martedì 24 agosto 2010

Elogio del dolore

Banale, quasi ottusa come la bellezza di un'adolescente, perfetta ma non intrigante, la gioia non ha storia.
Potente, avvolgente e coinvolgente è il dolore: qualsiasi dolore, a condizione però che sia profondo, che scenda nelle viscere e risalga, emerga, scoppi nello sguardo, trabocchi in parole incontenibili, nel disagio di mani intrecciate e sudate che si sciolgano per disegnare nell'aria un affanno prorompente.
Con il dolore si cresce perché scatena in noi domande, fa nascere dubbi, obbligandoci a chiedere aiuto, imponendoci confronto e cambiamento. Per sottrarci alla sua morsa partiamo verso l'ignoto, esploratori  dell'anima ci caliamo in territori inviolati alla ricerca di risposte.
Accomuna (il dolore) e crea complicità: in trincea si getta la maschera, non si finge e, scoprendo la solidarietà, si diventa amici, perché nulla lega più dell'avere condiviso momenti terribili.
La gioia suscita l'invidia e isola dal mondo, racchiudendoci in una realtà perfetta che rifugge da ogni cambiamento. Cristallizza, arresta il flusso della vita e spegne il desiderio di conoscenza. E', come la morte, statica.
Dopo aver affrontato incredibili peripezie i protagonisti delle fole e delle storie si sposano con quelle scontate parole "...E vissero felici e contenti" e la favola, ogni favola, si affloscia, priva di passione, e si conclude. Invece non condivido la santificazione, prevista dalla morale cattolica, della sofferenza, e, in quel porgere l'altra guancia, colgo un masochismo che ritengo deteriore, soprattutto per le donne che ancora lottano per la parità di diritti rispetto agli uomini, e che la gerarchia ecclesiastica non sembra certo avallare.
Ma è soprattutto per quegli artisti particolari che sono gli scrittori che la sofferenza non è corona di spine ma aureola scintillante, perché è proprio da questa dimestichezza con la sofferenza che la loro sensibilità trae alimento, s'impreziosisce, quasi il dolore assumesse il senso per l'artista di un apprendistato doloroso ma necessario. E' da questo substrato di disagio profondo che spiccheranno il volo i personaggi inventati e le loro emozioni alla ricerca di una vita immaginaria, contraltare, schermo e contenitore di una realtà a volte troppo crudele e difficile da vivere ma carica di passione da usare a livello narrativo.