domenica 31 ottobre 2010

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°2)

Si voltò. L'uomo, anzi il ragazzo che la seguiva, le sorrise, e con  una breve corsa la raggiunse.
"Ma che giorno è?" le chiese.
"Domenica credo, altrimenti io sarei al lavoro e tu a scuola".
E sorrise, osservandolo, l'espressione corrucciata di sempre, il maglione di sghembo, e quel passo nervoso che si mangiava la strada.
"Che bella questa vallata, mamma, mi emoziona ogni volta che la vedo... "
"E' bella, ma io amo il mare".
"Lo so, sei proprio una lucertola"
Scendevano affiancati lungo lo stretto viottolo, non nevicava più.
"Ho fame e tu?" lui le chiese.
"No" gli rispose.
Il baretto del paese era piccolo, squallido in quel suo lindore di plastica e odore aspro di detersivo che saliva dal secchio, colmo di acqua schiumosa, dove la proprietaria intingeva il moccio che strizzava prima di passarlo con foga eccessiva sul pavimento.
"Un caffè ristretto e una cioccolata. Avete delle brioches?"
"Teniamo salame e formaggio, signo' " e la donna rise, le mani sui fianchi larghi e ondeggianti, guardando golosa suo figlio che già assentiva.
Lo osservò mangiare, il caffè forte e aspro che le scendeva nello stomaco, e gli chiese:
"Allora, hai deciso che facoltà... "
"Buono questo salame... "
"Lo faccimo noialtri, credo ch'è bono... " e curiosa la donna chiese "Da dove venite?"
"Da lontano, molto lontano"  lei rispose.
"Economia, nella migliore tradizione di famiglia... " e rise concludendo "mi hai convinto".
La proprietaria armeggiava ora intorno a una vecchia radio. Pochi secondi e nella stanza irruppe la musica. Vorrei che fosse amore, amore quello vero... e lei continuò, a mezzavoce,  la cosa che io sento.... e guardando suo figlio la colpì quel suo modo di guardare e il colore dei suoi occhi, come se l'avesse scoperto in quel momento. Cosa? "Che i cromosomi non sono acqua" pensò, confusamente, perchè la felicità non richiede intelligenza, solo la capacità di lasciarsi andare per afferrarla con tutti i sensi e in tutta la sua assenza di senso.
Dalla finestra entravano il luccicchio bianco della neve e il sole di sghembo. Prepotente.
(continua... )

sabato 30 ottobre 2010

Doppio binario (Racconto a puntate: puntata n°1)

             La notte era buia, senza stelle, cupa. Lei avanzava lungo il sentiero quasi a tentoni, inciampando a tratti sulle radici d'albero affioranti dal terreno, la mantella che le svolazzava intorno, gonfionadosi di vento e impigliandosi sui rami degli alberi che intravedeva quando emegevano spettrali dall'oscurità.
Andava, senza fermarsi, passo dopo passo, quasi un istinto la guidasse. Ma dove? Sapeva di dover andare, sperava che il suo istinto la guidasse. Ogni tanto alzava gli occhi a fissare il cielo che, senza soluzione di continuità, si fondeva con l'oscurità della terra, avvolgendola in uno scrigno di velluto.
"Ci sarà un lampione a un incrocio, una finestra orlata di luce, una stella sfuggita alla gabbia delle nuvole... " pensava mentre i suoi piedi calpestavano la terra spaccata dal gelo e lei andava, andava. "Da quanto tempo? Che ora poteva essere? Non portava orologi, non li aveva mai sopportati. Il tempo lo teneva a distanza, come un amante sgradito non lo degnava di un'occhiata: aveva già invaso la sua vita portandogliela via a pezzi, a morsi, a bocconi sempre più grossi... "
Un lampo azzurro infranse l'oscurità. Una voce, sgradevole, lo accompagnava. Qualcuno la chiamava. "Angela, Angela... buongiorno!" E questa chi è? Affondò in due tette mastodontiche, profumate di "Stira e ammira", boccheggiando; sentì un dolore acuto al braccio e, mentre rispondeva educatamenteva "Sì?", la voce di poco fa chiese "Come andiamo?". "Cosa te ne frega?" lei non riuscì a fare a meno di pensare ma rispose, sapendo di dover rispondere qualcosa, mugugnando quelle due parole "Non male... " e tenendo gli occhi chiusi, ostinatamente chiusi, perché non era questa la luce che cercava.
Qualcosa le scivolò in gola... Poi di nuovo buio e tra le labbra si ritrovò un fiocco di neve che, ghiacciata, si scioglieva al contatto della sua bocca. La dissetò, ma ci mancava solo la neve a rendere il suo cammino ancora più stentato e difficile.
Nell'aria un baluginio chiaro fece impallidire la notte.
Stava sorgendo l'alba.
Il mondo riacquistava contorni definiti: la sua risatina di sollievo cantò, come un ruscello al disgelo, la sua eco che si amplificava cozzando, rimbalzando di roccia in roccia, mentre il sole illuminava la valle che si spalancava davanti a lei, i casolari gettati a caso, come dadi su un tavolo da gioco. Un gallo cantò e qualcuno che camminava alle sue spalle, affrettò il passo.
(continua... )

