domenica 28 novembre 2010

Sembra volo di farfalle...

Alzo gli occhi dal pc
e me la ritrovo qui

Sembra un volo di farfalle
dalle ali imbrillantate
e di ghiaccio ricamate

Sembra riso
che festeggi
due novelli
freschi sposi
sul sagrato di una chiesa

Sembra zucchero filato
a una festa di paese

Scende bianca
scende lieve

Sembra panna
ma è neve
e con lei l'inverno...
danza.

sabato 27 novembre 2010

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°7)

Eh sì!, per la prima volta nella sua vita aveva provato a essere dall'altra parte della barricata, in quella zona d'ombra di cui le donne - quelle serie - non parlavano, se non con disprezzo e... rabbia. Rabbia per quelle squinziette, quelle rovinamatrimoni, quelle pantere che dava sollievo immaginare tutte curve e poco cervello, quelle donne che accendevano i loro stanchi partner di una vitalità nuova, inimmaginabile, stimolandone la fantasia erotica e la capacità, non meno fantasiosa, necessaria per organizzare una doppia vita, fatta di bugie a go-go, impegni di lavoro fasulli da inventare, doppio telefonino, maglioni di cachemire rosso rubino di cui giustificare l'insolita presenza nell'armadio, abitualmente immerso nella ripetitività tranquillizzante del grigio e del marrone /beige. Ora era lei quella presenza inquietante, erano i suoi quegli umori che rimanevano sulla pelle, tenaci e ineliminabili, quasi l'amore, quell'amore scatenato, avesse un profumo capace di resistere a qualsiasi doccia o bagnoschiuma... ora sarebbe stata lei, l'altra, quella che avrebbe annullato il tepore, la sicurezza delle abitudini, il fremito appena accennato di rasssicuranti amplessi coniugali.
Era stato esaltante essere l'oggetto della gelosia, non la vittima di quel sentimento doloroso, avvilente, acidulo e corrosivo come l'acido muriatico usato per scrostare il water; essere quella che scalzava, non quella che,  scalzata, veniva messa in disparte; essere la donna alla quale si regalava un profumo o un completino sexi o le autoreggenti, non la pentola a pressione o i guanti abbinati alla sciarpa.
Eh sì, il musicista aveva una moglie: molto impegnata, molto efficiente, bella, intelligente. Una donna che spesso era assente per motivi di lavoro, una donna che mai avrebbe pensato di poter essere tradita. Ma quale donna lo pensa?

(continua... )

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°6)

Dopo aver lanciato un'occhiata verificando che non ci fosse nessuno sul pianerottolo o lungo le scale,  lei aveva raggiunto in tutta fretta la porta del suo appartamento dove l'aveva accolta la sua immagine, riflessa nello specchio dell'ingresso - scapigliata, le scarpe in mano, quelle labbra arrossate e lo sguardo chiaro insolitamente allegro - che le era apparsa improvvisamente estranea.
Eccitata e insonne si era affacciata alla finestra, contemplando la città che si andava svelando alla luce chiara dell'alba. Quella selva di case, dove le finestre sembravano buchi lasciati da sventagliate di proiettili, non le aveva comunicato l'abituale sensazione di solitudine; piuttosto le era sembrato che la città le strizzasse, complice, un occhio, proteggendola con il buio delle strade e il silenzio mai privo di suoni della metropoli. C'erano, come  sempre, porte che scricchiolavano, sbattevano e imprecazioni che seguivano, quasi a sottolineare la contemporanea presenza, nascosta dalla notte, di una vita sotterranea, vagamente peccaminosa, impudica e pericolosa.
Era cominciata così  quella storia, mai raccontata a nessuno, tenuta segreta non per vergogna, ma per la paura di vederla svanire come nebbia al sole, quasi si fosse trattato di un sogno, ritenuto per un istante nel passaggio allo stato di coscienza del risveglio già parte della realtà.
Era cambiata, quasi una luce le si fosse accesa dentro a illuminarne lo sguardo. Il suo corpo snello si era un po' ammorbidito, il  passo si era fatto più sicuro, le spalle si erano raddrizzate dando al suo portamento, già timido e dimesso, una sicurezza nuova.
Tutti, anche in famiglia, l'avevano notato. 
Al compagno, sicurissimo della sua fedeltà, aveva raccontato di improbabili disturbi ginecologici e lui, con pietose bugie, alle quali lei fingeva di credere, si era già interessato alla sua migliore amica che, quando parlava di lui, arrossiva e sbuffava, incolpando del fatto altrettanto improbabili scalmane da menopausa. 
Aveva scoperto il fascino potente della trasgressione e l'eccitazione dell'ambiguità...
(continua... )

