lunedì 8 novembre 2010

Mio caro Presidente...

Mio caro Presidente,
non ha ancora capito che il suo tempo è scaduto? Dai tetti delle fabbriche, dall'alto delle gru, dalle strade che sempre più spesso si colmano di gente, arriva un urlo, un frastuono che presto sarà boato. Non li sente, Presidente, non li sente, i ragazzi che hanno fame di lavoro, gli immigrati che reclamano il diritto ad esistere, ad essere cittadini come gli altri, non le sente le ghignate che arrivano dall'estero, i risolini di scherno che la seguono, la circondano, le voci false dei servi che ancora la adulano... ? E' sordo, Presidente? E' cieco? La sta aggirando, e superando, la Storia che corre veloce, dove diretta non ci è dato sapere, ma certamente in un futuro che lei non vedrà perché è vecchio, è sfatto. E' la vita, Presidente, con le sue regole, e non c'è carta di credito che possa cambiarle.
Si guardi allo specchio nella luce livida, implacabile, del giorno che nasce e capirà di essere un uomo finito. Si tolga il cerone, si sfili quelle assurde scarpe con il tacco - non è una ballerina, è un nonno - smetta di sorridere e si  (ci)  risparmi quelle battute becere, volgari, quelle barzellette che non fanno più divertire nessuno. Prenda la porta e se la schiuda alle spalle. Non abbiamo voglia di ridere, dobbiamo voltare pagina ... 
E ricominciare.
Scompaia, Presidente. Si dimetta! E' quello che il Paese attende, è quello che il Paese esige.