Il ritorno di Casanova

Amo Schnitzler, Arthur Schnitzler, di cui ho appena letto  Il ritorno di Casanova, piccolo gioiello scritto a inizio Novecento dall'autore austriaco. Calandosi nei panni di un Casanova sessantenne, lo scrittore ne ipotizza il declino, proponendolo sul filo serrato di un monologo interiore che, come una colonna sonora in sottofondo, ne ritma la cadenza. E la storia ci presenta un Casanova costretto a prendere atto dell'insulto del tempo, che sfida cercando il confronto con la giovinezza integra - e la bellezza che ne consegue - dell'amante di Marcolina, un giovane e aitante ufficiale innamorato della ragazza, al quale Casanova, a seguito di una perdita al gioco che glielo consegna calzato e vestito in tutta la sua debolezza, farà una proposta indecente: una notte con Marcolina in cambio dell'azzeramento del debito. Casanova, fingendosi il giovane ufficiale con il  favore delle tenebre, penetrerà nella camera della donna e... , a questo punto, la posta in gioco non sarà solo un'avventura amorosa, una in più da aggiungere alla lunga lista delle conquiste di Casanova, ma il  diritto, la possibilità, la familiare consueta capacità di seduzione che dovrà dimostrarsi non solo intatta, ma incandescente, esplosiva come un fuoco d'artificio in una notte di festa, capace di sgominare non solo ogni altro pretendente, riconoscendo in lui, per l'ennesima volta, il seduttore che non teme rivali, l'uomo al quale ogni donna non può non sognare prima o poi di concedersi, ma anche e soprattutto il destino che alla vecchiaia ci condanna.
Non vi anticipo il finale che, in un crescendo di sfide e di sentimenti che le impongono, non potrà che essere, come è inevitabile sia,  frutto della consequenzialità logica degli eventi che ritmano la vita.
Sullo sfondo, anche se nulla lega i luoghi del romanzo all'Austria di Schnitzler, il grado di maturità cui l'autore perviene nell'approfondire l'indagine psicologica dei personaggi, in primis Casanova, mi riporta alla Vienna di Freud, alla nascita della psicanalisi che quella cultura fu in grado di produrre ...  un istante prima che la guerra travolgesse e distruggesse per sempre l'Impero degli Asburgo.

venerdì 29 ottobre 2010

Anche ora, anche adesso.


