giovedì 14 gennaio 2010

Leggendo Riotta

La mia conoscenza della rete è passata attraverso il blog come un filo attraverso la cruna di un ago. Era ottobre e la luce aveva quella tonalità calda e sfumata che i pittori amano, mentre il neurologo del “Besta” mi comunicava l’esito delle analisi appena concluse: non era “sindrome da nido vuoto” né erano “paturnie” da menopausa. Era una malattia neurologica, una di quelle che fanno tremare le vene ai polsi…

Io lo ascoltavo distratta da quella luce, cercando di annullare la sua voce nella speranza di sommergere lui, le sue parole e la sua diagnosi in fondo, più in fondo ancora nel pozzo nero della mia paura. Fuori dallo studio c’erano i figli, le facce lunghe, il sorriso tirato a prendere atto che quel muro che li aveva difesi dal mondo non c’era più. Crollato, non avrebbe più sorretto, ma avrebbe richiesto un sostegno.

Lasciai Milano, troppo caotica e inadatta alle mie gambe che si erano fatte fiacche e lente. Mi trasferii in una cittadina dell’Emilia, dove viveva mia figlia. Scivolai in un inverno che non dimenticherò: corte giornate che la nebbia rendeva opalescenti, estranee. La gatta acciambellata sulle mie ginocchia, lo sguardo che vagava su libri che non leggevo, cd che non ascoltavo. Sullo sfondo gracchiava il televisore e danzavano figure in movimento di cui coglievo soltanto la ricchezza cromatica rispetto all’azzurro mare della parete. La terapia scivolava su di me come una marea sulla spiaggia: inutilmente ripetitiva.
Pensavo.

Pensavo alla mia vita data agli altri: ai figli che apparivano e, spaventati, sparivano come meteore, agli alunni che avevo seguito con passione, sciroppandomi una materia che non mi era mai piaciuta ma che, con puntiglioso senso del dovere, avevo seguito aggiornandomi, alle domeniche e feste comandate passate stirando, lavando e cucinando nonché tentando di arginare il disordine che tre ragazzini si trascinano dietro come una stella cometa la coda.

Pensavo e lentamente morivo. Di malinconia che stava diventando disperazione. Poi, come ho già raccontato, la gatta entrò dalla finestra in cantina e non riuscì a uscire. Miagolò fino a mettermi sulle sue tracce. Acciambellata sullo scatolone ancora chiuso che conteneva il vecchio computer dei ragazzi, mi fissò. Risalimmo in casa in tre: lei, il computer e io.

Poi tutto cominciò ad andare a passo di carica: imparai a usare il pc anche se male e continuando a commettere errori. Cominciai a scrivere, scoprendo che era ciò che avrei voluto, ma non avevo mai potuto fare. La scrittura si rivelava una passione e delle passioni aveva la forza travolgente: la terapia cominciava a fare effetto e la passione urlava più forte della malattia, ne sovrastava la voce annullandola. Annullandola no, ma contenendola, fiaccandola, facendola avanzare a piccoli passi cauti, incerti.

Sarebbe da approfondire l’impatto della rete sui complessi meccanismi mentali delle malattie neurologiche.
E se la produzione di endorfine desse una mano ai neuroni? In fondo, da sempre la malattia è la risposta del corpo alla disperazione. Perché non dovrebbe essere vero il contrario? Leggere un giornale, sciropparmi Gianni Riotta, avrebbe avuto lo stesso effetto? Ne dubito. Vecchia e malata ho trovato su internet quella terra così a lungo cercata che ormai pensavo esistesse solo nella mia fantasia. Opportunità, confronto, scoperta, informazione e… valenza terapeutica. Se a Riotta sembra poco, a me ha cambiato la vita
Facendomi rientrare, come un certo cammello, sempre attraverso la cruna di un ago, nel mondo dei vivi.

Sulle ali del blog...

Internet ci collega al mondo comunicandocene il respiro calmo o l’urlo, il calore o il gelo che giungono fino a noi sulle ali di quel mirabolante strumento di comunicazione che è la parola. E' la parola il primo aggancio che inchioda la nostra curiosità e fa nascere un'amicizia in rete, miracolo che si rinnova in ogni momento. E’ l’impatto con la scrittura che blocca lo sguardo facendo uscire una persona dalla folla indistinta che, come un fagiolo nel baccello, la inglobava, mentre nel mondo reale è anche la gestualità del linguaggio del corpo, attraverso lo sguardo, il sorriso o il timbro della voce, a falsare o svelare con o senza il supporto delle parole.

Là dove i confini sfumano e la fantasia contamina implacabile abbiamo al massimo una serie di fotografie o la visualizzazione su You Tube a svelare l’immagine, con a monte però una scelta finalizzata al crearla, prima che a darla, questa immagine che ci rassicura con la sua granitica corporeità .

E così le amicizie nate in Rete sono profonde come gli spazi in cui la rete veleggia, cementate da decine di lettere: saranno fiumi di parole, a narrare storie di famiglia, alternati a brevi comunicati, due parole smozzicate che grondano sonno o disperazione, qualche “faccina” ballonzolante, i segni d’interpunzione che invadono il campo aggressivi come tifosi da stadio, a esprimere nella grafica la partecipazione emotiva di chi scrive a ciò che comunica.

La favola della Bella e la Bestia è quella più adatta a rappresentare gli incontri su internet. Ci si difende meno perché si rischia e, quindi, si osa di più. L’immagine di noi falsata, al di là dei veri e propri raggiri, nasce da un sostrato infantile e quindi profondo, dalle stesse motivazioni che hanno reso il Carnevale la festa più allegra e sfrenata nell’aspetto e la più malinconica e struggente nell’anima: il gioco sottile e avvincente dell’essere o apparire, la dicotomia che finisce per essere struttura portante del virtuale.

Quando nasce un’amicizia in rete significa che abbiamo alzato la maschera e ci siamo spogliati del costume, del titolo di studio, dell’orgoglio della nostra professione… Abbiamo lanciato un messaggio chiaro e asciutto come un SOS… Sono qui e sono solo, uomo/donna che guarda il cielo e respira piano e, se qualcuno ha intercettato quel messaggio, è perché ne ha colto non solo la genuinità ma l’essenza più profonda, che a lui corrisponde... Da cosa? Ah, questo è più che un mistero, il mistero! Qual è la complessa alchimia dei sentimenti, delle emozioni?
Scatta il dito sulla tastiera: nere lettere si alzano in volo a cercare altre parole che volano sulle stesse rotte.
Ci si intercetta tra simili…
Anche questo accade in rete e, spesso, è il blog l’angolo di mondo in cui questo miracolo si verifica.