martedì 5 gennaio 2010

Buon 2010

Questa mattina, complice una nevicata notturna sulla Padania, mi ha svegliata il silenzio. Assoluto! Con una sua particolare sonorità non priva di angoscia. Ancora inscemenita dal sonno ho messo la moka sul fuoco e il gorgoglio del caffè mi ha dato una sensazione di sicurezza. Gesti, profumi, rumori abituali che sancivano qualcosa di stabile, un punto fermo al quale fare riferimento. Tanto più importante in questi primi giorni di un nuovo anno che apre gli occhi su un mondo in crisi in cui il vecchio è crollato e il nuovo non si è ancora manifestato.
Il bisogno di punti fermi affonda le sue radici nell'insicurezza - ho pensato, sorseggiando il mio caffè. Altro che "immaginazione al potere", "vogliamo tutto e subito" o "il corpo è mio e me lo gestisco io"... Il potere è piatto come una cacca di mucca spiaccicata sul terreno e, sia a destra sia a sinistra, l'arroganza degli uni e il pigolio degli altri nascondono lo stesso vuoto di idee che non riescono a dare risposte alla domanda che angoscia tutti noi: "Se la politica è vecchia, qual è la nuova politica?"
Ripenso quasi con tenerezza a quel volere tutto che dava per scontato il posto di lavoro. Sicuro. Corredato di diritti "acquisiti". Certi, fatti nostri e, naturalmente, per sempre! Il tutto "subito", prima di invecchiare: a spron battuto, bandendo ogni attesa. Nella crisi attuale, sono i giovani, proprio loro a pagare il prezzo più alto, a essere beffati due volte: essendo entrati nel mondo del lavoro con contratti a tempo determinato ed essendo stati sbattuti fuori senza poter accedere alla cassa integrazione che, tra l'altro, da strumento di sostegno straordinario e per definizione temporaneo, viene ora usata per affrontare una crisi strutturale. Con quali conseguenze sui conti pubblici è facilmente intuibile.
In quel "tutto" entravano a pieno diritto eguaglianza, fratellanza e... felicità.
Mi sembra ovvio. E, dimenticavo: la "sorellanza", la complicità tra donne che avrebbe sostituito alla fratellanza la parità che è il riconoscimento dell'eguaglianza tra diversi. Ma se lo Stato non è più in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini non rimane che "arrangiarsi" contando sulla furbizia personale in una realtà sociale dove l'individualismo guadagna sempre più terreno.
Il caffè mi borbotta nello stomaco mentre una domanda mi frulla nella mente. Ci sono luoghi, mezzi, capaci di coagulare ideali da cui possa scaturire qualcosa di comune? Mi viene in mente la Rete, con i blog e i network. Ma c'è solidarietà nella rete o piuttosto appartenenza? Il nuovo è tale se e nella misura in cui scardina le vecchie regole, ma siamo sicuri che in rete si stiano scardinando le regole stantie che hanno affossato il vecchio mondo?
Penso al senso di appartenenza degli operai che nasceva nelle fabbriche, nutrendosi di discussioni davanti a un bicchiere di vino, scambiandosi una sigaretta nella pausa pranzo, dandosi una manata sulla spalla... Anche scontrandosi, anche assumendo posizioni in netto contrasto, ma fatte di occhiate, borbottii, mattine livide fuori dai cancelli delle fabbriche dove tutti si conoscevano e il freddo nelle ossa era lo stesso e il sindacalista era uno che lavorava accanto a te e conosceva la tua fatica, la tua rabbia, perché le provava, come te, sulla sua pelle.
Ora sulla rete tutto è affidato alle parole, trait d'union tra le persone, espressione dei sentimenti, degli ideali e delle emozioni più profonde. Spesso, come diceva mia nonna... ciacole.
Non è il cambiamento che mi spaventa, è l'ipotesi opposta: l'immobilismo di una società capace di cambiare soltanto grazie alle parole che abilmente la descrivono. Lo stomaco gorgoglia, inquieto.
Come me.

Scrivere

Scrivere è dare voce ai muti, sollievo agli angosciati. E' dimenticare la paura, relegandola nel mondo che ci lasciamo alle spalle, fuggendo su tappeti di parole come principesse su cavalli bianchi. E'guardare in faccia le nostre emozioni perdendo il vizio di spiarle dal buco della serratura.
E' osare per i tremebondi, mostrarsi per i timidi, credere per i titubanti.
Scrivere è inventare: una, due, cento vite quando l'unica che abbiamo non ci soddisfa. E' anche ricordare a noi e agli altri ciò che non deve essere dimenticato
Scrivere è costruire città di parole e accenderle di mille luci per sconfiggere la solitudine. E' capire la passione, cercando con costanza, fatica e sforzo di coglierne il gusto.
Scrivere è scoprire la nostra arroganza per indurla all'umiltà, confessando a noi stessi ciò che di solito, usando le parole come coltelli, diciamo degli altri. Scrivere è usare le parole come carezze, per comunicare mentendo, mentre le mescoliamo con l'abilità dei bari al tavolo da gioco e le lanciamo in alto come giocolieri abili nell'afferrare i loro attrezzi.
Scrivere è far gorgogliare le parole in gola come rosolio dietro a un sorriso, è farle scivolare, leggere come carezze, sulla pelle che amiamo.
Scrivere è far danzare le parole, farle volteggiare, scatenarle in sarabanda sfrenata e farle cantare... Poi, esauste, farle esplodere come fuochi d'artificio in un cielo estivo per ricordare che, come stelle cadenti, possono esaudire qualunque desiderio.