lunedì 10 maggio 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°20)

Mi svegliò lo squillo molesto del telefono.
"Mamma sono Letizia" seguito da una pausa breve. Impacciata. "Come stai?"
Finalmente ritrovavo la voce, sentendo quella di mia figlia. Lei mi collegava d'autorità al futuro, mi strappava all' horror vacui che la morte di mia madre mi  aveva spalancato alle spalle.
La rassicurai: era il minimo che potessi  fare per ringraziarla di esistere.
"La nonna mi aveva accennato a... a una mitomane; era preoccupata per te. Sei sicura di stare bene?"  Provavo una gran voglia di dirle, di confessarle che stavo male, malissimo, ma sapevo che non l'avrei  fatto. Era una certezza, una prima e solitaria certezza, ma mi ci arpionai..
"Tutto a posto; non l'ho più vista... Stai tranquilla, me la caverò!". Non riattaccava: colsi un tremore insolito nel suo respiro e un soffio come se una parola non detta le alitasse nella gola.
Ci salutammo. Allungai i piedi fuori dal letto, mentre il telefono squillava. Di nuovo.
"Sì?"
"Sono Gloria".
                     Toh! - pensai -  appare e scompare come le acque carsiche. Ma non le permisi di parlare e, mentre la mia voce si faceva stridula alzandosi di tono, la investii: "Non voglio più sentirti, non ho nient'altro da dirti, né darti... mia madre è morta: lasciami in pace!"
"Abbiamo tua figlia!"
Abbiamo chi? Mia figlia?! Ma chi sei?  Chi siete?
"L'hai appena sentita; non sto scherzando... Dobbiamo avere quella bambola: a casa di tua madre non l'abbiamo trovata..."
"Allora sei stata tu... Io vado alla Polizia..." ma mentre mi arrivava all'orecchio quel suo tagliente "Non te lo consiglio" capii che non potevo farlo.
"Cercala, getta all'aria la casa e... ricorda, spremiti le meningi,  scava nel tuo passato. Tua madre, prima di morire non ti ha detto, né dato, nulla?"
"Ma cosa cercate? L'anello... " borbottai.
                     "L'anello ci ha confermato che siamo sulla strada giusta, ma ora abbiamo bisogno di un'altra indicazione. Mi avevi accennato - ricordi? - a un tentativo di contatto, a una telefonata ricevuta da tuo padre, dopo la guerra. Qualcosa che l'aveva riportato alla prigionia, qualcuno che aveva fatto riemergere i suoi segreti, ridando corpo ai suoi fantasmi".
"Ma io non so nulla!" urlai con la voce strozzata, mentre mi esplodeva dentro una rabbia incontenibile.
"Ma cosa vuoi da me? Sono passati tanti anni e... prova a toccare mia figlia e ti ammazzo... Vi ammazzo tutti, maledetti bastardi!"
La testa mi scoppiava, Gloria aveva riattaccato e l'ultima imprecazione non l'aveva nemmeno sentita.
Aveva avuto ragione mia madre a mettermi in guardia. Avevo bisogno di aiuto, di qualcuno che mi desse una mano. Sentivo nascere dentro un coraggio che non mi apparteneva; troppo alta era la posta in gioco per perdere la testa: un lusso che non mi potevo concedere. Il padre di Letizia... è sua figlia, oltre che mia. Alternavo momenti di lucidità a farneticazioni, a generici  "li ammazzo, li ammazzo tutti!" mentre percorrevo la stanza in lungo e in largo. Dov'era il numero di telefono del musicista? Due teste ragionano meglio di una - borbottavo
Il musicista? L'unico uomo che avessi amato. Troppo? O male? Non avevo più voluto vederlo. Non sapevo,
non so perdonare, non ne sono capace, non so superare il rancore, accantonarlo e andare avanti... Ero rimasta lì a fare la guardia al rancore. Ma chi lo vuole? Mentre me lo covavo, lo giravo e rigiravo tra le dita, mi avevano portato via mia figlia...  Io, persa nel mio rivangare il passato,  inaridita come un'oasi del deserto senza più acqua... Letizia, la mia acqua di ruscello, e suo padre - il musicista - il mare. Il mio mare...
Quando riuscii a trovare il suo numero  la sua voce la riconobbi immediatamente in quel "pronto?" , interrogativo  ma io, la donna che lui aveva conosciuto, ora ero solo paura e disperazione e rabbia: senza più confini, dilagavo, tracimavo, valicavo, irrompevo... Qualcuno  mi contenga, mi plachi, mi culli, mi aiuti - pensai, mentre  il mare mi accoglieva con quel "pronto", con quella voce, come lui, fatta di musica.
"Sono io" sussurrai, chiedendomi come potesse riconoscere la mia voce che  giungeva estranea anche alle mie orecchie, ma lui  in quel  "Cosa è successo Giovanna?" aveva una dolcezza immutabile, quella di sempre, quella dalla quale non so difendermi,  non ho mai saputo farlo, se non in un modo: attaccando, aggressiva. (continua...)