lunedì 19 aprile 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°13)

Come avevo fatto a non capire, a non indagare? Avevo evidentemente operato una selezione dei ricordi che mi proteggesse da una realtà disturbante che avrebbe potuto incrinare le mie sicurezze. Stanati dall'ombra in cui erano stati relegati, momenti, impressioni, ricordi e quel teatrino di finzioni che era stato la mia vita e quella dei miei genitori, salivano a galla sciorinandomi davanti quel non detto che mi era sembrato bastasse ignorare per non cogliere l'infelicità di quelle vite negate. L'anello scomparso, alla morte di mio padre, era riapparso tra le sue carte. Mia madre l'aveva preso in mano per un istante, poi l'aveva gettato nel sacco destinato alla spazzatura.
"Non ho mai saputo di chi fosse... " avevo chiesto, ma lei mi aveva interrotta. "Era mio, l'avevo dato a tuo padre da fidanzati. Tutto qui! Al suo ritorno dalla prigionia mi accusò di averlo tradito, voleva lasciarmi, farneticò di un uomo che aveva conosciuto... Be', tornò dalla prigionia - te lo ricordi certamente - pazzo di rabbia, di furore. Rimasi con lui soltanto per amor tuo".
Non so per quale motivo, non credo alle coincidenze, mentre si voltava, io ripescai l'anello e me lo misi in tasca. Finì nascosto insieme al mio diario e io, scoprendo che la data all'interno dell'anello altro non era se non il giorno in cui mia madre era nata, mi convinsi di una verità che, ripeto, salvaguardava il mio fragile mondo.
Gloria arrivò poco dopo: tirata e diffidente come sempre, misurava però le parole, decisa a ottenere da me... che cosa? Non mi era ancora chiaro, ma dal momento che la sua comparsa nella mia vita era stata preordinata e studiata a tavolino e le rivelazioni che si susseguivano una all'altra se chiarivano la sua storia, ingarbugliavano la mia, avrei preteso da lei qualcosa in cambio di quelle informazioni. Ci sarebbe stato un baratto.
"L'hai trovato?" mi chiese.
"Ti rendi conto che le mie sicurezze... " cominciai.
"La tue finzioni, non le tue sicurezze, stanno cadendo una a una, come birilli" rettificò interrompendomi, ma con dolcezza. Io ero molto agitata, forse troppo in relazione a ciò che stava accadendo, tanto che scordai di chiederle quel qualcosa, quel chiarimento a priori che intuivo potesse essere in grado di darmi.
Comiciammo a cercare e, mentre i ricordi di una vita mi scivolavano tra le mani perché, gettato all'aria il mio appartamento, eravamo passate alla soffitta che stavamo setacciando, mi montava dentro un insieme contrastante di emozioni. Vuotando uno scatolone che conteneva ancora i miei quaderni delle elementari quel dannato anello ruzzolò a terra, con un tintinnio che ruppe il silenzio polveroso che regnava nel locale.
Gloria si chinò, prese l'anello con delicatezza, ne scrutò l'interno e sollevò quel suo viso altero, fisso, che una sciabolata di luce, filtrando dalla finestrella socchiusa, sembrò staccare dal corpo, quasi volesse provocare in lei un'emozione, smuoverle dentro un ricordo. Ma la sua voce, quando parlò, non ebbe esitazioni mentre io, basita, vedevo il castello di carte che era stata fino a quel momento la mia vita implodere, accartocciandosi su se stesso.
Con un flo di voce, le mormorai: "Vuoi ripetere quello che hai detto?"