sabato 20 novembre 2010

Come foglia, come pianto

Sull'autunno che la nebbia
già sbiadisce 
gronda pioggia, 
come acqua,
come pianto 

E sul ramo del ciliegio,
una foglia, 
una soltanto,
lenta ciondola 
e resiste
Chissà come,
chissà quanto?
 
Perché averti amato?
Tanto.
Non sapevo 
che l'amore,
come foglia 
come pianto,
dura un attimo
soltanto? 

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°5)

Larghi fiocchi cadevano lenti rendendo invisibile il paesaggio e difficoltoso il passo, ma non i pensieri. Sua suocera non le aveva risposto, nemmeno una parola... mentre lei cercavadi giustificarsi per una scelta fatta tanto tempo prima, quando ancora la gelosia, per quel suo senso del possesso che nasceva dal bisogno di essere amata, e che in lei era stato- o ancora era? - voragine senza fondo, pozzo scuro al quale non aveva mai osato avvicinarsi, fiammeggiava come una torcia accesa nella notte. 
La stanchezza ora l'invadeva, muscolo dopo muscolo, confondendole i pensieri, mentre il suo passo si faceva pesante e la neve si accendeva d'oro, diventando luce gialla e calda che la faceva scivolare nel sonno Odiava i sogni - colori troppo violenti, situazioni angosciose - tutto un mondo che solo la razionalità imprigionava, murandolo vivo come un galeotto imprigionato in una fortezza inespugnabile, e per sempre.
"Allora, cosa ha deciso di fare?" la voce si sforzava di essere gentile, ma era seccata e troppo alta. Senza contare che le imponeva di prendere una decisione. Su cosa poi? Socchiuse gli occhi e le sembrò d'incrociare uno sguardo che la fissava, freddo.
"Allora mamma, anche il babbo... " Ci si metteva pure lui, il babbo come l'aveva chiamato suo figlio, a dettare legge. L'aveva appena spiegato che il rancore era ancora lì, vivo e vegeto, a darle una sensazione di blocco allo stomaco. E se lui, il figlio, aveva il diritto di mollarla in mezzo alla neve per scaldarsi tra le braccia della proprietaria di un bar golosa di ragazzetti, lei aveva il diritto di fare le sue  scelte senza avere tra le palle l'ex marito.
"Sarebbe la scelta migliore!"
Ma guarda - pensò - è arrivato anche lui, mentre riconosceva la sua voce e il profumo del suo dopobarba.
Era una vera e propria riunione di famiglia, peccato che considerandola importante quanto il due di coppe non le avessero detto nulla, né il marito, né il figlio, né... Be', questa era la più bella: c'era anche il suo compagno.
Da chi era stato invitato? E da quando lui e il marito si frequentavano? Eh, già, ormai andava di moda la famiglia  allargata: tutti a far finta di essere superiori, immuni da rancori, ripicche, tutti insieme appassionatamente a mimare di volersi bene, di essere preoccupati per le paturnie della ex moglie, ex compagna, ex, ex...
Se vi aspettate che vi dia il gusto di rispondere vi sbagliate di grosso - pensò, trincerandosi dietro alle palpebre chiuse.
Sentii volteggiare quella parola, noiosa come una zanzara: finge! Di non capire, di non sentire... finge, finge.
Finge cosa?. E' strano come chi dovrebbe conoscerci meglio, non ci ascolti, non ci osservi, arroccato nella presunzione di sapere tutto di noi, di dare per scontato un modi di essere dell'altro da sé immune da cambiamenti. Invece la vita non ci scorre addosso senza lasciare traccia, la vita ci cambia, ci modifica. Non le interessava  più la loro opinione: aveva voglia di vivere, di fare qualcosa per sé, non di dare agli altri, ma di prendere, afferrare per la coda la vita... e scoprirla. 
Aveva conosciuto quell'uomo, banalmente, quel nuovo condomino, arrivato un pomeriggio d'inverno, portandosi dietro un mare di scatoloni e quel pianoforte che non passava da nessuna parte, che aveva fatto imprecare e bestemmiare gli scaricatori, attirandola curiosa sulla porta di casa.
Se lo era trovato davanti, alto e bruno, gli occhi scuri  e i capelli ricci da ragazzo, appena ingrigiti sulle tempie.
Le aveva sorriso porgendole la mano e dicendole: "Non mi dica che odia la musica! Ho appena affittato l'appartamento accanto al suo" e lei aveva riso a sua volta, intimidita da quello sguardo che scivolava sull'interlocutore caldo come una carezza.
Alla sera, aveva suonato alla sua porta, tenendo in bilico su un vassoio una bottiglia di vino e un piatto di spaghetti.
"Ha già mangiato?" e il sorriso già contagiava gli occhi che la fissavano ammirati, indugiando sulle sue labbra, come se seguirne la geometria fosse la cosa più importante da fare in quel momento.
"No!"
"Allora, mi faccia compagnia, ma il vino lo offro io, sempre che riesca a trovarlo... " ed era partito in perlustrazione, aprendo scatoloni mentre lei lo seguiva aprendosi un varco tra scatoloni e mobili accatastati alla meno peggio.
Ricordava tutto di quella serata: il gusto del vino, la musica che lui le aveva suonato al pianoforte, le lunghe mani sottili e forti che scivolavano sui tasti e... , dopo, sulla sua pelle, con la stessa passione e sicurezza mentre la luce della candela - non aveva ancora la luce elettrica - si spegneva fumigando e la notte invadeva la stanza.
(continua... )

