era piegato, ma senza riuscire più a sentirsene parte. Contadino mancato, padre mancato e... ? Desmo, se fosse stato presente, avrebbe aggiunto "fascista mancato". Se fosse stato ancora vivo, davanti a un bicchiere di vino o a caccia, con il fucile a tracolla, a fare strage di anatre, lo avrebbe ascoltato e poi, assestandogli una pacca sulla spalla, sarebbe scoppiato in una delle sue risate... e tutto gli sarebbe parso più chiaro, comprensibile.
Ma l'amico non c'era più: riposava accanto a Decimo, nel cimitero vicino al fiume. Decimo! Decimo volato  nell'aria e ricaduto nel fango in quel pomeriggio d'estate, Decimo dal quale era partita la scia di lacrime e disperazione, rabbia e dolore che avevano insanguinato il paese e fatto strage anche dentro di lui.
(continua... )
http://falilulela.blogspot.com/2011/07/storia-di-nebbie-e-acquitrini-puntata_05.html

martedì 5 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°19)

L'ultima volta in cui Gualtiero era ritornato al paese, approfittando delle festività pasquali, aveva colto in quella tavolata allestita sull'aia, all'ombra di quell'albero di noci secolare, i primi segni del disincanto...
Le donne andavano avanti e indietro come sempre, quasi fossero formiche intente a trasportare provviste per l'inverno, reggendo tra le mani i piatti dove fumavano e profumavano i tortelli di zucca, l'agnello, le patatine novelle ben rosolate. Gli uomini assaggiavano per primi, anche perché nessuno di loro si alzava a servire, limitandosi a scegliere il vino e a stappare le bottiglie, poi, la bocca ancora piena, era stato l'uomo più anziano a esprimere il suo giudizio.
"Come li fa tua madre i tortelli, mio caro Gualtiero... " aveva detto suo padre e gli occhi di sua madre erano diventati lucidi d'orgoglio.
"Approfitta, servitene in abbondanza" aveva aggiunto, passandogli il piatto di portata; poi, rivolto all'Adenore, il figlio della Rosina, gli aveva ordinato: "Vai in cantina e prendi un paio di bottiglie di quelle che ti ho fatto mettere da parte questa mattina. E, mi raccomando, attento a non romperle!"
Pochi minuti dopo avevano sentito quell'inconfondibile schianto di vetro rotto e il bambino era spuntato, umiliato  e spaventato, dalla porta di casa: a mani vuote.
"L'era stiupid de fiol dela lupa, e l'è stupid de balila" aveva detto suo padre, aggiungendo, mentre faceva cenno al cugino più grande di alzarsi "e non è il solo. Non basta una divisa a fare di una testa vuota un uomo con i piedi per terra".
Sulla tavolata era calato il silenzio, interrotto nuovamente dalla voce, questa volta ironica del vecchio patriarca, che aveva detto: "Non sarebbe il caso che una piccola italiana o una giovane italiana  si alzasse per raccattare i vetri da terra, o vogliamo aspettare che qualcuno si faccia male?"
Poi, aveva scosso la testa e rivolgendosi a Gualtiero, che gli sedeva accanto, aveva borbottato pensieroso:
"Ora che Desmo non c'è più... ", ma lui l'avevo interrotto subito dicendo, le mani appoggiate sul tavolo che si stringevano a pugno: "Se fosse stato a questa tavola, a questa festa, avresti parlato diversamente".
"Sarei stato zitto, ma avrei pensato ciò che ho detto. Sono troppo vecchio per credere  alle favole... Vivere in campagna, spaccarsi la schiena arando, trebbiando, seminando è una guerra, oh questo nessuno meglio di me può saperlo! Ogni tanto una battaglia vinta, sì, ma poche e a duro prezzo... E non è bastato 'Lui' a torso nudo e falce in pugno a farci vincere la 'Battaglia del Grano'! Così l'ha chiamata, perché battaglie e guerre Lui le ama, tanto non le fa... "
Tremebondo, lo zio Aldo, fratello di suo padre, aveva continuato a guardarsi intorno, quasi a verificare che non ci fossero orecchie estranee alla famiglia a sentire quello sfogo, borbottando alla moglie, seduta accanto a lui: "Ci farà passare un  guaio, prima o poi ... "
A quel punto, la madre di Gualtiero era intervenuta dicendo:
"Non roviniamoci la festa, oggi ho saputo che diventerò di nuovo nonna... " e, alzando il bicchiere, aveva concluso con quel "brindiamo, brindiamo... " che aveva raggelato Marilena, già turbata da quanto era successo.
Pallida e magra, stonata in mezzo alle cognate, corpulente e chiacchierone, con quel suo abito di seta a fiori rossi e la borsetta elegante - l'unica, tra le donne sposate, a non portare il grembiule allacciato sui fianchi e a non rimbrottare, allattare o a seguire con lo sguardo un figlio - non aveva fatto sentire la sua voce, limitandosi a stringere la mano del marito quando il suocero aveva fatto il nome di Desmo. Ora, all'annuncio della suocera, sgomento e invidia le erano dilagati nello sguardo, mentre la mascella di Gualtiero si contraeva  e le donne di casa si alzavano tutte per andare ad abbracciare la futura madre, che raggiante, anche se un po' vergognosa, si accarezzava il ventre che cominciava a d arrotondarsi.
(continua... )
http://falilulela.blogspot.com/2011/07/storia-di-nebbie-e-acquitrini-puntata_03.html

