domenica 9 maggio 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°19)

                                Salii in macchina, mentre una stanchezza mortale mi piombava addosso. Gloria era scomparsa, sparita. Mi sentii sola, sperduta in quella oscurità, in quel silenzio. Forse avrei trovato una sua lettera  nella cassetta della posta  - pensai, mentre la macchina correva veloce e dal buio emergevano a tratti, come occhi che mi stessero fissando a spezzare l'omogeneità di quella notte scura come l'inferno, le luci di qualche casolare sperduto.
La macchina, come un vecchio ronzino che conoscesse la strada, mi portò davanti al portone del condominio dove abitavo. Pochi minuti dopo, nell'ingresso, aprivo concitata la cassetta delle lettere. Vuota. Vuota come la mia casa, la camera con il letto sfatto, il bagno in disordine, la tazza sporca di caffè in cucina, a ricordarmi quella frettolosa partenza... Era stanchissima, ma non avevo sonno. La tensione del viaggio mi aveva contratto i muscoli del collo e la testa ribolliva di pensieri e di ricordi che emergevano, come le luci poco prima, a spezzare un'altra oscurità ben più impenetrabile del buio di quella notte.
Mi  avvicinai alla scrivania e soltanto in quel momento notai la busta. Era di Gloria; doveva averla scritta il giorno in cui era venuta a casa mia a cercare l'anello. Conteneva una richiesta, vergata in gran fretta : era infatti scritta male come se il piano d'appoggio non fosse il ripiano di un tavolo o qualcosa di simile. Mi si chiedeva di trovare una bambola: una bambola Lenci. Seguivano alcune parole per descrivermela e, mentre leggevo "vestita da Cappucceto Rosso, sottogonna di cotone con bordo in pizzo, bianca, scarpine di panno rosso... " un frammento d'infanzia dimenticato risalì esplodendomi in testa come un fuoco d'artificio in una notte estiva! E ricordai, ricordai tutto, chiusi gli occhi, mentre l'odore di quella notte, il  profumo delle lenzuola mi entrava nelle narici, e le voci foravano il silenzio come schioppettate di cacciatori, decisi a snidare la preda. 
Ero molto piccola e la guerra doveva essere finita da poco. Per casa girava quell'uomo cupo, tetro che durante la notte urlava tutto il terrore e lo sgomento che di giorno in qualche modo arginava dentro di sé. Mi ero svegliata sentendo le sue grida e, spaventata, mi ero rintanata sotto le coperte, turandomi le orecchie, ma il silenzio della notte e il tono alto delle voci avevano reso il mio tentativo di estraniarmi da ciò che stava avvenendo inutile.
"Voglio sapere... " gridava mio padre con quella voce che non era la sua, incrinata dalla paura e resa rauca dalla rabbia.
Cosa mai voleva sapere?
"Non c'è nulla da sapere" rispondeva mia madre.
Tu sei una bugiarda, non vuoi dirmelo, non negarlo... "
Ora la voce si era fatta querula, implorante e  doveva dare a mia madre lo stesso fastidio quasi fisico che suscitava in me. Infatti quella voce femminile che era seguita subito dopo, aveva un tono freddo che mi ricordava la mia maestra quando sgridava noi bambini e poi sbuffava, passandosi una mano tra i capelli, ma con tale rabbia che sembrava volesse strapparseli dal cranio.
"Chi ha mandato questa bambola?"
Mi immobilizzai: eccola la bambola, la bambola vestita da Cappuccetto Rosso!
Era mia madre  che parlava, chiedendo a se stessa ragione di qualcosa di oscuro?
"E' arrivata avvolta nella carta da regalo. Pensavo l'avessi comperata tu".
"Io!?"
Ed ecco spiegato il motivo per cui avevo scordato la bambola: per dimenticare quelle domande senza risposta, il clima di sospetto, il volto di mia madre arrossato - volavano anche schiaffi - i suoi occhi che diventavano ogni giorno più cupi. E quegli sguardi indagatori che mi percorrevano febbricitanti come cercassero qualcosa, e, contemporaneamente, temessero di imbattersi nell'oggetto  di quella spasmodica ricerca.  
Non avevo voluto il mattino dopo, quando mia madre era entrata nella mia camera portandomi una colazione da compleanno su un vassoio, la bambola dietro alla schiena, partecipare al gioco, a quel suo "Fuoco, fuochno... vediamo se indovini che cosa nascondo?".                        Mi ero messa a piangere e, con quella bambola, non avevo mai voluto giocare. Ora, con occhi simili nello sguardo a quelli di mia madre, che il ricordare quell'episodio mi aveva riportato alla memoria, anch'io scrutavo quel Cappuccetto Rosso, dall'apparenza banale, cercando di scoprire perché mai Gloria lo cercasse. Era evidente - be', evidente era un po' perentorio - era da supporsi che quel regalo di compleanno me lo avesse mandato il mio vero padre, che era sempre più propensa a credere non fosse quell'uomo che per anni avevo considerato uno dei miei genitori. E ciò che mi angosciava non era soltanto il fatto in sé, ma anche la sensazione di avere sempre sospettato qualcosa. Confusamente io avevo capito che quell'uomo non mi amava e... E avevo sperato non fosse mio padre. 
Ora alla memoria che aveva elaborato una selezione dei miei ricordi infantili, tale da darmi un po' di pace e una traballante sicurezza,  dovevo chiedere di frugare negli angoli bui e snidare i segreti, le dimenticanze. 
Era arrivato il momento di capire e di sapere.
Sfinita crollai sul letto e mi addormentai. (continua...)