domenica 16 maggio 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°22)

"Allora? " Era lei.
"Non so nemmeno cosa cercare: dammi un indizio!" e, in fretta, con l'angoscia che straripa rendendo tremante la mia voce, sussurrai: "Letizia?".
"Sta bene".
"Passamela!"
"Sta dormendo". Poi, gelida - mi sembrò di vederlo, quel suo sguardo vuoto che tradiva il baratro di solitudine, di mancanza di emozioni a cui il suo corpo offriva asilo - concluse con quell'ultimatum "Ti do un giorno, non di più. Fatti aiutare dal... tuo amico".
Seguì il rumore secco della cornetta abbassata.
"Un giorno" balbettai "un giorno per cercare qualcosa che non so nemmeno cosa sia? E mi stanno pedinando".
                     Lui, il musicista - non riuscivo a chiamarlo Enrico - sarebbe stato come riappropriarmi del rapporto privilegiato che ci aveva uniti, mi stava dicendo, una ruga sulla fronte a indicare lo sforzo di concatenare in modo logico gli indizi che gli avevo fornito: "Stanno cercando una chiave d'accesso a qualcosa, e l'anello ha già consentito a questi maledetti bastardi d'imbroccare la strada giusta, ma ora hanno bisogno di una ulteriore informazione... Sono andati a Trieste e l'hanno cercata nella casa di tua madre. A partire dal ladro che s'introdusse nella casa di Gloria, tutti cercano una bambola, una bambola che dovrebbe contenere un'informazione. Allora partiamo da questo dato, che ne dici?"
"La bambola la ricordo... "
"Che fine ha fatto?"
"Questo proprio non riesco a rammentarlo... "
Mi versò un bicchiere di vino e io lo sorseggiai pensierosa.
"Hai guardato in soffitta?"
"Sì, ma torniamoci, magari tu... "
La soffitta è il luogo dove il mio disordine si manifesta in modo esplosivo. Enrico rise guardandosi intorno, mentre diceva: "Non sei cambiata, come fai a vivere in questo caos?"
"Non vivo in soffitta" protestai, ma senza risentirmi dell'osservazione; poi cominciammo a cercare.
                    Brandelli di vita si riaffacciavano alla mia memoria, si incastravano uno nell'altro, vite parallele dimenticate o negate si affiancavano a quella che io, con un'attenta selezione dei ricordi, avevo voluto privilegiare. Un libro per l'infanzia "Il brutto anatroccolo" affiorò da un baule. Seduta sul pavimento,  Enrico  accanto, cominciai a sfogliarlo.
"Me lo regalò mia madre per il mio compleanno. Frequentavo la prima elementare" sussurrai quasi pensando  ad alta voce.
"Mi dicesti un giorno che tua madre non ti aveva mai regalato un libro, pur conoscendo la tua passione per la lettura" mi risponde.
Un passato di affetti, mia madre, si congiungeva con un futuro di legami, mia figlia, cingendomi d'assedio, obbligandomi a un cambiamento di prospettiva profondo, ineludibile. Nulla avviene per caso - pensai, leggendo la dedica "Al mio buffo, mai brutto anatroccolo, destinato a diventare uno splendido cigno... dalla sua mamma". Poi passai il libro a Enrico. In silenzio.
Riprendemmo a cercare. Da chi avrò preso la mania di conservare tutto? Mio padre era molto ordinato, mia madre addirittura meticolosa. E io? Ma non sapevo nulla del mio vero padre! Dall'uomo con il quale ero vissuta considerandolo uno dei miei genitori, potevo aver preso o appreso solo per imitazione... Gloria mi aveva detto che assomigliavo al mio vero padre, ma di lui non possedevo nemmeno una fotografia. Quanto incide l'educazione, l'ambiente in cui si vive e quanto quella che sbrigativamente chiamiamo indole, sulla nostra formazione?
Lo sguardo mi cadde sulla finestra: nel buio tremava accendendosi un vago chiarore. Stava spuntando l'alba. Continuammo a cercare per tutta la notte, soffermandoci ora su una cosa, ora su un'altra. Trovammo anche una vecchia bambola di celluloide che venne fatta a pezzi.
Mi rimanevano, ci rimanevano soltanto poche ore per salvare nostra figlia.
Enrico si rizzò da terra e passandosi una mano sul viso si lasciò una ditata nera sulla guancia che mi intenerì. "Sembri un carbonaio" e gli allungai una carezza. Con una smorfia mi mormorò: "Qui non c'è niente! Scendiamo, ho bisogno di bere un caffè".
Lo seguii, lungo la scala che portava alla cucina, gravida, come una gestante alla soglia del parto, di passato, quel passato dal quale sarebbe scaturito il ricordo che avrebbe assicurato un futuro a mia figlia. Era  lì, lo sentivo, c'era soltanto un velo di polvere che lo nascondeva - pensai. O mi illudevo che così  fosse per non impazzire? (continua...)