sabato 13 novembre 2010

Perché tanta meraviglia, Silvio?

Perché tanta meraviglia, Silvio? Hai trasformato la politica in spettacolo, in show televisivo, ponendoti al centro della scena - tu, inguaribile  istrione,- e recitando la tua parte, inorgoglito dagli applausi sempre più calorosi,  standing ovation inclusa? E allora? Il tuo pubblico si è stancato, forse perché il tuo spettacolo si è fatto ripetitivo: sempre le solite donnine, tutte curve e poco cervello, sempre la stessa menata, sempre uguali anche i sorrisi mentre gli spettatori all'uscita non trovavano più il cappello, o l'ombrello oppure i guanti, e, alla fine, nemmeno il cappotto e, tornando a casa, qualcuno si è ritrovato il soggiorno allagato e - come consolazione - solo le tue promesse e, di reale, una bottiglia d'acqua minerale e una vanga. Per cominciare a spalare il fango, anche dal laboratorio tirato su a fatica in anni di lavoro... "Come in guerra... " ha sussurrato tra i denti una vecchietta intervistata in TV, "come in guerra" mentre tu, simpatica canaglia, aggiungevi alla tua collezione di case l'ultima: la reggia di Antigua, costruita lontano dal Belpaese, poiché qui tutto rovina e i paesi ruscellano a valle dopo due giorni di pioggia, insieme alla terra resa instabile, ballerina, dal dissesto idrogeologico. E così qualcuno ha cambiato canale e magari ha scoperto un comico più bravo - uno che ha recitato gratuitamente - prendendoti per i fondelli, facendoti apparire per quello che sei sempre stato: un guitto. Un guitto! Sì, ma della politica che, di allegro, non ha mai avuto tanto e che - diciamocelo una volta per tutte - dovrebbe essere una cosa seria.
Si può sempre cambiare canale, Silvio, e se dovessi apparire a reti unificate, basterebbe un clic per spegnere il televisore. E' la politica via video, quella dell'immagine, quella "usa e getta", quella che tanto ha contribuito al tuo successo... Non ridi più? Il mugugno non dona in TV, te lo sei scordato? Uno come te?
Mi meravigli, Silvio!

