venerdì 30 dicembre 2011

Chi ha mai visto uno squalo ridere?

Uno più educato dell'altro questi ministri, eloquio misurato, appena sottolineato da sorrisi accennati che i denti non li lasciano nemmeno intravedere... Del resto, chi ha mai visto uno squalo ridere? E' abissale la differenza rispetto ai politici che li hanno preceduti. Salta all'occhio: eppure, invece di rassicurarmi, m'inquieta.
Alla politica, da parecchio tempo, non avevano accesso, frutto di una selezione rigorosa, i migliori. Avidi, corrotti, arroganti, decisi ad acciuffare anche un solo pizzico di potere ma a tenerselo ben stretto tra le dita, i politici di oggi sono stati i protagonisti di una commedia, evolutasi in spettacolo di varietà d'infimo ordine, culminato, infine,  in tragedia. Poi è calato il sipario, sotto un mare di fischi e - miracolo dei miracoli - cosa è apparso? Un'armonia misurata  e perfetta di canto, mimo e danza, tipo Kabuki per intenderci, ossia raffinato teatro giapponese.
A differenza dei politici, gli attuali tecnici, sono frutto di una selezione basata su criteri diversi: sono gli uomini (e le ben poche donne) che hanno vinto facendo vincere. Sono stati i "consiglieri", quelli che hanno guidato le grandi istituzioni internazionali, partecipato ai summit più esclusivi, insegnato nelle università più prestigiose... Sono fatti di un'altra pasta, avvezzi a convivere con il potere, a condividerlo, facendone parte, ma con discrezione. Senza inopportuni schiamazzi.
Sono preparati, professionali e... sinceri. Non raccontano balle. Perché dovrebbero farlo? Non devono fare i conti con i sondaggi, né risultare "simpatici", e men che meno rassicurare. Sono stati chiamati a risolvere problemi. Pratici. A salvare l'Italia. Concetto vago... Quale Italia? Quella dei ricchi, quella mafiosa, quella operaia? O quella dei giovani? Dei vecchi, delle donne, dei malati?
Per me - e tanti/e come me - l'Imu (leggi nuova Ici), ad esempo, non è solo una nuova imposta: è anche un furto legalizzato, una patrimoniale iniqua che colpisce chi ha pagato le tasse (non eludendo e non evadendo).
E', insomma, anche una faccenda morale e, oserei dire, passionale... Che non è gazzarra leghista, pagliacciata berlusconiana e "buonismo" di sinistra. 
E' un'altra cosa: è la Politica!
Quella di Pertini, Berlinguer, Nenni, De Gasperi... 
Che tristezza e che... nostalgia.




giovedì 29 dicembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n° 15 - Seconda parte)

Masticando tra i denti un'imprecazione, Gualtiero, a voce alta, mentre la Rosina riallacciati i bottoni della camicia spariva nello stanzino accanto subito seguita dal ticchettio imperioso dei tasti della macchina da scrivere, esclamò: "Avanti!", assumendo quell'aria meditabonda che, nell'uomo d'azione, simboleggia la riflessione. 
La porta si aprì inquadrando il fisico massiccio del Presidente della società. 
Gualtiero, abbandonata l'aria marziale in omaggio alla gerarchia, gli andò incontro, stupito ma ossequioso, rimanendo impalato di fronte al capo, mentre si chiedeva cosa potesse averlo indotto a presentarsi nel suo ufficio.
"Se vuole accomodarsi... A cosa devo... " borbottò, ma l'uomo davanti a lui lo interruppe. Deciso.
"Siete molto stimato nelle 'alte sfere' ", dichiarò, rifiutando la seggiola che Gualtiero gli offriva.
Seguì un attimo di silenzio; poi, tra il serio e l'ironico, il Presidente esclamò: "Sembra siate un ottimo segugio!"
Gualtiero, rassicurato e inorgoglito dalle parole pronunciate, piegò appena la schiena. In silenzio, in attesa.
L'altro lo guardava, una punta di disprezzo nello sguardo.
"Hanno pensato a voi per un incarico delicato. Molto delicato." commentò.
"Ne sono onorato... " rispose Gualtiero.
"Mia moglie è un'ottima padrona di casa e ha organizzato una cena" aggiunse.
"Quando?" chiese Gualtiero.
"Questa sera; quattro chiacchiere". Poi, mentre la sua voce sembrava subire una qualche forzatura, aggiunse: "Tra amici e, se posso permettermi, portate la vostra - a quanto mi è stato riferito- deliziosa Signora".
Poi, brusco e nuovamente imperioso, "Per il Duce e per la Patria... " borbottò il Presidente, facendo il saluto fascista, prima di voltare la schiena  a Gualtiero e uscire, con evidente sollievo, dall'ufficio.
Nell'aria rimase una traccia lieve di colonia maschile. Di marca.

(continua... )

mercoledì 28 dicembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n° 14 - Parte seconda)

Il treno, diretto a Lugano, attraversava verdi campi squadrati e paesi che sembravano dipinti con le matite colorate da uno scolaro puntiglioso. Ogni tanto dalla locomotiva si levava un  fischio che rompeva il silenzio lasciando indifferenti i passeggeri, ad eccezione di quei due uomini che sobbalzavano, entrambi, sollevando il basco calato sulla faccia, svelando la barba non rasata da giorni che, come una ditata di sporcizia sulla faccia di un minatore, ne scuriva i volti che tradivano oltre alla stanchezza una persistente, strenua attenzione. Il Professore, battezzato Piero, si guardava intorno stranito, osservando quei volti rilassati o corrucciati, qualcuno annoiato... Avvertiva la fatica, percepiva la variabilità delle emozioni e dei caratteri, ma anche quel  denominatore comune che identificava i passeggeri dando loro un'aria vagamente ottusa. Si scambiavano commenti sul tempo, sui raccolti, sui fatti del giorno... Qualcuno rideva, altri, dubbiosi, si grattavano il mento, e c'erano pure quelli che, desiderosi di essere lasciati in pace, rispondevano freddamente, abbassando le palpebre per comunicare una decisa indisponibilità al dialogo.
Insomma, ciascuno faceva ciò che voleva: educatamente, ma in libertà. In libertà - pensò Piero, e quella parola sembrò scoppiargli dentro come un petardo natalizio, come  fuoco d'artificio che in una notte d'estate, cascata di stelle colorate, si spenga prima di giungere a terra.
Rimpianto e rabbia gli esplosero nello sguardo, gli contrassero le mani a pugno sbiancandone le nocche che sembrarono, per un istante, bucare la pelle. Non mi prenderanno, non finirò nelle loro grinfie... Combatterò contro i fascisti fino all'ultimo respiro... - pensò, cogliendo lo sguardo interrogativo del passeggero che gli stava seduto davanti. Accennò un sorriso, riprendendo il controllo, e chiese: "Manca molto per Lugano?"
L'uomo lo squadrò, poi, rassicurato da quel sorriso, rispose: "Siamo quasi arrivati" aggiungendo "da dove venite? Siete italiani?"
Piero annuì, allungando un colpetto al compagno che gli sedeva accanto e che sobbalzò, spaventato, portando la mano, in un gesto quasi automatico, alla tasca. Ma gli bastò un'occhiata circolare per fargli ricadere la mano in grembo e fargli nascere sulle labbra un sorriso.
Il  treno rallentava la sua corsa: erano arrivati a destinazione.
Erano salvi!

(continua... )

lunedì 26 dicembre 2011

Banche centrali e testate nucleari

E, ora, finita la fase uno ("prendi i soldi e... scappa"), il governo dei "tecnici" darà l'avvio alla fase due, in merito alla quale ci sarebbero già (?) in circolazione delle idee. 
Idee?
La situazione impone un rapido riepilogo in merito agli obiettivi della manovra in atto conseguiti o da conseguire. Ispirata ai tre (irrinunciabili ma diversamente procrastinabili) principi dell rigore, dell'equità e dello sviluppo, per il momento, si è limitata a centrare l'obiettivo del rigore, permettendo al governo Monti di raccogliere circa 30 miliardi di euro, agendo, però,  quasi esclusivamente sull'imposizione fiscale, innalzata a livelli tali da sconvolgere anche la tradizionale suddivisione in classi della società. 
Infatti la cosiddetta "classe media" si sta volatilizzando, assorbita da una massa di poveracci che fino a questo momento erano tali, soprattutto, perché disoccupati. L'anomalia, la follia, l'ingiustizia (non saprei in che altro modo definirle) di questo declassamento colpiscono, attualmente anche se non sempre, occupati, persone che hanno un lavoro, ma remunerato in misura così limita, da non consentire - procurandosi perlomeno una casa e un pasto caldo - di vivere dignitosamente.
A quando, mi chiedo, le prime roulotte da contendere ai "rom", ai bordi delle città?
E allora mi sorgono dei dubbi. Sempre più numerosi, sempre più corrosivi. Staranno (loro: i politici, gli economisti, l'attuale classe dirigente) facendo le scelte giuste?
I politici che li hanno preceduti hanno perseguito tenacemente l'introduzione dell'euro, accompagnandola con grandi promesse e con conseguenti grandi speranze. Stabilità dei prezzi e sviluppo, il binomio inscindibile da conquistare. Con accortezza, lo sappiamo, un colpetto all'acceleratore e uno al freno, ma la locomotiva europea ci avrebbe portati lontano...
E qui sono cominciati i guai: prevalsa la tesi dei tedeschi (memori della svalutazione che aveva seppellito sotto una montagna di marchi, ridotti a carta straccia, la Repubblica di Weimar e la democrazia, aprendo la strada a Hitler) di privilegiare la difesa del potere d'acquisto della moneta, venne istituita una Banca centrale europea, apparentemente potente ma minata nel suo operato dalla mancanza di coesione politica degli Stati membri.
Gli speculatori sanno che la Federal Reserve o la Banca d'Inghilterra potrebbero stampare moneta per bloccare una speculazione in atto contro il dollaro o la sterlina... La Bce no!, non può farlo. 
Pestereste i piedi a un Paese dotato di testate nucleari? Probabilmente no, pur sapendo che difficilmente potrebbero essere usate, per una lunga serie di evidenti motivi.
Quindi sul Debito dei Paesi meno virtuosi si specula ( è il mestiere degli speculatori) salgono gli spread, calano le quotazioni in borsa, l'esigenza di "fare cassa" prevale su ogni altra motivazione, i consumatori impoveriti deprimono, non comprando, i consumi, le aziende chiudono e/o delocalizzano (è il mestiere degli imprenditori guadagnare comprimendo i costi), la disoccupazione aumenta...
Diventa difficile centrare l'obiettivo dello sviluppo. Senza sviluppo non si riduce la disoccupazione... e l'equità, con un giovane su due che non trova lavoro, è una promessa. Vana.
E se si volesse approfittare della situazione per, ampliando il divario sociale, redistribuendo a favore dei più abbienti, la ricchezza? Niente di più facile.
E allora? Drizzare le orecchie, fare attenzione, tanta, ed essere un po' folli. 
Forse un po' più di un po'...
Buon Natale a tutti!

domenica 11 dicembre 2011

Landini e gli uomini rotti

Maurizio Landini, ospite ieri sera di Fabio Fazio  a 'Che tempo che fa', è un fiume in piena: teso, pallido, cerca di sfruttare al meglio quei pochi minuti di esposizione televisiva che gli vengono concessi per far passare soprattutto un messaggio, quello che più gli sta a cuore, quello che ritene fondamentale... Altro che esperti che conciliano, calibrandoli, sviluppo, equità e politica di bilancio!