domenica 3 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°18)

Desmo aveva fatto balenare davanti agli occhi di Gualtiero un mondo nuovo, diverso. Fatto di uomini non più solo chini sulla terra, sotto il sole, a far crescere il grano, grandine  e siccità permettendo, soggetti al padre a vita, legati a quella catena di obbedienza a tutto e tutti... miseria, per prima. Fatica tanta, continua, costante, ma scarso guadagno e nessuna considerazione. 'Contadino, scarpe grosse e cervello fino', ma per le scarpe i soldi non c'erano mai e il cervello fino era solo  l'atteggiamento di estrema diffidenza di chi troppe volte era stato imbrogliato. E ora che alla grandine, alla siccità, alla mastite delle vacche, alla furia del grande fiume, che esondava sistematicamente per ricordare a tutti che sulla pianura lui era il re, capriccioso come ogni re che si rispetti, si aggiungeva la rivolta dei più poveri, dei derelitti, dei miserabili  (l'ultimo anello della catena sul quale fino ad allora si era potuto contare)... E no! Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: non c'era spazio per altre incertezze, per altre ansie. Quelle spighe, costate sudore, passate indenni attraverso i capricci non gestibili di una natura matrigna, e quelle vacche, con quel bendiddio di latte pronto per essere munto nelle mammelle rosate e ciondolanti, non potevano finire nel nulla per una ribellione, un rifiuto dei braccianti a fare ciò che fino a quel momento avevano elemosinato, con il cappello in mano e un 'grazie siur parun' sussurrato a mezza voce. Non bastavano più il sudore e i lavoratori pagati a giornata per racccogliere il frutto del proprio lavoro? Ci voleva anche il sangue? E allora che sangue fosse!
Così, con la foga che gli era abituale, trovando le parole che a Gualtiero facevano difetto ma sull'onda, apparentemente, delle stesse emozioni, Desmo aveva convinto lui, Gualtiero, ad aderire a quei principi che erano alla base del fascismo e s'incarnavano nella figura del suo capo, quel Mussolini che non soltanto loro, ma tutto (be', la maggior parte) del popolo italiano, idolatrava. Il fascismo era diventato per l'amico la grande speranza su cui contare, il sogno da realizzare, la giustificazione alla sua violenza e alla sua prepotenza che, da difetti e limiti, erano diventate pregi, virtù delle quali andare fieri.
Nella sua divisa, alto e biondo, la camicia nera che gli dava un'appartenenza e un potere che mai avrebbe pensato di poter avere, Desmo si era sentito un guerriero legittimato a combattere per una giusta causa.
Lui, Gualtiero, l'aveva delegato a pensare anche per lui, a trovare il modo giusto per  preservare i suoi tesori, quella casa sul fiume con il suo fazzoletto di terra e Marilena, che aveva scacciato finalmente la solitudine dalla sua vita.
Ma ora, ora che gli anni erano passati e che Desmo non c'era più - e rabbia e dolore s'intrecciavano furibondi al solo pensarlo, ricordando com'era avvenuto - aveva ripreso, era stato costretto, a riprendere a ragionare di nuovo con la sua testa: attività che non gli era congeniale, che lo turbava e lo affaticava più di una giornata passata in fabbrica a sfornare viti e bulloni.
Ma troppe cose stavano cambiando intorno a lui; non soltanto in casa con la moglie, anche in fabbrica e perfino in campagna dove, quando andava per le feste a trovare la famiglia, gli sembrava che anche i tortellini avessero un altro sapore... Ma, forse, era soltanto lui che aveva la bocca amara e aveva perso il gusto dei cibi genuini.
(continua... )

