venerdì 2 aprile 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°7)

Quell'episodio sembrò concludersi così: un tentativo maldestro di furto da parte di un ladruncolo, probabilmente drogato. Ma non per me. Avevo colto, o avuto la sensazione di cogliere, non soltanto delle contraddizioni tra ciò che Gloria sembrava aver pensato e certi sguardi e le parole pronunciate in merito a quanto avvenuto, ma avevo anche avvertito, in quella occasione, che si stava instaurando tra me e lei un rapporto che, anche se non ne capivo bene le ragioni, cominciava a darmi un sottile senso di angoscia. Gloria era gentilissima con me e sempre disponibile ad ascoltarmi se qualcosa mi angosciava o soltanto turbava, ma... ma io avvertivo in lei una duplicità, quasi un sottofondo caratteriale che intuivo celasse qualcosa, una parte di lei molto meno presentabile e affabile dell'involucro raffinato e accurato con il quale era solita presentarsi.
Una parte che era emersa nella freddezza con cui aveva osservato il cane, steso morto ai suoi piedi, e nell'odio che le era balenato nello sguardo e le aveva fatto stringere le mani a pugno fino a farle quasi conficcare le unghie nei palmi.
C'erano stati degli accenni a un passato segnato dalla sofferenza, al suo essere ebrea. Forse le due cose erano legate? Avevo avuto un'intuizione corretta e ne ebbi conferma una sera d'estate, una di quelle sere estive in cui la luce sembra aver sconfitto definitivamente l'ombra e le rondini si esibiscono nelle ultime acrobazie prima di affogare nel mare nero della notte estiva. Nel giardino di Gloria fiorivano i gerani e sbocciavano le rose, inondando l'aria di profumi.
"Saranno mancate a mia madre le sue rose ad Aushwitz?" lei disse, e improvvisamente la sua voce diventò incolore, piatta, in contrapposizione a quell'apoteosi di rossi e verdi e bellezza e pace e serenità che ci avvolgevano. Non osai interromperla e lei continuò dicendomi:" Io avevo quattro anni, ma ricordo tutto: i soldati tedeschi con l'elmetto, il tonfo degli stivali sul parquet lucido di cera, il latrato degli ordini che si confondeva con quello dei cani tenuti al guinzaglio. Fu un'intuizione di mia madre a salvarmi: mi nascose nella cuccia del cane che sembrò capire coprendomi con il suo corpo. Li vidi allontanarsi tra i soldati: mio padre improvvisamente curvo, mia madre tra i miei fratelli, una rosa rossa ancora appuntata sul vestito. Era una sera d'estate com questa, nell'aria lo stesso profumo... Non li avrei più rivisti" (continua... )