lunedì 15 febbraio 2010

Creatura d'acqua (racconto a puntate)

Calava la sera su Venezia lasciando scivolare lunghe ombre sui canali. Nelle calli che risuonavano di voci ancora per un istante una risata spezzava, sgradevole, l'armonia dei suoni mentre il mormorio dell'acqua riaffermava il suo dominio sulla città che i lunghi tentacoli dei suoi canali rinserravano, come un amante troppo focoso. Avvolta in un mantello di seta, il cappuccio sollevato a coprirle i capelli, una maschera sul volto, una donna avanzava, guardinga, scrutandosi intorno quasi temesse un pericolo o cercasse qualcosa, qualcuno. Arrivata davanti a un portone si fermò lasciando scorrere lo sguardo sulla targhetta, poi, delusa, riprese a camminare. Non amava quella città anche se era in una di quelle calli che era nata e cresciuta, stentatamente come una pianta senza luce, troppo alta, troppo magra e pallida. Sua nonna, una sera mentre passeggiavano lungo i canali, le aveva detto:"Sei una creatura dell'acqua, una di quelle donne che possono nascere soltanto qui, dove incerto è il confine tra terra e mare e la lotta tra i due elementi non avrà mai fine...", per concludere con un sorriso "e se un mattino ti dovessi trovare luccicante di scaglie dalla vita in giù, be'... questa è terra di sirene". Lei l'aveva presa un po' troppo sul serio, marinando la scuola, un'inappetenza che si accentuava come il il senso di estraneità nei confronti delle persone e dei luoghi, rendendole la vita insopportabile. Sulla schiena le scapole, come due aluccie, la facevano sembrare un uccello pronto a spiccare il volo verso altri spazi, altri luoghi. Ma la madre la riacchiappava, la riportava a terra. Medici, iniezioni, ricostituenti: qualcuno scrollava la testa. Angoscia e rabbia accendevano gli occhi di sua madre come incendi in una notte estiva.
Un giorno mentre se ne stava seduta guardando gli altri mangiare sua madre le aveva messo un cucchiaio in bocca, come a una bambina, e lei che era una donna il risotto glielo aveva sputato in faccia... Lo schiaffo era volato, il piatto era volato. Singhiozzi, urla, i vicini affacciati a guardare, a borbottare curiosi, scuotendo il capo. Anche loro. Lei non ricordava bene: si era chiusa nella sua camera, a chiave, i colpi battuti sulla porta che rimbombavano. Forse, aveva solo cercato una via di fuga in quella finestra dalla quale entrava la voce dell'acqua che, mormorando, la chiamava mentre anche lei volava, i capelli come alghe danzanti che  alitavano intorno al suo volto chiaro mentre l'abbraccio dell'acqua l'avvolgeva, la rinserrava...
(continua...)