sabato 16 gennaio 2010

Racconto a puntate (La vita cambia)

"Era all'esterno una casa non dissimile di molto da altre che, proseguendo lungo la strada, si sarebbero potute incontrare. Dentro però... si entrava in un atrio piccolo con uno specchio incorniciato di legno colorato di azzurro e disseminato di violette. Sotto, un cestino di un viola più scuro conteneva degli ombrelli. A destra tre gradini portavano all'atrio vero e proprio della casa su una moquette azzurra: un vecchio baule dalle borchie in ferro sembrava galleggiare su quell'azzurro. Sulle pareti bianche, monacali, una serie di disegni infantili, incorniciati, si rincorrevano... ".
Cercava di non guardare quella pozza rossa che si allargava sotto il corpo dell'uomo che, alla sua sinistra, giaceva scomposto sul pavimento...
"Le porte, le porte della casa della sua migliore amica erano viola e sulla parete del soggiorno una nave, le vele gonfie di vento, navigava baldanzosa verso l'ignoto". Ci uccideranno tutti - pensò - guardandosi le mani appoggiate in grembo e meravigliandosi che non tremassero. Ci uccideranno, ci spareranno come hanno fatto, uccidendolo, con il funzionario dell'Ufficio Titoli: cancellandogli dalla faccia quell'occhiata soddisfatta in una smorfia di stupore prima che di dolore. Quei due cretini, che si aggiravano ora come leoni in gabbia continuando a puntare l'arma sullo sparuto gruppetto degli ostaggi, avevano saltato il fosso, diventando due assassini.
"Se ne uscirò viva, dipingerò d'azzurro la casa" - pensò e, voltandosi verso la signorina Gabuzzi, le sussurrò:"Come si chiama?"
"Gabuzzi" rispose la donna e la voce le si spezzò.
"Di nome. Non vorrà che la chiami Gabuzzi" disse Ludovica.
"Manuela".
"Silenzio! Fate silenzio o sparo!" urlò uno dei due uomini, alzando minaccioso l'arma mentre un silenzio carico di tensione scendava sul locale. Ludovica notò il tremore delle mmani e il sudore che gli inumidiva la fronte e il labbro superiore. Si muoveva a scatti come un giocattolo meccanico, negli occhi affiorava una sorta di meraviglia. Sulle guance pallide, mal rasate, qualche foruncolo arrossato gli dava un'aria infantile.
Lo squillo del telefono percorse l'aria. Insistente. Uno dei banditi rispose:"Sì, sono stato costretto a sparare, provate a intervenire e li faccio fuori tutti."
Poi snocciolò le sue richieste e dopo un attimo di silenzio aggiunse:"Sì, una donna... " e, rivolgendosi a Ludovica le chiese:"Nome?"
"Ludovica Sartori" e quel suo nome le sembrò estraneo, come se non le appartenesse. Il giorno dopo, nell'articolo sulla Gazzetta locale, avrebbero indicato con le iniziali elle e esse una delle due donne adagiate sul tappeto color porpora e avrebbero intervistato suo marito: qualificandolo con quell'assurdo aggettivo: "affranto"? (continua...)