martedì 27 aprile 2010

Poesia

Trovo questi versi di Umbero Saba sul blog
di Salvatore Lo leggio , e me ne approprio



O mio cuore dal nascere in due scisso,

Quante pene durai per uno farne!

Quante rose a nascondere un abisso!

Preludio e fughe (1928-1929)

Pazzerella

"Datemi un PC e una parola, oppure un'immagine o l'espressione di un volto e io vi restituirò una storia". Risero. Poi nel silenzio si sentì una voce e la parola “fagotto” sembrò materializzare l'ingombro della pazzerella, quella sua sventata leggerezza che tanto infastidiva i parenti.
"Non un'immagine?" lei chiese con lo sguardo che già inseguiva la sua fantasia.
"Nessuna immagine, ti diamo venti minuti per confezionare la tua storia" le risposero.
Qualcuno verificò l'ora.
Fagotto nel suo diminutivo, fagottino, potrebbe essere un pupetto... E pupetto sia - lei pensò, e cominciò a narrare.
.....
Nacque in una giornata di primavera Fagottino e, anche se il suo nome era Giacomo, per tutti lui fu Fagottino, bello, biondo e, eh no ragazzi!, non esageriamo, ricciolino no. Passarono i primi mesi, un po' convulsi, che nella vita di una donna un figlio, il primo soprattutto, è uno tsunami, ma anche all'arrivo dell'inverno Fagottino continuava a non dormire e, durante la notte, in quel corridoio striminzito che sua madre percorreva in lungo e in largo come fosse una cella, il freddo si faceva sentire, mentre quel pianto monotono, snervante, sembrava sottolineare il fruscio dei passi. Quando a quel pianto si associò la parola cella? O prigione, galera, reclusione, gattabuia - oh mio Dio, quanti modi per indicare quel corridoio rinserrato tra le mura di uno dei tanti condomini spuntati come asparagi dal cemento grigio della metropoli. E quando cominciò a girare nella sua testa, in tondo, sempre più velocemente come quei giorni che scivolavano uno sull'altro tanto in fretta da incespicare aggrovigliandosi? La fagottino's mammy, laureata in lingue con una brillante tesi, non avrebbe saputo dirlo. Lei sapeva soltanto che Fagottino, incappucciato nel berretto e avvolto stretto in una coperta, lo riscaldava con il calore del suo corpo. E che lo saziava con il suo latte. E che diventava sempre più grosso e pesante, ancora più grosso, ancora più ingombrante. E urlante. Cella d'isolamento, cella di rigore... e quel fagottino, che era ormai un fagotto, come lei sempre tra i piedi a infastidire. Un intralcio? Due intralci - pensò mentre volava. La pazzerella aveva imparato a volare... in alto, sempre più in alto nel cielo dove le stelle si facevano sempre più vicine, a portata di mano, prima di spegnersi di colpo, tutte insieme nella notte metropolitana, mentre rosso, sull'asfalto, un papavero sbocciava.