Quello in carica, lungi dall'essere un governo tecnico, sta facendo e ha fatto scelte squisitamente politiche, improntate saldamente al principio che la crisi, nel segno della continuità, debba essere pagata quasi esclusivamente dalla classe media e medio bassa. Landini lo sa (lo ha capito e temuto fin dall'inizio), lui, che al vertice della Fiom percepisce poco più di duemila euro di stipendio al mese e dirige un sindacato che si mantiene con i contributi dei lavoratori metalmeccanici: quei lavoratori sui quali la Fiat ha scaricato - in buona parte - la responsabilità della crisi che la travaglia.
"Beco e bastona' " avrebbe detto mia nonna che, quanto a sintesi, non aveva rivali.

La Fiat è in crisi perché non fa investimenti, perché non c'è innovazione né di prodotto, né di tecniche di vendita. La Fiat non ha più voglia di produrre in Italia perché produrre altrove le costa meno, le permette di ottenere finanziamenti che in Italia non potrebbe (più) avere. Questi  sono i problemi veri che andrebbero affrontati, ma risulta molto più facile tagliare il costo del lavoro, tout court, non indicizzare gli  stipendi, ingabbiare alle catene di montaggio - ancora per anni   - quelli che Landini ha chiamato 'uomini rotti', usando parole che non mi fanno piangere - come farebbe qualche ministro di buon cuore - ma mi impietriscono dentro.Me li vedo questi uomini, inquartati dagli anni, stanchi, mortalmente stanchi, che non possono caricarsi sulle spalle altri sacrifici... sono muli che hanno fatto solo questo, ogni giorno, per venti, trenta o quarant'anni...
Tanto varrebbe ammazzarli, sarebbe più misericordioso, ma sarebbe decisamente ingiusto.

Marchionne si diverte a svegliarsi all'alba al suono degli uccelli e a sciropparsi 18 ore al giorno di lavoro? C...i suoi, ognuno si diverte come vuole. Ma imporre a un intero Paese questi ritmi, tagliando, in aggiunta, stipendi e salari, motivando tali scelte frettolosissime con l'urgenza dettata dai comportamenti dei mercati finanziari, attuando una politica distributiva del reddito iniqua, relegando in soffitta libertà sindacali che sono state pagate a caro, carissimo, prezzo da chi ci ha preceduto...

Eh no!, Landini non ci sta, ha negli occhi e nel cuore quegli uomini rotti, lo loro disperazione spesso muta, la loro rabbia impotente... Sono uomini che vede tutti i giorni, con i quali parla, ai quali può promettere soltanto che continuerà a lottare: per un Paese che non è così povero come vogliono farci credere. E' soprattutto ingiusto, sempre più insopportabilmente e intollerabilmente ingiusto!

sabato 10 dicembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°13 - Parte seconda)

Gualtiero superò anche la morte di Primo, accantonò i rimorsi, trovò una giustificazione per ciò che aveva fatto e saltò decisamente quel confine che ancora, incerto, gli aveva impedito fino a quel momento, pur facendo ciò che aveva fatto, di sentirsi soddisfatto. Con Primo seppellì anche la sua ambiguità che, in fondo, nasceva più dalla paura di perdere la moglie che dal timore di comportarsi in modo non corretto. Rendersi conto che Marilena non se ne sarebbe andata, che si sarebbe limitata a indirizzargli qualche frase sferzante, gli aveva dato un senso  di sicurezza, l'aveva fatto sentire padrone della situazione. Aveva scoperto, con sorpresa  ma non senza una sottile sotterranea soddisfazione, che poteva incutere timore negli altri, lui, il modesto contadino della Bassa, lui che era cresciuto togliendosi il berretto davanti a tutti, senza saper trovare le parole per difendersi, sentendosi sempre fuori luogo o fuori posto. Poteva dire di averne fatta di strada, poteva misurare il cammino fatto da quelle occhiate che lo seguivano servili quando si faceva largo tra la folla nei giorni festivi: la bella moglie al fianco, impellicciata, gli stivali lucidi che gli davano un'aria marziale, lo sguardo che ora si era fatto abitualmente freddo e indagatore. Aveva capito da che parte stare; senza tanti studi, senza tante belle parole aveva saputo fiutare il vento giusto... Ora anche Desmo sarebbe stato fiero di lui, e con una delle sue risate contagiose gli avrebbe detto: "Bravo Gualtiero, bravo! Ora sei proprio un fascista perfetto!"
Come lui, Mussolini fremeva, smanioso di ulteriori spazi da conquistare... l'Abissinia aspettava solo di essere colta, come una mela matura alla fine dell'estate. L'Africa, un continente da scoprire, nuove terre da arare, coltivare... No, no, il suo posto non era tra i contadini, il suo posto era in città a snidare gli antifascisti, sciame fastidioso che come zanzare estive punzecchiava Mussolini, lo infastidiva, ne minava la credibilità...
Il ronzio degli impianti in azione, il fumo della fabbrica, l'odore aspro della polvere, tutto lo riconciliava con la vita - pensò Gualtiero seguendo con lo sguardo il dondolio dei fianchi della segretaria.
Lei si voltò, quasi avesse sentito sulla pelle quello sguardo e, arrossendo, gli chiese: "Ha ancora bisogno di me?".
Lui si alzò. Lentamente, fissandola, si avvicinò senza risponderle. Quando allungò le mani per afferrarla, ebbe la sensazione di stringere tra le dita una coniglietta terrorizzata. Tiepida, calda. Affondò nel rosso dei suoi capelli e chiuse gli occhi. 
Qualcuno bussò alla porta dell'ufficio, un battere di nocche insistente.

(continua... )

venerdì 9 dicembre 2011

Privilegi della Corona?

L'Inghilterra non ha adottato l'euro al posto della sterlina.
Libera di farlo.
L'Inghilterra, però, ha una partecipazione (pari al 16%), più alta di quella italiana, nel capitale della Bce.
Sta, quindi, con un piede dentro e l'altro fuori all'interno della Unione europea.
Molto comodo, ma poco corretto per un Paese che ha fatto scuola in tema di democrazia, che altro non è (la democrazia, in estrema sintesi) se non imposizione di regole, da parte della maggioranza, e rispetto delle stesse, da parte di tutti.
Il governo inglese invece sceglie: a seconda della propria convenienza... diversamente da tutti gli altri Paesi membri.
Privilegi della Corona?

mercoledì 7 dicembre 2011

Chi tutela i diversamente poveri?

             Ma cosa vi aspettavate facesse Mario Monti? Robin Hood? L'uomo che ruba ai ricchi per dare ai poveri? E' stato chiamato a "fare cassa". Presto, il più velocemente possibile, e questo è quello che ha fatto.
Lui, Monti, e la sua schiera di "professori"ci hanno fatto dono di uno stile, di una misura, di un'eleganza al potere di cui avevamo perso il ricordo. Certamente,  ma questo è e rimane l'aspetto formale della manovra. L'aspetto sostanziale è prendere ai tanti poveracci e nulla (o quasi) ai ricchi.
Perché questi pochi, pur girando in Ferrari, abitando in ville faraoniche, spendendo denaro a fiumi... sono invisibili. Ci sono, ma loro e i loro patrimoni sono protetti da schiere di avvocati, commercialisti, creatori d'immagine, giornalisti e via discorrendo. Il loro rappresentante (e difensore) era ed è Berlusconi.
Poi c'è la massa dei "non ricchi" o- come si direbbe oggi - dei "diversamente poveri". Non protetti da nessuno, se non da un sindacato, troppo spesso litigioso e diviso, visibilissimi con le loro casette, spesso gravate da mutui, i loro stipendi, salari e pensioni versati al netto delle imposte e ai quali si può attingere con la leggerezza con cui si staccherebbe una mela matura dal ramo di un albero che sporgesse, invitante, dalla recinzione di una villa.
       Condita anche dalle lacrime (sincere, ma inopportune), di una delle poche "esperte" presenti, è andata in scena la commedia: Italia, giovane e un po' avventata protagonista femminile, dopo molte peripezie, sacrifici, atti di eroismo, verrà salvata dal principe. Non proprio fascinoso, più grigio che azzurro, ma fermo. Preparato, addestrato nelle giuste palestre, pagato per controllare i mercati o scatenarli: ma, comunque, per mantenerli in vita.
Perché questo, signori, è l'Occidente, è il capitalismo, è l'Europa (o l'Ue che dir si voglia ) e questo è il motivo per cui questo governo in carica è il più politico e, forse, uno dei più pericolosi governi che abbiamo avuto.
Una governance di esperti al servizio non della discontinuità dichiarata, ma della continuità.
Più gattopardesco che mai!











martedì 29 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°12 - Parte seconda)

Il marito della contadina, sentendo voci sconosciute,  si era affacciato alla porta della stalla. Diffidente, stava osservando i due uomini ai quali, poi, ripulendosi le mani nel grembiule, si avvicinò, lento.
"Da dove venite?"
"Dall'Italia" rispose il più giovane dei due, sollevando lo sguardo verso quella montagna d'uomo che lo sovrastava letteralmente.
"Cosa siete venuti a fare in Svizzera?" 
"A fare? A cercare, vorrete dire... A cercare ciò di cui tutti abbiamo bisogno. Lavoro, cerchiamo lavoro... "
Lo svizzero assunse un'aria un po' più rilassata, anche se non appariva troppo convinto. Si grattò il mento borbottando: "Ah capisco, ma anche qui non è facile... Io faccio tutto da solo e non ho bisogno di nessuno, mio figlio, anche se è poco  più di un ragazzino, è già in grado di darmi una mano... "
"Ah capisco, be', potremmo proseguire per Lugano; lì vivono lo zio e un cugino del mio amico - e così dicendo il Professore cercò con lo sguardo il compagno che gli stava accanto in silenzio - i quali, forse, potrebbero darci una mano, almeno speriamo! Voi potete darci un passaggio sul carro? Vostra moglie ci ha detto che il casaro al quale portate il latte... "
"Sì, sì, ho capito: se è solo questo che vi serve, non ci sono problemi; all'incrocio, dove vi posso portare senza problemi perché è la strada che faccio tutte le mattine, vi farò scendere, una scarpinata di un'oretta e sarete alla stazione. Poi andrete dove voi, o il diavolo, deciderà di portarvi... "
I due che gli stavano davanti sorrisero, ringraziando, ma l'uomo concluse dicendo: "Il riposino ve lo scordate, io parto subito: non ho tempo da perdere" ed era evidente il suo desiderio di liberarsi il più rapidamente possibile dalla presenza di quei due estranei che, come giustamente  sospettava, dovevano aver passato la frontiera clandestinamente, provenendo dall'Italia. Non erano i primi  e non sarebbero stati gli ultimi che avrebbe visto sbucare dal sentiero come fantasmi, di primo mattino e di sera, con quelle facce stanche e nello sguardo la paura e l'audacia, una strana mescolanza di sentimenti che caratterizzava quei fuggitivi... Perché  erano dei fuggitivi, gente che scappava dall'Italia, da quel capo, vestito di nero, dalle parate minacciose... Oh lui ne sapeva poco di politica - e ancora meno avrebbe voluto saperne - ma di Mussolini parlavano tutti i giornali, anche se lui non li leggeva. Sentiva soltanto le chiacchiere all'osteria, ma non era uno stupido - pensò, salendo sul carro, mentre i due vi saltavano sopra, avvolgendosi stretti nel mantello.
Dopo pochi minuti erano già addormentati, cullati dal suo fischiettare sommesso e dal canto degli uccelli che il sole che si alzava alto nel cielo, intiepidendo l'aria della vallata, buttava fuori dai nidi.