sabato 2 luglio 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°17)

Si erano sposati e lei, Marilena, del suo matrimonio conservava nella memoria una serie di immagini in bianco e nero. Poco bianco: la torta inzuccherata, il fascio di margherite tra le sue braccia  (insolito bouquet che aveva raccolto fiore a fiore nei campi) e quell'abito (complice la solita Rosina, che nemmeno in quell'occasione gioiosa aveva rinunciato a un vestito grigio ferro, appena ingentilito da un collo di pizzo) lungo e morbido che le scivolava addosso, lasciando scoperta la punta delle scarpe, di capretto color latte con il cinturino alla caviglia. In testa un velo semplicissimo, trattenuto da una coroncina  di margherite minuscole. E, intorno, il mare delle camicie nere... Tante, troppe, venute anche dai paesi vicini, in omaggio agli sposi, ma soprattutto in segno di rispetto per Desmo, testimone e migliore amico dello sposo.
Uscita dalla chiesa al braccio di Gualtiero, alzando gli occhi verso il cielo e vedendo quei pugnali incrociati sotto i quali erano passati di corsa, aveva riprovato la sensazione che per anni l'aveva tormentata in collegio: tra lei e il cielo sbarre, di nuovo sbarre a delimitare uno spazio chiuso. Una nuova prigione? Ma Gualtiero al suo fianco le aveva sorriso, gli invitati avevano applaudito, il riso le era scivolato nella scollatura facendole il solletico e quella sensazione si era dileguata, come una nuvola estiva all'orizzonte non è presagio di temporale se si sfalda in fretta e il vento la disperde.
Poi c'era stato il banchetto di nozze: strozzapreti, salsicce, passatelli e, a esaltare il gusto di quei miracoli ottenuti 'tirando la sfoglia' fin dalle prime luci dell'alba, il brodo. Tagliata la torta nuziale, Desmo aveva alzato il calice alla salute degli sposi, borbottando, ormai ubriaco: "Figli maschi in abbondanza... , ma non dimenticare, tra le braccia della tua bella sposa, gli altri tuoi doveri di fascista. Se siamo disposti a perdonare la tua mancata partecipazione alla 'Marcia' - e a queste parole gli uomini presenti erano balzati in piedi, il braccio teso nel saluto fascista - non ti consentiremo altre defezioni. Ci aspettano alcune spedizioni per ripulire il paese da quei topi di fogna... Li faremo cagare anche le budella... " aveva concluso, ricadendo a sedere pesantemente, la testa che gli ciondolava sul collo, mentre la tavolata esplodeva negli applausi.
" Ma è vero che usate l'olio di ricino per... " lei aveva chiesto al marito, e lui l'aveva rassicurata dicendo: "E' ubriaco, non lo vedi. Desmo, come al solito, ha bevuto troppo." Poi, aveva aggiunto: "Ora abbiamo altro da fare noi due... " sorridendole allusivo, mentre si alzava a ringraziare tutti i presenti e prendendola per mano la faceva salire sul calesse infiocchettato, afferrando le briglie.
Avevano percorso la strada che portava alla loro casa sul fiume e si erano seduti come allora, la sera in cui si erano conosciuti, sull'argine... Avevano fatto l'amore mentre le prime ombre della sera si allungavano sulla campagna, il vestito e il velo da sposa sull'erba, chiari come una vela bianca su un mare verde.
(Continua... )
http://falilulela.blogspot.com/2011/06/storia-di-nebbie-e-acquitrini-puntata_30.html

Visione del tutto personale della scrittura, nulla di accademico:
http://falilulela.blogspot.com/2008/12/il-potere-della-scrittura.html