venerdì 12 novembre 2010

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°4)


Si voltò e fissò quel volto rotondo e largo di contadina.
"Quanti anni,  Angela... ".
Le sorrise interrogativa.
"Maria, la nuora di Peppino... "
Fece un falso cenno di assenso chiedendole: "Qui non abita più nessuno?"
"Dopo la morte del marito è andata a vivere in città: dal figlio. Viene ogni tanto. Mette due fiori al cimitero... "
"E' quello che farò anch'io" tagliò corto sorridendo, mentre già s'incamminava lungo la strada che svoltava poco lontano per inerpicarsi a spirale lungo i fianchi della collina fino a raggiungere il cimitero sul cocuzzolo. La seguirono alcune parole che il vento raccolse sparpagliandole sui prati.
Ripercorse quella strada come tante volte aveva fatto: i figli bambini che le saltellavano accanto rumorosi contendendosi la sua mano e litigando tra loro. Il sole alto nel cielo scioglieva la neve che cadeva dai rami in uno sfarfallio acquoso che non la intristiva. Varcò il cancello: la tomba della famiglia s'imponeva aggressiva e massiccia sulle piccole lapidi che la circondavano, quasi si trattasse di uno stuolo ossequioso di soldati che circondasserero un condottiero a cavallo.
Fu in quel momento che la vide. Si stagliava netta ritagliandosi uno spazio nel biancore luccicante del paesaggio, l'abito nero che le ricadeva sul corpo snello confondendosi con la massa scura, lucida, dei capelli, la veletta che le oscurava lo sguardo. Si squadrarono per un lungo istante, prendendosi le misure. Diffidenti.
"Angela: non pensavo che ti avrei rivista" le disse sua suocera.
"La vita ci sorprende. Sempre!" le rispose avvicinandosi. Si meravigliò che portasse quel cappello eccessivamente elegante, poco adatto al luogo e alla stagione, come l'abito e le scarpe dal tacco alto di camoscio nero.
"Non sei cambiata" aggiunse, con una certa invidia, notando che il volto, dal profilo altero, era ancora bello, incredibilmente bello per la sua età, mentre il bisogno di giustificarsi davanti a lei la induceva a dirle "So che non hai approvato la mia decisione, ma... "
La donna la guardava, in attesa. O era lei che scambiava per attesa ciò che era soltanto una patina di cortese indifferenza?
Incominciò a parlare, la voce che nel silenzio del luogo si era fatta un bisbiglio quasi incomprensible, mentre lei tentava di dare a quelle parole che uscivano a stento dalle sue labbra una pienezza che non avevano. Perché non riusciva ad articolare le parole, né a staccarle l'una dall'altra? Erano, come un torrente in piena, l'espressione di un'angoscia ormai incontenibile che tracimava invadendo il silenzio, rimbalzando sulle lapidi e sul viso della donna che, davanti a lei, la osservava fredda, distante, l'espressione immobile, come quella dei volti che le lapidi incorniciavano nel gelo del marmo.
Il rancore, mai superato del tutto, la soffocava e il silenzio dell'altra, lungi dal calmarla, aumentava la sua rabbia mentre le accuse rivolte al marito rimbalzavano su quel nome, il nome della rivale, che le sue labbra nominavano torcendosi.
"Be', dimmi qualcosa, rispondimi!" esclamò alla fine, sempre con quella voce soffocata, innaturale, monotona che non le apparteneva. La risposta fu un enigmatico sorriso, seguito da un gesto fatto la mano: quasi un gesto d'addio che tale si rivelò quando, distratta da un frullo d'ali, dopo aver seguito il volo di un uccello, lei riabbassò lo sguardo notando, stupita, che davanti a lei non c'era nessuno e l'unico rumore che si udiva era il cigolio sommesso che proveniva dalla porta socchiusa che dava accesso alla tomba di famiglia. Una sensazione di paura la morse allo stomaco e la fretta, quella fretta che per pochi minuti le aveva concesso una tregua, la spinse di nuovo a mettersi in marcia... Ad andare e, come un animale braccato, a correre, per sottrarsi a qualcosa, a qualcuno. Pochi secondi le bastarono per raggiungere il cancello e uscire. 
Aveva ripreso a nevicare.
(continua... )

lunedì 8 novembre 2010

Mio caro Presidente...