(continua... )

sabato 26 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°11 - Parte seconda)

Tutto era filato liscio: la macchina era stata nascosta nel fienile di Massimo, uno dei loro sul quale sapevano di poter contare; un caffè, finalmente caldo, per rinvigorli e poi, gambe in spalla, i fuggitivi avevano scarpinato a lungo seguendo viottoli che li avevano portati a ridosso del confine con la Svizzera.
"Questo breve tratto è 'terra di nessuno'. Correte, pensate soltanto a correre... " Si erano abbracciati: il Professore che si perdeva, piccolo e nero, contro il torace ampio e muscoloso del compagno; ancora una manata sulle spalle e via! Via di corsa, sentendo l'erba crepitare sotto le scarpe e il sangue rombare nelle orecchie... 
Poi, non avrebbero saputo dire quando, si erano fermati, dopo essersi intrufolati strisciando pancia a terra attraverso quel varco che gli Svizzeri fingevano di non vedere. Avevano puntato gli occhi sul bosco che si ergeva compatto alle loro spalle, avevano fatto ancora un cenno con la mano e poi, la tensione che si allentava, avevano rallentato il passo, respirando quell'aria che sembrava entrare più leggera nei polmoni. 
Erano salvi! Erano liberi!
Passarono davanti a una cascina: una donna stendeva ad asciugare dei panni bagnati. Canticchiava a mezza voce. Dalla stalla giungeva un battere di zoccoli... Si fermarono, scambiandosi uno sguardo: la normalità esisteva ancora, e il paesaggio ordinato che la valle svelava stava lì a sbandierarla in tutta la sua pacata concretezza.
"Scusi, la stazione ferroviaria più vicina?" 
La donna sorrise rispondendo: "E' a qualche chilometri da qui... "
"Possiamo riposarci un momento?" domandò il Professore, crollando a sedere sul ciglio della strada.
"Dobbiamo muoverci... " sussurrò l'altro.
"Siete fortunati, mio marito porterà, tra poco, il  latte al casaro; a meno di due chilometri dal  caseificio c'è la stazione. La volete una tazza di latte? E' ancora caldo: appena munto!"
"Possiamo sdraiarci un momento nel fienile?"
"Se volete entrare in casa... "rispose la contadina.
"Ci basta il fienile e, quanto al latte, lo accettiamo volentieri".
Nonostante l'aria stremata, l'uomo più giovane e minuto, l'ultimo che aveva parlato, s'imponeva. Calmo e sicuro aveva quello sguardo che a volte hanno i bambini, ma soltanto quelli cresciuti troppo in fretta e depredati dell'infanzia.

(continua... )

venerdì 25 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°10 - Parte seconda)

Gualtiero allungò un braccio cercando il calore del corpo della moglie, meccanicamente, in un gesto che gli era abituale. Ma lei non c'era, si era già alzata e, attenta a non svegliarlo, armeggiava in cucina.
La stanza, in ordine, sembrava quella di sempre, la luce che filtrava dalle imposte socchiuse era forse più smorzata, meno brillante, ma il suo cambiamento annunciava soltanto l'arrivo dell'autunno e lui lo coglieva con l'immediatezza con cui i contadini avvertono ogni minimo cambiamento nella natura che li circonda...
Si alzò, si lavò rabbrividendo sotto il getto fresco dell'acqua, si sbarbò e andò in cucina; sul tavolo la tazzina di caffè, scuro, amaro come piaceva  a lui, il bricco del latte e i biscotti... Marilena gli voltava le spalle, trafficando attorno al fornello. Silenziosa.
Anche lui taceva, inzuppando i biscotti nel latte, dopo aver ingoiato il caffè in un sorso solo, una smorfia sulla faccia quasi avesse trangugiato una medicina...
"Bene, io vado... " e, dopo una lieve esitazione "ci vediamo alla solita ora" concluse, uscendo dalla cucina.
Lei non rispose, soltanto le sue spalle, quelle sue spalle esili che lui aveva tante volte circondato con un braccio, proteggendole, tradirono un sussulto, un tremore di uccello spaventato.
Uscì dalla cucina, dopo aver lasciato scorrere lo sguardo sulla credenza, le tendine a quadretti, l'orologio a muro, dipinto di bianco, la vestaglia azzurra che avvolgeva Marilena, la finestra che lasciava intuire il cielo che schiariva di minuto in minuto.
Mentre si chiudeva la porta d'ingresso alle spalle, si voltò e infilò la chiave nella serratura, contrariamente a quanto abitualmente era solito fare. La imprigiono in gabbia, come una gallina nel pollaio o una vitella nella stalla - pensò, ma il suo viso, rigido e duro, non tradiva emozioni mentre scendeva le scale, impettito come sempre, rispondendo al saluto del portinaio, non prima di averlo avvolto in uno di quegli sguardi attenti, indagatori, utili a fargli capire se qualcosa del litigio violento della sera prima fosse filtrato... Se qualcuno avesse udito e magari commentato, se la rispettabilità piccolo-borghese, così duramente conquistata, fosse stata anche se solo di un soffio incrinata...
No!, il portinaio, che aveva il sorriso un po' falso di sempre, disse: "Sta arrivando l'autunno", così come aveva sempre commentato l'arrivo delle altre stagioni... Era tutto sotto controllo, poteva stare tranquillo - pensò, rispondendo: "Quest'anno è in anticipo, ma le stagioni, come il resto, stanno cambiando!"
Poi, lo accolse la strada con il suo abituale odore di polvere.

(continua... )

giovedì 24 novembre 2011

Un paron de maniera


Sarà un Nadal  ben triste
per quei settantamila, 
e meno mal che 'l'iera
un paron de maniera, 
col maion
girocolo 
e gnanca la cravata...
E tuti a dir che bravo
'borghesia illuminata'
...
ma noi veci savevimo
che manco un faro basta
a s'ciarirghe le idee,
perché per i paroni 
ghe vol solo i bastoni.

Le babe che le pianzi, 
i pici senza zoghi, 
i masci in osteria,
che, tanto, la Rosina
no la xe  scandalizza
a sentir 'na bestemia
che 'l vento porta via
...
'Cristo no xe paron, 
Cristo capissi, speta'
la pensa
'ntanto che se ghe spegni,
tra i dedi,
sfregolando,
l'ultima spagnoleta.

lunedì 21 novembre 2011

Ho visto rosso, come i tori.

Pardon. Ieri sera ho visto rosso, come i tori, ma ora andiamoci piano ed elenchiamo i fatti.
Il dottor Marchionne, come ogni manager dovrebbe fare, ha trovato la via per ridurre i costi all'osso e massimizzare i profitti. Qualunque costo e, a maggior  ragione, quello del personale. Si è mosso stabilendo regole aventi come obiettivo l'aumento della produttività del lavoro. Se queste nuove regole saranno ora estese a tutti i lavoratori Fiat, rendendone più dura la già grama vita, non sono affari suoi.  Ha detto "ciao" a Confindustria, ha fatto il gesto dell'ombrello alla Fiom e alla Cgil - gli altri sindacati avevano firmato l'accordo di Pomilgiano e Mirafiori - e ha preso l'aereo per l'America.
Questo è un manager coi fiocchi, un tecnico, un esperto!
Se il governo Monti non dovesse farcela, potremmo sempre ricorrere a lui. Teniamolo presente. E gli altri imprenditori cosa faranno? Resteranno a guardare? O allungheranno la zampetta per adeguarsi?
Non mi lascia tranquilla che il dottor Marchionne sia stato additato, come esempio imprenditoriale da seguire, dall'attuale presidente Mario Monti... che però, con i toni pacati che - giustamente - piacciono a tutti noi, ha chiesto anche coesione sociale e promesso equità.
L'altro fatto che contraddice le parole pronunciate è la scelta di una patrimoniale da applicare subito - per equità (?)  a tutti -  al posto dell'Ici, abolita da Berlusconi, ma recuperata dai Comuni con l'immediato aumento dell'addizionale Irpef comunale, che resterà comunque in vigore, presumo per assicurare la coesione: tra tecnici e politici? Ma noi cittadini l'avevamo inteso in termini diversi il concetto di coesione.
Cambierà nome, però, e "peso", poiché la rendita catastale su cui si basa sarà rivalutata e quindi la renderà più onerosa. Noi cittadini la patrimoniale sulla casa (anche la prima) la pagheremo subito, la pagheremo di più, pagheremo anche l'addizionale Irpef... pagheremo imposte più alte all'atto della cessione di un immobile. Intanto commercialisti astuti, spulciando nel groviglio di norme tributarie contraddittorie e complesse, troveranno la via per eludere la tassazione: immobili non censiti (al Sud uno su due!), intestazione a società di comodo con sede in luoghi fantasiosi e... via dicendo. Per gli immobiliaristi, quelli che possono concedersi commercialisti di chiara fama. Come Tremonti.
Si parla anche di un ulteriore aumento dell'Iva: Così si fa cassa subito, ma aumentando i prezzi e di nuovo l'imposizione fiscale. Ma non per gli evasori... Come sempre?
Le chiamerebbe misure per lo sviluppo queste, dottor Monti? E lei, dottor Passera?
Eque!?

Pecunia non olet

Forse perché ho una laurea in Economia e Commercio (aveva ragione mia madre a opporsi a questa mia "strana" scelta universitaria), forse perché ho avuto un padre comunista ( non bastava sindacalista, diceva mia nonna), forse perché ero una bambina timidissima, solitaria e curiosa e quando i cugini giocavano a Monopoli origliavo i discorsi dei "grandi", forse perché mi porto addosso la maledizione di capire, di fiutare l'inganno (come un segugio).

Forse perché ho lottato per cinque lunghi anni contro una banca (e ho perso, nonostante avessi ragione) e ho insegnato tecnica bancaria per trentacinque anni, forse perché mio zio, esperto di borsa ai tempi di Francesco Giuseppe, in quella ventosa città che nel 1918 accolse in Piazza Grande i liberatori italiani,  mi diceva: "Lo vedi quel signore? Se potessi parlare... " E ridacchiava concludendo: "Più sono ricchi, più sono ladri". Passava il suo tempo tra banche e borsa.

Forse perché maneggiare denaro è il lavoro più sporco, e dopo un po', qualche spicciolo ti rimane attaccato alle dita... Eh sì, il denaro si attacca, s'incolla... Non puzza, dicono, ma non è vero. Chi ne ha tanto, s'è  turato il naso. Di brutto.

E' da qualche giorno che l'aria non sa soltanto d'inverno, non è soltanto fredda. Puzza. Che cosa ci fanno in giro tutti questi banchieri? Un'invasione. Sono dappertutto, anche in Parlamento. Così  forbiti, così eleganti, così benvisti, così educati, così silenziosi, a passi felpati...

E i politici? Allontanati con fermezza. Neutralizzati dai mercati e dalle valutazioni delle società di rating.

