mercoledì 5 maggio 2010

Grigia come la nebbia.

Passo dalla viuzza interna che porta alla piazzetta. Il caffè degli albanesi con gli ombrelloni fatti su e le seggiole impilate accanto al muro, trasuda umidità come i volti dai tratti aspri, balcanici, dei pochi avventori che, incorniciati dalla porta d'ingresso e immobili come statue di santi sui muri di una chiesa, scrutano la pioggia. Negli occhi una malinconia che il grigiore della giornata non giustifica: è nostalgia di paesi sassosi e arsi di sole, profilati di mare, abbandonati in fretta una mattina come ladri, senza voltarsi indietro, guardando davanti a sé per arrivare qui, tra brume e cieli bigi, a contare le gocce di pioggia. Supero la piazzetta e passo davanti al caffè più elegante. C'è una tettoia che protegge alcuni tavolini occupati da avventori fissi dal tono di voce troppo alto e dalla risata un po'stridula ch diventa ammiccante quando passa una ragazza. Alta, rotonda, ancheggia su tacchi astronomici. 
"Fis 'ci, l'è bona a bota!" e gli sguardi s'intorbidiscono come l'acqua che scorre lungo la strada appena in pendenza. L'immaginario erotico ha un susssulto. Agonico.
Svaporando negli occhi degli uomini come nebbia attraversata da una sciabolata di sole, passo  loro davanti , invisibile come ogni donna che superi il mezzo secolo. 
L'edicolante, spendo un patrimonio in riviste e DVD in offerta, mi sorride. Almeno lui. E' un ex alunno: li ritrovo dappertutto: in banca, all'Ufficio tecnico provinciale, le alunne ai giardinetti con i figli in braccio, alle casse del supermarcato ogni tanto una, che i lavori sono come le stagioni, ormai. Si alternano. Chi l'aveva proposto quel "Lavoriamo meno, lavoriamo tutti?", ma mangiare, si mangia ogni santo giorni - penso.
"Si ricorda di me, prof?" "Come no!" E la bugia mi fa arrossire. Spudoratamente. 
Le classi nelle mia mente sono ormai come questa giornata di pioggia, uniformemente grigie: carrellate di volti giovani, rossori adolescenziali, foruncoli e apparecchi a raddrizzare i denti. Questi volti romagnoli, questa sfilata di occhi castani, la parlata con la erre che i Francesi hanno lasciato loro in eredità, li ricollego,  a volte a fatica, a quei ragazzi, a quelle ragazze. 
E i ricordi si snodano, come un film visto troppe volte . E Trieste riesplode nella memoria, ma dura un secondo.
E' lontana e immutabile. 
Azzurra? Come la giovinezza.
La nebbia mi circonda, mi assedia.
Grigia.