Mio caro Presidente,
non ha ancora capito che il suo tempo è scaduto? Dai tetti delle fabbriche, dall'alto delle gru, dalle strade che sempre più spesso si colmano di gente, arriva un urlo, un frastuono che presto sarà boato. Non li sente, Presidente, non li sente, i ragazzi che hanno fame di lavoro, gli immigrati che reclamano il diritto ad esistere, ad essere cittadini come gli altri, non le sente le ghignate che arrivano dall'estero, i risolini di scherno che la seguono, la circondano, le voci false dei servi che ancora la adulano... ? E' sordo, Presidente? E' cieco? La sta aggirando, e superando, la Storia che corre veloce, dove diretta non ci è dato sapere, ma certamente in un futuro che lei non vedrà perché è vecchio, è sfatto. E' la vita, Presidente, con le sue regole, e non c'è carta di credito che possa cambiarle.
Si guardi allo specchio nella luce livida, implacabile, del giorno che nasce e capirà di essere un uomo finito. Si tolga il cerone, si sfili quelle assurde scarpe con il tacco - non è una ballerina, è un nonno - smetta di sorridere e si  (ci)  risparmi quelle battute becere, volgari, quelle barzellette che non fanno più divertire nessuno. Prenda la porta e se la schiuda alle spalle. Non abbiamo voglia di ridere, dobbiamo voltare pagina ... 
E ricominciare.
Scompaia, Presidente. Si dimetta! E' quello che il Paese attende, è quello che il Paese esige.

lunedì 1 novembre 2010

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°3)

Devo andare - pensò, alzandosi in fretta e lasciando il denaro sul tavolino, senza voltarsi indietro, l'urgenza di muoversi che dava ai suoi gesti una concitazione per lei inusuale.
Il sole ora avvolgeva la valle che si spalancava davanti ai suoi occhi. Conosceva quelle montagne aspre, puntute, e il loro silenzio, conosceva quella strada che si snodava, alternando curve a brevi rettilinei, giù nella valle. Pur coperta dalla neve avrebbe saputo distinguerne il tracciato, anche a occhi chiusi. Affrettò il passo, scendendo sicura. Rispetto alla notte appena passata avanzava abbastanza spedita. Il figlio non la seguiva più... Doveva essersi fermato. Forse la proprietaria del locale gli aveva offero le salsicce di fegato sott'olio, forse si era stancato di seguirla in quella sua corsa che doveva essergli sembrata priva di senso. Be', era adulto e vaccinato, se la sarebbe cavata da solo in un modo o nell'altro.
Il caffè le bruciava lo stomaco e il freddo pungente la faceva rabbrividire. Quasi senza rendersene conto si ritrovò in una piazzetta, una di quelle piazze così comuni nei paesi da non essere quasi distinguibili l'una dall'altra. L'immancabile chiesa da un lato, il bar dall'altro, case e un negozio di alimentari a delimitare quello spazio che è il cuore pulsante di ogni paese. Qualche vecchio con le carte da gioco in mano, le beghine davanti alla chiesa, nere come corvi saltellanti sulla neve in cerca di cibo. Nulla sembrava cambiato, nemmeno nella casa accanto alla chiesa.
Si avvicinò e accostò l'orecchio al battente del portone. Silenzio. Assoluto. Era passato tanto tempo, cosa si era aspettata? Di trovare qualcuno? Di essere accolta al suono delle fanfare?
Si mosse lentamente e sbirciò, attraverso la cancellata, nel giardino. Era incolto, i cespugli avevano invaso le aiuole. La siepe non più potata, fitta come un muro, ricadeva in disordine intrecciandosi alle erbacce e debordando nella piazza.
"C'è nessuno?" La sua voce risuonò stridula e alle sue spalle sentì, prima ancora di avvertirne la presenza, una voce di donna apostrofarla in tono interrogativo: "Sei tu Angela? Mio Dio, quanto tempo è passato?"
(continua... )