E la "gente"? L'80% degli italiani è con "loro". Conquistata.

Monti applaudiva l'innovatore Marchionne. Uomo capace di far quadrare i conti. Della Fiat. Aveva ragione lui: ha aperto la via agli altri padroni, pardon imprenditori. Ora gli unici conti che non quadreranno saranno quelli  degli operai. Ma il nuovo presidente del Consiglio non è consulente di poveracci (è stato, è ancora? consulente della Goldman Sachs).

E Passera? Passerà oltre?

Mai fare studiare una donna. E' tempo perso (dichiarava il mio ex marito). Forse aveva ragione!

E la puzza? Sale, sale. Inarrestabile.



http://falilulela.blogspot.com/2010/10/puzza-di-padroni.html

domenica 13 novembre 2011

Chi appicca e chi spegne gli incendi?

Cos'è la Goldman Sachs? E' una delle più potenti banche d'affari americane, tanto potente da essere riuscita a influenzare pesantemente il Congresso americano, inducendolo prima a deregolamentare (con Roland Regan) il settore della finanza, poi ad accettare l'introduzione dei prodotti derivati e a impedirne la regolamentazione (con Clinton e Bush) e, attualmente, (con Obama) a non consentire nessuna efficace normativa di controllo  sull'operato delle banche d'investimento.
Tutto ciò nonostante una crisi finanziaria, innescata da queste stesse società, che ha cambiato - e messo in serissima difficoltà -  "Occidente" e capitalismo. 
Chiamata, nel 2010, a testimoniare davanti al Congresso americano, la Goldman Sachs ha ammesso, per voce dei suoi dirigenti, di aver sempre saputo di vendere "spazzatura" (prodotti derivati). Incriminata per frode nello stesso anno dalla Sec (l'equivalente americana della Consob italiana), dopo essere stata salvata dal fallimento grazie a uno stanziamento del Congresso, costato ai cittadini americani 61 miliardi di dollari, sembrerebbe - a scriverlo è Milano Finanza -  aver innescato anche la speculazione sui Btp italiani.
E' in questo "gioiellino", oltre che al Bilderberg, che Mario Draghi (dal 2002 al 2005 vicepresidente e membro del management Committee Worldwide)  e Mario Monti (dal 2005 International Advisor e precisamente membro del Research Advisory Council del “Goldman Sachs Global Market Institute") si sono conosciuti e hanno collaborato. 
A quali progetti? 
Ieri sera, a Che tempo che fa, Fabio Fazio - a voce bassa com'è nel suo stile - ha accennato alla eventualità che si possa configurare un conflitto d'interesse... , oh, non tra Draghi e Monti che sono amici da sempre, ma tra i due incarichi di Monti: come dire che se un piromane lo facciamo diventare contemporaneamente pompiere, poi magari si confonde... Ma Ferruccio De Bortoli lo ha, e ci ha, rassicurato dicendo: "La Goldman Sachs è un po' birichina, ma sull'autonomia di Mario Monti non ho dubbi!"
Beato lui!

giovedì 10 novembre 2011

Dalla padella nella brace

Chi è Mario Monti? Nominato, in tutta fretta, dal presidente della Repubblica senatore a vita, è stato commissario europeo,dal 1994 al 1999, per nomina del primo governo Berlusconi,  e dal 1999 fino al 2004, per nomina del primo governo D'Alema. 

Ma è soprattutto "uomo di mondo", iscritto a club prestigiosi come il Bilderberg, l'Aspen Institute (di cui è  attualmente presidente Giulio Tremonti e vicepresidente Enrico Letta) e la Trilateral Commission, espressione di una classe/casta di tecnocrati che privilegia l'incontro, il confronto e il dibattito (rigorosamente "a porte chiuse") su temi vari, di attualità, in un'ottica globale (che sia partita da qui l'idea di "globalizzare" il mondo?) e con un'attenzione particolare alla business community internazionale.

Dov'era questo distinto signore negli anni in cui è stato consentito al mondo bancario/finanziario di diventare un Far West (esercitando pressioni sui governi affinché venisse smantellata la normativa che tutelava i risparmiatori), di inventare e diffondere titoli tossici (tutta la complessa serie dei prodotti derivati),  di dare il via  a quella nuova arma letale -  per conquistare le nazioni, senza spargimenti di sangue - che è l'attacco ai debiti pubblici a suon di vendite miliardarie allo scopo di rendere tali debiti insostenibili?

Sappiamo che frequentava Mario Draghi (suo ex collega come consulente alla Goldman Sachs), Tremonti, Lucas Papademus (banchiere proposto per il governo tecnico greco) con i quali discuteva di strategie politiche in club privatissimi... E la trasparenza? Quella è d'obbligo nelle istituzioni, non nelle riunioni private fra (e dei) potenti.

E questo elegante signore dovrebbe "salvare" il Paese dal baratro? Quale Paese? Quello dei pochi che hanno tremato di fronte alla minaccia di una "Patrimoniale", o che falliscono portando i loro patrimoni all'estero, o che evadono le imposte? E il resto del Paese?

Questa è la prima domanda che m'inquieta; la seconda riguarda il PD...  che per sostenere questo signore accetta di allearsi con Fini e Casini.
Fini e Casini?

E, dopo il diluvio, Mario Monti aprì l'ombrello.

E' una grigia mattina di novembre: grigio uniforme screziato dalle pennellate gialle delle foglie cadute. La gatta, sul davanzale, annusa l'inverno in arrivo, io rumino sulle mie storie, mentre la Storia mi si srotola davanti: Berlusconi, il piccolo tiranno che regna dal 1994 sul Bel Paese, ha annunciato le sue dimissioni. Com'è nel suo stile, una promessa, solo una promessa. Sarà l'ultima di una lunga serie e la prima mantenuta? Chissà?

L'omino si lascia alle spalle un paese distrutto. Devastato. Non è riuscito, né avrebbe potuto, fare tutto da solo: ha avuto numerosi e validi collaboratori: tutti gli italiani - tanti, troppi  - che lo hanno votato, tutti i servi - molti - che lo hanno adulato e incensato. Ha, come i torrenti che abbiamo visto esondare in questi giorni, trascinato nel fango, sommerso e sporcato tutto ciò che ha trovato sul suo cammino. Sarebbe tutto da buttare per voltare pagina e ricominciare ma, come dopo un'alluvione o un terremoto, si fruga tra le macerie e si cerca qualcosa che, pur ammaccato, sia ancora utilizzabile.

Un Bersani cos'è? Un tavolo senza una gamba, che traballa ma può ancora stare in piedi? E Fini, il grande traditore? Una collanina da battesimo che sembrava d'oro, ma a guardarla bene era ed è d'ottone? E Casini? Una radio rotta che emette un suono che abbiamo già sentito, tanto tempo fa, molesto e ripetitivo, come le scontate prediche domenicali di un parroco noioso?.

Dietro a noi che frughiamo, a controllare che non ci si metta in tasca un anellino storto o un vassoietto d'argento, stanno a fucili spianati, gli Europei, quelli che dovrebbero salvarci ma che, per il momento, controllano che nulla venga trafugato. Ma non era ed è "roba nostra"? Beh, sì e no: è tutto da vedere!

La classe politica italiana, caduto - si fa per dire! - Berlusconi, non sa che fare. Ma non avevano nel cassetto fior di programmi particolareggiati? Precisi? Dove sono finiti? Ammesso che siano mai stati scritti, ora dovranno essere buttati: i mercati macinano perdite e  bisogna fermarli, recuperando la famosa "credibilità
perduta". Come? Firmando una cambiale in bianco, come si fa con i mafiosi: noi mettiamo la firma, loro la cifra. "Loro" chi? Beh, non i politici, poiché una buona metà ha già perso la faccia e la parte restante non può rischiare di perderla e, soprattutto, di perdere i voti del proprio elettorato!

E allora mettiamoci Mario Monti al governo: un tecnico va bene per tutte le stagioni. Ma non  è un economista nonché banchiere? Ma gli economisti non ne hanno azzeccata una da lungo tempo e i banchieri non sono i responsabili della peggiore crisi finanziaria nella storia del capitalismo?
Sì, e allora?

martedì 8 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°9 - Parte seconda)

La macchina filava nell'oscurità lungo il viottolo accidentato e pieno di curve. Il professore, pur giovanissimo, era il cervello dell'organizzazione. Ad attirare l’attenzione dell’interlocutore su di lui, su quel suo corpo fragile, minuto, sul volto pallido dagli zigomi pronunciati, erano gli occhi: scuri, lucidi come di febbre, capaci con uno sguardo di comunicare la sua forza, lasciando percepire la passionalità e il rigore della sua anima. In tempi diversi, sarebbe forse diventato  un attore, capace d'impersonare ogni parte, perché lui, il Professore, si calava in ogni uomo che avesse di fronte,  cogliendone la falsità o la genuinità, l'angoscia o la gioia, l'entusiasmo come la paura che si annidano nell'animo di ognuno. Nessuno sapeva chi fosse, da dove venisse e quale serie di eventi, lo avessero reso edotto così sottilmente, così implacabilmente, dell'animo umano e dei suoi mille percorsi
.Era un capo nato, il Professore, e nessuno avrebbe osato mettere in dubbio la sua autorevolezza, anche se ora dormiva abbandonato sul sedile accanto al guidatore e, raggrumato nel mantello troppo grande, sembrava un ragazzetto, svegliato dal padre troppo presto per portarlo al lavoro, strappandolo al sonno
.Viaggiarono tutta la notte tra boschi e strade secondarie, fermandosi pochi secondi per vuotare una tanica di benzina nel serbatoio, e poi riprendere il viaggio. Avevano come meta la Svizzera, ma non sapevano ancora se si sarebbero fermati in quel paese... Forse avrebbero raggiunto la Francia
.L'uomo al volante frenò dolcemente, passandosi una mano sul volto stanco.
"Devo sgranchirmi le gambe" borbottò, uscendo dalla macchina
.Il silenzio del bosco li circondava, interrotto, a tratti, da un frullo d'ali o da un cinguettio d’uccello.
"C'è ancora del caffè; ne vuole un goccio, Professore?"
Mario, l'operaio che era andato a prelevarlo nella sua casa, si stagliava, scuro e quasi mastodontico, contro i rami degli alberi che li circondavano. Incerto, nell’intrico del bosco, filtrava il primo chiarore dell'alba.
L'uomo, raggomitolato sul sedile della macchina, sembrava assorto, perso nei suoi pensieri.
"E' freddo, lo so, ma non abbiamo di meglio... "
"No, grazie, ma non perdiamo tempo. Andiamocene di qui... Non vorrei che qualcuno ci avesse inseguito: quel Debosi non molla la preda, che Dio lo fulmini!"
Mentre la macchina ripartiva, un raggio di sole s'insinuò tra i rami degli alberi, accendendone di rosso le foglie.

(continua... )




sabato 5 novembre 2011

Esiste un paese per vecchi?

La svegliò il rumore di una macchina che stentava a mettersi in moto, ansimante. Come il respiro di un vecchio catarroso. Ma dove diavolo andava la persona alla guida, alle cinque del mattino? In un giorno festivo? Il guidatore continuava, ostinato, a girare la chiavetta dell'accensione: il motore sembrava ingranare ma poi, in un breve rantolo, si spegneva. Al quinto o sesto tentativo, la macchina partì, scivolando sull'asfalto e lasciandosi alle spalle il silenzio, di nuovo intatto, dell'alba che un chiarore appena intuibile annunciava. Ma, ormai, era sveglia.

Si alzò, e curiosò oltre il  vetro della finestra; alitava sul paese il respiro infreddolito di un inverno precoce... Lei non lavorava più: era, da anni, in pensione. Da tutto, non solo dagli impegni professionali. Era lì, sul bordo della vita che le scorreva davanti agli occhi come un fiume in piena, così come si sta al tavolino di un bar - poche seggiole, un cameriere frettoloso, un caffè amaro - lasciando scorrere uno sguardo piatto sul traffico dell'ora di punta, chiedendosi cosa? Nulla, solo domande oziose.

Forse non era stato soltanto quel rumore fastidioso a svegliarla, forse era la qualità del suo sonno a essere cambiata: dormiva poco, sprofondando in un riposo/veglia, quasi vigile. Attenta a tutto. In attesa.
In attesa di che cosa? Nella sua vita non c'erano più né orari né impegni da rispettare. Il tempo  - nell'appartamento troppo grande, troppo silenzioso, troppo ordinato - si era dilatato a dismisura.
Il  tempo non è una variabile indipendente, oh no!, si allunga, si snoda, si contrae fino quasi a scomparire... a seconda dell'uso che ne facciamo.

Quanto breve era stato il tempo in quei pomeriggi lontani, rubati ai figli e al lavoro e dedicati all'amore? Una manciata di minuti, pelle contro pelle, a sentire il tepore di un altro corpo, e già le lancette dell'orologio la obbligavano, colpevole Cenerentola, a salire sul cocchio e correre... correre a casa: prima che battesse la mezzanotte. A lavare, cucinare, stirare, studiare, correggere compiti, già sapendo che il tempo, quel bastardo, si sarebbe allungato di nuovo, a dismisura, fino al prossimo appuntamento.

La gatta le si strusciò contro, emettendo un miagolio di protesta.
La prese in braccio e la portò in cucina. Mise la moka sul fornello e aprì una scatoletta di cibo per animali.
Condivisero la colazione: caffè per l'una e bocconcini di pollo per l'altra.
Erano insieme da quindici anni: era vecchia. Come lei.

Aspettavano entrambe, quietamente, quell'ultima scadenza: senza fretta e senza angoscia, lasciandosi scivolare sulla pelle quell'ultimo scampolo di tempo che, come ogni scampolo che si rispetti, è sempre troppo corto o troppo stretto. Per poterci fare qualcosa. 
E allora?

Allora... niente!, se non gustarsi quell'ultimo caffè.

mercoledì 2 novembre 2011

Déjà vu?

Ci sono momenti d'incertezza profonda, di disorientamento, in cui alla forza e all'intraprendenza dei giovani si deve affiancare la saggezza dei vecchi. Ricordo una frase di Giorgio Bocca che diceva più o meno così:  "Quando sei incerto, quando non trovi il bandolo della matassa, quando non 'capisci'... cerca la via dei soldi. Attaccati insomma, saldamente, a un bel bigliettone e non mollare la presa: percorrerai vie tortuose e sconosciute, autostrade e/o viottolo, ma ti porteranno a scoprire la verità".

Le borse, i  santuari del capitalismo, sembrano impazzite: distruggono miliardi in un giorno e li ricreano, quasi con un colpo di bacchetta magica, il giorno successivo. E' sadismo finanziario? No, è solo un vecchio giochetto: comperare e vendere a prezzi diversi... Non è questa l'essenza dell'affare? Quante volte un amico ci ha detto, con l'occhietto furbo e l'aria tronfia di chi sa come funziona il mondo, di aver comperato qualcosa, una cosa qualunque, "per quattro lire"  e averla rivenduta al doppio o al triplo del prezzo pagato, guadagnandoci sopra una bella sommetta?

E' sufficiente manovrare sui mercati finanziari in modo da provocare un ribasso, vendere a 100, aspettare il ribasso, e comprare a 80 e... il gioco è fatto. Le regole dei mercati borsistici consentono di operare a termine (stipulo il contratto oggi dandogli esecuzione in un momento successivo), allo scoperto (senza possedere che una minima parte della somma in gioco), e di invertire la sequenza delle operazioni (compro e vendo se prevedo un rialzo, vendo e poi compro in previsione di un ribasso).

Si potrebbe fare qualcosa? Sì, cambiare le regole: vietare (provvisoriamente) le vendite a termine e dichiarare fuori legge i "derivati". Un governo che può dichiarare la guerra (mandando a morire i propri cittadini) non può emanare leggi capaci di tutelare i risparmiatori? Potrebbe ma, evidentemente, non vuole. Perché quella via che abbiamo imboccato per seguire i soldi porta proprio qui: a questa casta di ricchi e straricchi che pretenderemmo cambiassero le regole del gioco... per noi, rinunciando a parte della loro ricchezza. Per noi, noi poveri cristi che non arriviamo alla fine del mese, per i nostri figli che non trovano lavoro?

E' in atto, nell'economia occidentale, un cambiamento importante ma, di nuovo, vecchio come il mondo: una redistribuzione della  ricchezza a favore dei più ricchi. Per essere una crisi, dalle motivazioni complesse e le soluzioni quasi impossibili, ha un gusto decisamente stantio: sa di déjà vu.


martedì 1 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Parte seconda - Puntata n° 8)

Marilena si guardò intorno, lasciando scivolare su quella devastazione un'occhiata incredula. 'Non sarebbe rimasta un minuto di più in quella casa... con quell'uomo. Con quel bugiardo che l'aveva ingannata, facendosi passare per ciò che non era: un uomo d'ordine, gran lavoratore, persona semplice ma quadrata, solida. E invece, invece... '
Prese una valigia dal ripostiglio e incominciò a riempirla disordinatamente: biancheria raffinata, abiti sartoriali, scarpe eleganti, il profumo, la crema... Mio Dio, ma cosa stava facendo? Pensava forse di partire per una vacanza? Avrebbe dovuto trovarsi una camera in affitto, cercarsi un lavoro. Un lavoro? Era una maestra, o meglio, lo era stata, ma ci sarebbero stati problemi di graduatorie e termini per iscriversi da rispettare... E dove sarebbe finita? In qualche paesino sperduto, in montagna, tra bambini pieni di pidocchi e geloni...
Crollò a sedere sul letto nell'appartamento silenzioso, mentre la pendola del salotto cominciava a scandire i suoi rintocchi,  riportandola alla realtà. Si affacciò alla finestra: la strada buia, illuminata fiocamente da un lampione, sfumava in una nebbia leggera. Non passava nessuno, solo un'ombra sembrò sfiorare, per un secondo, il muro di una casa per scomparire subito, quasi si fosse trattato di un fantasma. Si vide in quella strada, la valigia troppo pesante da trascinare, il buio e quel silenzio poco rassicuranti intorno. Senza una direzione da prendere, un posto dove andare. Sola! Una dona sola a conoscenza di  segreti pesanti,  pericolosi.
Dov'era Gualtiero? Dov'era l'uomo l'uomo che l'aveva sempre protetta, difesa dalle brutture del mondo - pensò. Non esisteva più! In quel letamaio, ora, aveva trascinato anche lei, a forza, obbligandola a condividere quell'orrore. Perché non aveva cercato un amico, un prete, un fascista della sua stessa pasta per sfogarsi? Ma la risposta era lì, sotto  suoi occhi, nel vuoto di quelle loro solitudini affiancate. Gualtiero era, come lei, solo, senza amici. Dopo la morte di Desmo, gli era rimasta lei... e quel segreto, quelle spedizioni punitive, quel morto - uno soltanto? - sulla coscienza. Era un fascista, l'aveva sempre saputo... Ma non aveva mai pensato fosse un assassino. Era uno 'spione', e anche di questo era a  conoscenza... ma, ma che cosa? Il suo lavoro, quel lavoro che l'aveva resa un'agiata borghese, era un lavoro sporco, nero come quella notte senza luna, nero come i suoi pensieri, nero come la disperazione che si stava impossessando di lei, che la stava attanagliando alla gola, mentre capiva che restare con il marito avrebbe significato essere complice delle sue oscure trame, abbassarsi al suo livello, scendere a patti con la propria coscienza, vendersi per qualche vestito di seta e un abbraccio frettoloso a riscaldare per un istante la notte. Solo per un istante.
Tolse un appendino dall'armadio e vi sistemò sopa un abito, poi ne prese un altro e un altro ancora; fino a quando la stanza riprese il suo aspetto usuale. Rassicurante.
Sentì il marito rientrare e chiuse gli occhi, fingendo di dormire. Lui si spogliò, allungandosi lento al suo fianco.
Come sempre.
(continua... )

domenica 30 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n° 7- Parte seconda)

"Perché?".
"Non lo so... " le rispose, incerto, il marito.
"Oh, Gualtiero, lo sai benissimo... "
"Dimmelo tu, allora. Sei sempre stata più intelligente di me, hai studiato... "
"Volevi toglierti un peso dalla coscienza, come fosse un sacco di grano da scaricare sull'aia, e poi muoverti di nuovo, come sempre, in libertà, leggero. Le conosco le tue  giustificazioni: Mussolini, un mondo nuovo da costruire per realizzare un sogno a qualunque costo, anche ammazzando... "
Il marito l'ascoltava, in silenzio.
"Beh, ci stiamo riuscendo, almeno  ci stiamo provando: eravamo un paese di contadini ignoranti, di operai miserabili; un paese poco rispettato, che non contava nulla e ora... "
"Ora cosa?" lo interruppe la moglie.
"Ora, ora un paese come la Germania ci copia, ci ammira; ora non abbiamo più bisogno di nessuno, siamo autosuffficienti".
"Sì, con la finta lana, il finto cuoio, il finto benessere... Finto! Finto!, tutto è finto in questo paese, Gualtiero. Questo ti ha insegnato Mussolini: a fingere! E tu che altro potresti fare, a questo punto, se non credergli?"
"Desmo diceva che le rivoluzioni si fanno con il sangue, che un prezzo lo si deve pagare per cambiare il mondo" borbottò il marito, passandosi una mano incerta sul viso, ma con lo sguardo che già riprendeva coraggio.
"Finirai per rendermi complice di quanto hai fatto, di quanto fai... " mormorò Marilena.
"Quanto faccio!? Cosa faccio?" le chiese, aggressivo.
"Lo spione, il cane che mette gli inseguitori sulle tracce della preda da abbattere; questo fai!"
Gualtiero le fu addosso con un balzo, il volto pallido di rabbia. Le sue mani le artigliarono le spalle, la scossero con violenza, mentre le sputava addosso quelle parole taglienti e aguzze. Come lame di coltello.
"Lo faccio anche per te!" 
"Lasciami, mi fai male!" lei gli sussurrò, ma Gualtiero già la trascinava verso la camera, e sempre tenendola stretta per un braccio spalancava davanti ai suoi occhi increduli le ante dell'armadio, afferrava gli abiti ordinatamente appesi e li scaraventava a terra, li calpestava... Poi, continuando a trascinarsela dietro come un mucchietto di stracci, con una manata ripuliva la toilette - avvolta in pizzi a balze e sormontata da uno specchio ovale sostenuto da due amorini - di vasi, vasetti, scatole e profumi che cadendo sul pavimento, s'infrangevano avvolgendo la stanza nel suo profumo, quel profumo che era per lui inscindibile da quello della pelle della sua donna, mentre una nuvola di cipria si sollevava nell'aria. Impalpabile e beffarda. E gridava, gridava con le vene del collo gonfie, turgide di rabbia, Gualtiero, continuando a scrollarla, fino a quando lei non gli scivolò tra le mani, afflosciandosi a terra. 
"Lo spione ti permette questi vestiti, queste scarpe, e borse, e il tuo oziare ascoltando musica e... tutto il resto, compresa questa casa - che tu consideri con sufficienza - ma in cui ti sei cacciata come un topo nel formaggio".
Poi, con un ultimo pugno assestato al muro alla sua destra, quasi volesse distruggere anche la stanza, uscì.
Marilena, sentendo sbattere poco dopo la porta d'ingresso, capì che Gualtiero se n'era andato.
(continua... )

giovedì 27 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°6 - Seconda parte)

"Ma che uomo sei? Che uomo sei?" mormorò Marilena riprendendosi dal suo intontimento, ma Gualtiero la zittì, quasi infastidito per le interruzioni della moglie. Il lato oscuro della sua anima, che veniva a galla risalendo alla superficie dopo anni di silenzio, traboccava gonfio di brutalità, come il grande  fiume quando faceva esplodere gli argini, invadendo con le sue acque limacciose e giallastre la terra, abbattendosi sulle case, devastando campi e vigneti, violento  e incontenibile...
Gualtiero riprese a raccontare: "Erano lì, sotto le fronde degli alberi, il fiume non si vedeva, si sentiva soltanto frusciare poco lontano, l'Antonia abbracciata al marito che le sussurrava qualcosa, lei che rideva piano, trattenendosi. Inermi. Desmo piombò loro addosso, Ninetto urlò alla moglie 'Scappa, scappa... ' e l'Antonia fuggì, scomparendo tra i cespugli, i capelli che s'impigliavano nei rami degli arbusti, un ultimo sguardo scambiato con il marito, conscio di ciò che stava accadendo, consapevole".
"Tu non hai fatto nulla? Sei rimasto lì a guardare?"
Gualtiero s'interruppe e il silenzio avvolse la cucina, invadendone gli angoli, in attesa come  fiato sospeso, fino a quando la moglie, di nuovo, non sussurrò: "E tu?"
"Io?"
"Tu?"
Gualtiero scoppiò in una rista stridula, isterica.
Poi - fissandola come se la vedesse per la prima volta, con quel viso delicato, chiaro, gli occhi grigi ancora belli, e quella domanda nello sguardo che esigeva una conferma più che una risposta, perché anche Marilena, come allora l'Antonia, aveva capito, ma non voleva, non poteva ancora crederci - scosse la testa e disse:
"Gli ho sparato! Era come un leone infuriato, stava per strangolare Desmo a mani nude, gli aveva fatto cadere il coltello di mano. Io avevo il fucile... Cosa potevo fare? Sparai, sparai fino all'ultimo colpo, e lui ancora stava in piedi, ancora mi fissava negli occhi, ancora cercava di agguantarmi... Desmo, accanto a noi a terra, tossiva, mezzo soffocato... "
"Hai altro da dirmi?" chiese la moglie.
"Nulla che, ormai, tu non possa immaginare da sola" le rispose Gualtiero.
"Perché?" lei mormorò, scuotendo la testa.
"Perché l'ho fatto?"
"Perché me lo hai raccontato, dopo tanti anni? Perché?"
(continua... )

mercoledì 26 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°5 - Parte seconda)

Come si narra l'indicibile se non con parole? Che rumore fanno i segreti quando vengono svelati? La voce di Gualtiero era quella di sempre, appena un po' più bassa, mentre le sue parole rievocavano fatti lontani e la cucina diventava campo di grano sotto il sole, fango e pioggia battente a impedire la vista, a ingannarla... Ma ora non c'erano né pioggia, né paura. Era soltanto stanchezza che provava, una grande stanchezza per quel segreto che si era tenuto dentro troppo a lungo. No, Gualtiero non aveva visto in faccia l'assassino di Decimo, aveva visto soltanto quel bagliore e sentito il rumore secco dello sparo: alla sua sinistra, accanto al calesse del Lambertini. Aveva però una sicurezza, una certezza: non era stato Ninetto a sparare, e nemmeno Desmo, o Lugino o Diadoro... perché allacciati l'uno all'altro, in un groviglio di gambe e braccia, intenti a scaricarsi addosso pugni e bestemmie, sguazzando nel fango che impediva loro di stare in piedi, non avrebbero potuto perdersi di vista, nessuno sarebbe riuscito a sgattaiolare via, ad attraversare l'aia, individuare il fucile...
"Con assoluta certezza avresti potuto scagionare Ninetto... "
La voce di Marilena s'insinuò, molesta come il ronzio di una mosca estiva.
"Non lo feci, scagionai soltanto Desmo. I gendarmi non avevano simpatia per i braccianti, sobillatori di disordini che sarebbe toccato loro acquietare, e poi temevano noi fascisti; tutti ci temevano, ma non Ninetto!"
"Come Primo... "
Gualtiero continuò: "Desmo decise che avremmo dovuto dargli una lezione; io non volevo, ero dubbioso, incerto. Lui continuò a insistere, a ripetere le solite cose - con le parole ci sapeva fare - e, alla fine, per convincermi mentì: mi disse di avere visto Ninetto sparare, giurò che gli era scivolato tra le mani come un'anguilla, che non l'aveva denunciato perché voleva ammazzarlo con le sue mani e poi farlo sparire, scomparire per sempre; evitare insomma che diventasse un simbolo per i suoi compagni. Un uomo che si nasconde, che fugge è un vigliacco, capisci?"
Alzò la testa, per spiare sul volto della moglie l'effetto delle sue parole, ma Marilena teneva gli occhi bassi e taceva.
Gualtiero riprese a raccontare: "Sorvegliammo con altri fascisti la casa di Ninetto, seguimmo a turno il suo miglior amico, ma quello era furbo: andava nei campi o mungeva  e, quando c'incrociava, si toglieva il basco e rideva, rideva... Ci prendeva in giro, così come aveva fatto Ninetto. Andammo avanti così per un po'; poi Desmo in un giorno d'estate, l'aria che aveva sapore di fieno, le donne che erano scure di sole come le more del gelso, disse: 'Ma gli verrà ben la voglia di saltare sul letto con l'Antonia', e così cominciammo a seguire l'Antonia, usandola come esca, e lui abboccò all'amo, eccome... "
"Ma tu lo sapevi che era innocente Ninetto, lo sapevi?! Lo sapevi?!"
Marilena riprendeva colore, il sangue che le saliva al volto, le chiazzava il collo, le rombava nelle orecchie, mentre il marito riprendeva a parlare e lei avrebbe voluto che tacesse, che di nuovo il silenzio, come sempre o quasi, invadesse la cucina, rotto soltanto dal tintinnio delle posate. Avrebbe voluto che la sera estiva fosse quella di sempre, un po' monotona, scontata... grigia com'era stata la sua vita fino a quel momento.
(continua... )

martedì 25 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°4 - Seconda parte)

Gualtiero entrò nel palazzo, fece alcuni passi e si fermò, assorto. Da qualche anno lui e Marilena avevano affittato quella casa in centro: silenziosa, con il portiere, gli stucchi sui soffitti, le porte d'ingresso in noce massiccio... e il silenzio. Anche ora, anche lì: quasi a perseguitarlo. Ma i bambini, che in  un palazzo dovrebbero fare chiasso e disturbare, dov'erano? Rammentava di averli incontrati, ma soltanto per le scale, vestiti  "alla marinara", per mano a signore eleganti o al seguito delle servette, riconoscibili subito per il tono di voce più alto, la mancanza del cappello e dei guanti a coprire le mani arrossate e sciupate.
Casa e inquilini "di un certo tono", come diceva Marilena, ma lui non aveva ancora capito se fosse un apprezzamento o una presa in giro. Non aveva voluto saperne di assumere una domestica e tutti i giorni usciva a fare la spesa, cucinando per il marito e lucidando i pavimenti con lo spazzolone fino a renderli brillanti come uno specchio. Al pomeriggio leggeva e ascoltava musica alla radio.
Parlavano poco; soprattutto lei.
Era ancora bella e, ora che i soldi non mancavano, era anche molto elegante  e lui, Gualtiero, non aveva smesso di amarla e di meravigliarsi ogni sera nel ritrovarla ancora e sempre lì, ad aspettarlo. Perché continuava a pensare che, come un passero posato sui fili dell'alta tensione, dopo essersi riposata per un istante, sarebbe volata via, prima o poi, perdendosi nel cielo...
Rispose con un cenno del capo al saluto del portinaio, poi salì lentamente le scale.
"Marilena? Ci sei?" la chiamò dall'ingresso, togliendosi il cappello.
"Sono in cucina", lei rispose, affacciandosi alla porta.
Lui entrò e si lasciò cadere su una seggiola, passandosi una mano sul viso sudato.
"Cosa ti è successo? Come hanno reagito gli operai alla morte del loro compagno?" gli chiese la moglie, non senza aggiungere "Ma voi fascisti non... E' stata una rapina, o forse un delitto passionale: sembra fosse un uomo piuttosto bello... "
"Era uno con la lingua lunga, avrà finito per dare fastidio a qualcuno o, come dici tu, sarà stato pugnalato da un marito geloso. Comunque il clima in fabbrica, oggi, è stato pesantissimo... irrespirabile. Hanno finito per prendersela con me, come se io avessi a che fare con questa storia... "
"Ma tu non c'entri! Allora perché te la prendi in questo modo?"
"Mi ha riportato alla mente tante cose... la morte di Desmo" sussurrò Gualtiero, evitando lo sguardo della moglie.
"Non è stata colpa tua... " disse decisa Marilena, ma vedendo la faccia del marito s'interruppe. Gualtiero, che sembrava fissare un punto imprecisato del muro davanti a lui, scosse la testa e mormorò:
"Ninetto l'ho ucciso io!"
"Ma stai scherzando? Cosa dici, Gualtiero? Sei impazzito?"
Marilena si afflosciò sulla seggiola.
"Perché?"
"Perché stava per uccidere Desmo, gli era addosso, lo stava strangolando... e io, io ho sparato!"
"Tu!? Tu hai ucciso un uomo. Tu!?"
Dopo un secondo di silenzio chiese : "Perché?". Di nuovo.
Gualtiero taceva.
Marilena lo fissava, inorridita, ripetendo quella domanda, quel "Perché?", con un tono monotono, quasi cantilenante.
"Ora mi racconti tutto, ora voglio - ho il diritto  - di sapere tutto... Fin dall'inizio" concluse la donna, chiudendo la porta, quasi volesse, tentasse, per l'ultima volta, istintivamente, d'imbavagliare, di ingabbiare nella stanza, quel segreto, troppo spesso intuito e mai svelato.
La sera , senza che se rendessero conto, era calata, repentina come un sipario a teatro, a concludere una parte della loro vita. In quel buio senza scampo, alterata, si alzò la voce di Gualtiero. A raccontare.
(continua... )

lunedì 24 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°3 - Seconda parte)

Le notizie, soprattutto quelle cattive, hanno le gambe lunghe e conoscono scorciatoie ignote ai più per arrivare dove non dovrebbero... e così la morte di Primo provocò incontri, affrettò decisioni, portò a galla sentimenti repressi fino a quel momento. In quella giornata, apparentemente eguale alle altre, con lo stesso sole dorato  a farsi largo tra il fumo delle ciminiere, non fu soltanto Pioltino a scoprire un coraggio che non sapeva di possedere, furono anche Mario, Domenico e Luigi - e altri ancora - che uscirono dalla fabbrica  diversi da come vi erano entrati. Anche Gualtiero si chiuse alle spalle, quella sera,  la porta dell'ufficio e uscì, il passo lento e misurato di sempre, per tornare a casa, sperando di aver ricacciato i suoi fantasmi in quell'angolo della sua mente dove erano stati fino a quel momento: così come era solito fare in campagna, quando un temporale estivo, scoppiando inaspettato e violento, spaventava le vacche al pascolo, facendole disperdere in una sarabanda di muggiti e terrore, fino a quando lui, un po' blandendole, un po' spintonandole, non le raggruppava per ricondurle alla sicurezza della stalla e del fieno caldo e asciutto.
Ma, mentre i più tornavano alle loro case, qualcuno le abbandonava in tutta fretta, fuggendo dalla città, diventata pericolosa, per sottrarsi agli assassini di Primo, ai loro pugnali, alle informazioni che avrebbero potuto ottenere da qualche compagno, torturandolo per obbligarlo a parlare.
"Arrivederci  Professore... e, mi raccomando, non sia imprudente!"
Il camioncino si mise in moto sbuffando, mentre il rumore secco della portiera che sbatteva, risuonava nel vicolo. Il mezzo attraversò la città, allungando la strada per non passare per il centro, l'aspetto innocente e usuale di un camion carico di frutta e verdura diretto al Mercato Generale. Al volante un  uomo con il basco calato sulla fronte all'uso contadino, gli zoccoli  ai piedi, e accanto a lui un operaio? uno scaricatore? 
A tradire il Professore sarebbero bastate quelle sue mani bianche e morbide, dalle dita lunghe e sottili di chi è abituato a maneggiare l'archetto di un violino o sfogliare le pagine di uno spartito o di un libro da leggere e mai, ma proprio mai, ha usato la zappa o afferrato un martello...
Passò accanto al furgone, superandolo, una macchina nera: uomini in camicia ancora più nera lanciarono un'occhiata distratta, mentre la macchina accelerava per sparire subito dopo in un turbinio di polvere.
"Cristo, quelli erano fascisti!" esclamò l'uomo che guidava, aggiungendo "per fortuna che non ci hanno fermati... Se avessero voluto controllare i documenti...  "
"E' andata bene!" sussurrò l'uomo al suo fianco, raggomitolandosi al  suo fianco sul sedile alla ricerca di una posizione che gli conciliasse il sonno. Ma appena socchiusi gli occhi, Primo affiorò dalla memoria, lo sguardo ironico e allegro, invadendogli il cervello. Rabbia e dolore lo svegliarono di colpo, rendendolo di nuovo lucido, presente a se stesso.
"Pagheranno anche per questo, pagheranno anche per la sua morte!" sibilò, tra i denti, mentre il mezzo, affrontava una leggera salita per infilarsi in un viottolo sterrato. Anche in lui, come in Gualtiero, affioravano ricordi dolorosi, angosciosi che legandolo a quell'uomo lo infilavano di diritto in quella lunga scia di sangue e dolore che era partita da Ninetto e dalla sua ormai leggendaria ribellione.
(continua... )

domenica 23 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n° 2 - Seconda parte)

In fabbrica la mattinata era passata in fretta, punteggiata da sguardi muti ma eloquenti, fronti corrugate  e silenzio.
Quel silenzio che sembrava sovrastare persino i mille suoni delle macchine, pesando sull'aria fumosa che ingrigiva i locali dove si lavorava. Tutti avevano evitato di guardare il posto lasciato vuoto dal compagno, i suoi guanti da lavoro un po' logori ancora appoggiati, gettati di traverso, sul banchetto. Per dimenticanza o per sfida?
Quando la sirena dello stabilimento li aveva richiamati al lavoro, i guanti erano scomparsi, il banchetto era stato riordinato e un ragazzo armeggiava rovistando incerto tra gli attrezzi.
Accanto a lui, Gualtiero dava ordini secchi, ostentando sicurezza e controllo della situazione. Il giovane operaio sudava mentre le macchine ripartivano con l'abituale stridore e la tensione si faceva palpabile.
"Qualcuno venga a dare una mano al ragazzo" chiese Gualtiero.
Nessuno si mosse.
"Pioltino, vieni tu!"
Nessuna risposta.
"Pioltino, mi hai sentito?" La voce di Gualtiero parve incrinarsi per poi aumentare di tono, fino a diventare stridula. "Sei sordo?"
Gli operai avevano smesso di lavorare, solo il martello di Pioltino si muoveva monotono e ripetitivo.
Il ragazzo accanto a Gualtiero deglutiva saliva e imbarazzo, volgendo lo sguardo ora sul volto congestionato del capo reparto, ora sulle facce degli operai. Una vena pulsava sulla tempia di Gualtiero, ingrossandosi, mentre la mandibola gli si irrigidiva.
"Benissimo! Pioltino sarai muto, ma non sei ancora sordo, il tuo incarico per la giornata odierna, è di seguire questo "nuovo" e insegnargli il lavoro da fare... " disse Gualtiero; poi, lentamente, si avviò verso la scala che portava al suo ufficio. Salì le scale e, prima di entrare, si voltò dominando dall'alto lo stanzone.
"Vi consiglio di riprendere il lavoro!"
Entrò nel suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle, restando in attesa, l'orecchio incollato al muro, mentre la tensione che lo aveva sorretto fino a quel momento lo abbandonava e il suo corpo pesante e tozzo sembrava inquartarsi, scosso da un leggero tremore.
La Rosina entrò nella stanza. Ansiosa e pallida lo guardò, come se lo vedesse per la prima volta e, incerta, aprì la bocca per parlare.
"Ha bisogno... " balbettò, ma venne interrotta, zittita.
"Torna al tuo posto, quando avrò bisogno di qualcosa ti chiamerò... e ora lasciami lavorare!"
Gualtiero, ripreso il controllo, si lasciò cadere sulla seggiola mentre la segretaria lasciava la stanza.
La mano destra, appoggiata sulla scrivania, tremava ancora leggermente. Gli operai non lo amavano da quando era "passato" caporeparto ma, e questa era la cosa importante, lo temevano o, almeno fino a quel momento, l'avevano temuto. Ma ora?
"Me ne frego del loro amore, a me basta quello di Marilena" pensò, mentre il desiderio della moglie si faceva acuto, la voglia di sentire il suo corpo sottile sotto le mani a comunicargli calore, riconoscendolo, accettandolo, consolandolo, gli scorreva nel sangue, in un marasma di emozioni che si manifestavano e si scontravano dentro di lui, dandogli una spiacevole sensazione di vulnerabilità, di pericolo imminente, di sicurezze che credeva acquisite ma che gli si sbriciolavano tra le dita. Ricordi e rimorsi riaffioravano dentro di lui, come chiazze fangose di terra da un  fiume prosciugato dal sole: in agosto, d'estate.
(continua... )

giovedì 20 ottobre 2011

Pasticciando sul blog, con l'abituale imperizia, ho cancellato l'elenco dei blog che seguo. Ora sto tentando di rimediare... Ciao a tutti.

martedì 18 ottobre 2011

Ora Mario Draghi "capisce" i giovani. Ora?

L'altra sera, da Fabio Fazio, Giovanni Floris ha detto: " I mercati... beh, i mercati che cosa sono? Non sono poi così misteriosi, incomprensibli, dotati di poteri illimitati. Sono soltanto luoghi d'investimento del risparmio e, di conseguenza, i capitali che li alimentano si spostano al loro interno sulla base della remunerazione che all'investimento viene offerta, tenendo nel debito conto il rischio e la durata dell'investimento stesso". 

Una volta, tanto tempo fa, i mercati erano il luogo fisico degli scambi di merce: piazze, normalmente, e merce riconoscibile nei pregi e nei difetti: osservando, annusando palpando. Bestiame, prodotti vegetali e manufatti soprattutto, tanto per intenderci. E, naturalmente, compratori e venditori che incrociando offerta e domanda determinavano i prezzi. Il tutto dopo che le difficoltà del baratto avevano fatto venire, a qualcuno un po' più furbo degli altri, l'idea di una merce che fosse denominatore comune di tutte le altre: il tabacco, il sale, le conchiglie e l'oro, soprattutto l'oro; poi, complici i gestori dei Banchi fiorentini trecenteschi,  fu a un pezzo di carta, un semplice pezzo di carta, che venne (arbitrariamente ma istituzionalmente, un vero ossimoro) dato, attribuito un valore.

Era nata la cartamoneta, carta sì, ma ancora capace, frusciando tra le dita, di provocare un'emozione, una sensazione di ricchezza tattile. Ora, un tesserino plastificato, attraverso una serie di numeri ci identifica e ci autorizza a usare la nostra ricchezza. Non più custodita da un materasso, nascondiglio di facile individuazione, ma infilata in un caveau bancario (espugnabile, ma solo con lancia termica!).

Oggi, nell'epoca della moneta scritturale, nell'etere, a velocità  supersonica, con file di numeri allineati sui monitor dei pc da solerti impiegati bancari si crea e distrugge ricchezza come se si giocasse, improvvisamente ritornati bambini, a Monopoli. "Diecimila Btp in vendita alle 9 e trenta del mattino... Il Governatore della Bce cosa dice? Ah! benissimo: aumentano il tasso d'interesse? I prezzi dei titoli sul mercato quindi scenderanno. Cosa aspettate? Vendere, vendere... "

Benissimo un aumento del tasso d'interesse? Per l'economia reale mica tanto: significa pagare rate di mutuo più alte, prestiti alle imprese più onerosi e fare la spesa al supermercato spendendo di più. Ma chi se ne frega dell'economia reale; è quella di carta, l'economia finanziaria, che ha bisogno di oscillazioni forti: al rialzo o al ribasso non importa, anzi, meglio al ribasso per ottenere guadagni più veloci e consistenti.

Ma ci saranno pure dei rischi? Ma svegliatevi! i rischi li affrontate voi, pigmei della finanza, noi banchieri abbiamo allevato e allenato squadre di ragazzini in doppiopetto e camicia azzurra che hanno trovato il modo di scaricarli su altri i rischi. Su di voi, su di voi che accantonate i soldini per la pensione (nelle SGR, nei fondi pensionistici, nelle assicurazioni sulla vita o in quelle integrative pensionistiche), su di voi che ci chiedete informazioni, ma soprattutto consigli. Che noi elargiamo a piene mani. Non vi abbiamo forse consigliato Bond argentini, azioni Cirio e Parmalat?

Ma, dato che l'appetito vien mangiando e i guadagni facili a qualcuno (quasi a tutti!) hanno dato alla testa, i banchieri hanno esagerato. Quando il mercato immobiliare, gonfiato come un palloncino, è scoppiato, e quei "prodotti derivati" (che incorporavano garanzie, le case acquistate a debito, che perdevano valore di ora in ora) hanno cominciato a puzzare (è per questo che come i rifiuti più pericolosi li hanno definiti tossici?), gli americani, che un po' bambinoni lo sono sempre stati, e che dell'indebitamento hanno fatto uno stile di vita e della crescita ininterrotta un sogno (quello americano, appunto!)... beh, si sono trovati con il culo per terra: loro e le banche.

Solo che loro e noi cittadini europei (spagnoli, greci e italiani) siamo colati a picco (molti americani vivono ancora in tenda o in roulotte) mentre le banche sono state salvate dagli Stati dei vari Paesi: indebitandosi per salvarle; a discapito del lavoro dei giovani, penalizzando l'assistenza medica, quella all'infanzia, agli anziani, la salvaguardia del territorio, l'istruzione, la sicurezza delle città e dei cittadini che le abitano.
A me avevano insegnato che "Chi rompe paga e i cocci sono suoi"...
Ma era tanto tempo fa, tanto tempo fa quando ancora i mercati non si criminalizzavano ma si regolamentavano, a tutela del risparmiatore e non a tutela dei guadagni bancari. Per questo motivo molte banche erano pubbliche e esisteva una vigilanza bancaria; quindi regole e controlli. Perché tanta efficienza e celerità nel varare leggi e norme destinate  a "fare cassa" per gli Stati e nessuna regola per imbrigliare i predoni della finanza?  
Ora, anche l'ex Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi "capisce" i giovani. Ma guarda!Ora?

lunedì 17 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n° 1 - Parte seconda )

Gualtiero prese la cartella di Primo e la depose sulla scrivania, afferrò la penna, annotò la data della morte, tamponò con la carta assorbente, appose il timbro "archiviato" e allungò la mano per suonare, ma le sue dita scivolarono lente sul campanello che avrebbe dovuto far accorrere la Rosina.
Archiviato, riposto nella cantina della memoria, cancellato per sempre - pensò, mentre qualcosa baluginava nella sua testa, esplodeva nella memoria un ricordo lontano. Acquattato, là dove si nascondono i segreti, un volto, un nome e le sensazioni di allora: identiche, incancellabili. Primo che si difendeva, Primo che capiva, tremava, veniva ucciso. Come Ninetto, il bracciante dal coraggio leggendario, Ninetto che aveva lottato come un leone prima di morire, afferrando la gola di Desmo con quelle sue mani callose e forti di contadino,  e stringendola, stringendola fino a fargli quasi uscire gli occhi  fuori dalle orbite, il viso ridotto a una maschera contorta e violacea, il respiro che diventava rantolo sempre più affannoso, sempre più lento... fioco. Era a quel punto che lui,  Gualtiero, aveva sparato: quasi senza riflettere, d'istinto. Ninetto era crollato in ginocchio, guardandosi stupito le mani che si andavano colmando di sangue, ma aveva trovato ancora la forza di alzarsi e avanzare barcollando verso di lui, per togliergli dalle mani il fucile. Senza riuscirci.
Poi, quando Desmo aveva ripreso fiato, legato Ninetto a una grossa pietra, l'avevano gettato nel fiume, che ingoiatolo l'aveva trascinato chissà dove. Forse a valle fino al mare o forse, ingabbiandolo tra i canneti, l'aveva inchiodato sul fondo. Da quel giorno Ninetto e il grande fiume erano diventati per lui inscindibili, entrambi custodi di un segreto inconfessabile.
Anche allora, com'era nella natura violenta del suo carattere, l'idea di dare una lezione a Ninetto, una lezione definitiva, era partita da Desmo, ma era stato lui, Gualtiero, a non opporsi e ad accompagnare l'amico sul luogo dell'agguato... Poi, poi tutto era andato storto. Forse Desmo, ubriaco, si era lasciato sfuggire qualcosa, forse al paese la scomparsa di Ninetto era stata attribuita ai fascisti e quindi al loro capetto locale - che era proprio Desmo - o magari era stata una vendetta decisa da altri per colpe di Desmo che lui nemmeno  conosceva. E così era scattato un altro agguato e questa volta Desmo aveva avuto la peggio.
Dopo la morte dell'amico non si era sentito più sicuro, e quando avevano ammazzato anche il "Biondino" aveva avuto paura, una paura maledetta che potessero risalire fino a lui o che il grande fiume, come un dio irato, facesse affiorare il suo segreto. Così, soprattutto per paura e vigliaccheria, aveva lasciato il paese, ingannando anche Marilena.
Le bugie sono come le ciliegie, una si tira dietro l'altra - pensò, gettando il fascicolo di Primo in uno scatolone, mentre la sirena dello stabilimento, sovrastando ogni altro rumore, bloccava gli impianti per la pausa del pranzo.
(continua... )
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venerdì 14 ottobre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°40)

"Primo morto?! Morto come?" 
Abitualmente Pioltino saliva, con altri quattro operai, all'ultima fermata del tram e, rumorosamente, dava la sveglia ai compagni che, abitando più lontano, cedevano a un supplemento di sonno appisolandosi, cullati dal dondolio del mezzo, approfittando del tempo che impiegava il tram per completare il suo percorso attraverso le vie cittadine. Ma in quella mattina d'inizio estate, nessuno si era addormentato, nessuno aveva raccontato barzellette o scherzato, e nemmeno litigato, come abitualmente avveniva. 
Tutti sedevano cupi o si aggrappavano ai sostegni metallici, quasi temessero di cadere ad ogni sobbalzo un po' più violento.
"Assassinato!, Assassinato come un cane... "
"Ma chi... ?" chiese Pioltino, più a se stesso che agli altri che lo circondavano.
Giuseppe sbottò: "Chi? Chi secondo voi?"
Un silenzio pesante, spaventato, gli rispose, mentre la sagoma della fabbrica emergeva dalle brume del mattino e il suono della frenata si alzava stridulo nell'aria, seguito da uno scalpiccio di passi, più lenti del solito, quasi esitanti, come se affrontare il lavoro di sempre, la fabbrica e lo sguardo dei compagni fosse diventato più difficile e, improvvisamente, pericoloso. 
Gualtiero non era nel suo ufficio: stava, rigido e vestito di scuro come a una parata ufficiale, nel locale che consentiva l'accesso allo stabilimento. Faceva un breve cenno con il capo, ripetuto, monotono, come se salutasse ogni operaio. Il suo volto, privo d'espressione, appariva pallido, quasi cereo, gli occhi scuri, solitamente attenti a cogliere ogni particolare, sembravano fissarsi sul nulla, inquietanti più che rassicuranti...
Poco dopo il lavoro riprendeva, con le macchine che dialogavano nuovamente tra loro, sbuffando e sibilando, e i carrelli che scivolavano lungo il pavimento tra manciate di scintille pronte a incendiare l'aria... come sempre, come ogni mattina. 
Uguale eppure diverso. 
Al suono della sirena si notò il cambiamento: mancava il suono delle voci. Una cappa di silenzio avvolse la fabbrica, infilandosi in ogni fessura, in ogni angolo...
Minaccioso, più di mille parole urlate, quello fu il canto funebre per Primo. 

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n° 39)

Un urlo di donna squarciò il silenzio, rimbombando nella strada improvvisamente animata: imposte, come occhi insonnoliti infastiditi dalla luce, si schiusero, gente si affacciò ai davanzali e si  sporse dai parapetti dei terrazzi. Domande s'incrociarono nell'aria senza ottenere risposte se non quel nome, quel nome che passava  di bocca in bocca, di casa in casa... E' Primo, è Primo! Lo hanno assassinato!
Due uomini lo raccolsero, mentre dalla tasca del suo camiciotto scivolano le chiavi di casa. Qualcuno spalancò il portone; la gente del caseggiato, i più coraggiosi o forse soltanto i più indignati, già sulle scale, facendo ala al suo passaggio si appiattiva contro il muro.
Gli uomini che lo avevano raccolto, lo deposero sul letto, con delicatezza,  e accesero la luce sul comodino. Una donna spalancò a le imposte, quasi mimando un rientro normale dopo una giornata di lavoro.
Qualcuno aveva chiamato la Gendarmeria, ma fu  un medico ad arrivare per primo. Gli bastò un'occhiata per valutare la situazione. "Lo hanno aperto come un maiale da macellare" borbottò, chiedendo dell'acqua per lavarsi le mani.
Una donna piangeva, un'altra pregava, e nell'atrio pieno di gente due gendarmi, finalmente arrivati sul posto, cominciarono a raccogliere testimonianze confuse... Nessuno sembrava avere visto in faccia gli assalitori.
"Sarà stata una rapina" ipotizzò una delle due guardie, mentre dalla gente che li circondava saliva una voce: "Per rubargli cosa? La sola ricchezza di Primo era il suo coraggio!" Un' imprecazione tagliò l'aria; qualcuno gridò: "Gliela faremo pagare!", mentre altri uscivano dall'appartamento per tornarsene a casa, spaventati da quelle parole e dalla richiesta dei gendarmi di fornire le proprie generalità.
Pochi minuti dopo l'ingresso si svuotava all'ordine di "Sgomberare, sgomberare!" intimato da uno dei due uomini in divisa, mentre l'altro raggiungeva la camera da letto per parlare con il medico che stava redigendo il certificato di morte.
Un uomo con l'impermeabile, vedendo i gendarmi, abbassò la tesa del cappello sul volto e, con calma, raggiunse  la porta d'ingresso dell'appartamento, confondendosi tra la gente.
Pochi minuti dopo spariva protetto dal buio della strada.
(continua... )

sabato 8 ottobre 2011

Ancora sui confini, immaginari o meno

Scarna , scheletrita, privata di ogni fronzolo, resa dura ma splendente come un diamante illuminato dalla luna in una notte solitaria, la scrittura  di Cormac Mc Carthy mi prende alla gola in Città della pianura, romanzo che conclude la "trilogia della frontiera".
E così il tema del confne - che mi porto dentro da sempre, che mi sorregge e mi schianta - ritorna. Torna una divisione che non può separare la terra, i suoi fiumi, gli alberi, la sabbia - e il vento che la solleva e la pioggia che la bagna e il sole che la fa ardere - ma può dare l'illusione di una diversità così profonda da diventare identità. Nel romanzo un fiume divide - come una ferita - una terra dall'altra, il Texas dal Messico.
Due lingue che si confondono, due culture che s'incontrano scontrandosi, gelose di un'identità in cui, più che mai, la geografia dei luoghi ne determina la Storia. Nei ranch, spersi nella polvere, uomini e cavalli stringono non solo alleanze di necessità, ma amicizie che intiepidiscono le notti passate sotto le stelle, quando si dorme avvolti in una coperta, la sella per cuscino, i lupi che ululano, i serpenti che strisciano... e il calore è solo quello del fuoco che si sta spegnendo e del cavallo che respira - o sospira? - battendo gli zoccoli sulla terra dura e secca per rassicurarti e rassicurarsi. In quelle solitudini di cieli sconfinati e bui e di terre inospitali e solitarie, vivono i cowboy... e lì nascono le loro storie, esplodono le passioni, affiora la saggezza della vita e l'incapacità di accettarne i limiti, la noia del vero e il bisogno di mistero, il mistero che ti rende vivo solo per dilazionare la tua morte fino al momento della comprensione perché "chi sa... muore". Altrimenti che senso avrebbe vivere?