Odio del dolore
la voce
potentemente muta,
l'arroganza di sentirsi perfetto 
e, tra tutti i sentimenti, 
l'eletto.
Odio la sua resa alla vita
la sua debolezza. 
Odio il pietismo viscido 
che tradisce lo sguardo 
di chi mai è riuscito a tagliare un traguardo.
Odio che mi imprigioni, 
mi soffochi, 
mi domi.
Odio i suoi passi lenti, 
quell'andare pacato
i suoi tempi lunghi 
che la mia vita hanno divorato.
Odio il suo retrogustogusto 
amaro come il fiele
di un ultimo caffé, 
nero come i tuoi occhi
nei quali già danzava 
il suo sorriso di miele.
Odio la sua cadenza 
le sue contraddizioni
quel modo di spezzarti,
schiantarti
e devastarti
per farti poi scoprire,
quasi fosse un suo vezzo,
che la vita la ami
anche quando è ben dura,
anche in questo momento,
anche ora,
anche adesso.




lunedì 25 ottobre 2010

Puzza di padroni

E bravo il nostro Marchionne che seduto - quasi appollaiato come una statuaria civetta intagliata nel buio della notte -  davanti a Fazio, ieri sera a Che tempo che fa, discetta, con l'evidente ma tollerante fastidio che si prova davanti a un interlocutore un po' ottuso, di impresa. Sì perché il nostro, pur laureato in filisofia a riprova del valore, da lui ribadito, del pensiero che sviscera le idee traendone ideali, emozioni e sensazioni, è un metalmeccanico, uno che fa automobili... E' uomo del fare, lavora diciotto ore al giorno, somma e sottrae numeri per produrre utili, utili non balle. Snocciola posizioni in graduatoria, percentuali e poi butta là, con la nonchalance che si addice a un uomo del suo prestigio, quell'utile operativo trimestrale non solo elevato, ma soprattutto prodotto totalmente fuori dal patrio suolo. Sì, perché il costo del lavoro, che tanto incide sull'utile operativo, è alto, troppo alto in Italia rispetto a quello della Polonia o della Serbia. E così scopriamo che sugli operai italiani grava la responsabilità primaria della crisi del settore industriale, sulla loro esosità, sullo scarso attaccamento alla fabbrica, sulle assenze ingiustificate, sulle pretese... Quegli stessi operai ai quali Marchionne ha pensato quando, opponendosi alle richieste dei suoi più fidati collaboratori, si è rifiutato di chiudere gli stabilimenti di Pomigliano, per inciso, anche per non riconsegnare quel territorio alla mafia. Fazio ascolta e oppone a Marchionne i miserandi stipendi percepiti dagli operai, l'insicurezza del posto di lavoro, gli incentivi corrisposti dal governo alla Fiat, ma le sue parole sono spazzate via da un Marchionne seccato che sottolinea come gli incentivi abbiano favorito gli acquirenti - tra l'altro pochi - di macchine italiane e solo indirettamente la Fiat, la quale nulla deve al governo con cui ha chiuso ogni posizione debitoria.
Fazio deglutisce imbarazzo e sbandiera ignoranza economico/imprenditoriale nonché sociale consentendo a un Marchionne ormai lanciato di esporsi fino a garantire un adeguamento dei salari nostrani al livello di quelli comunitari in cambio di una collaborazione - proficua per tutti - con i sindacati. Per inciso con la controparte sindacale più riottosa - quella Cgil che ancora punta i piedi e rappresenta una parte irrilevante dei dipendenti Fiat. 
Poi si alza e se ne va, lasciando dietro a sé un odore fastidioso ma conosciuto: puzza di padroni. 

domenica 24 ottobre 2010

Giovani e disoccupazione

Mentre me ne sto qui, in queste giornate ancora piene di luce, a pensare - che molto d'altro ormai non riesco a fare - mi vengono in mente i disoccupati, sì proprio loro. Li immagino come una lunga fila di persone, a testa china, incollati l'uno all'altro: in attesa. Cosa aspettano e cosa pensano? Come vivono, o meglio, come non vivono i disoccupati? Si alzano tardi perché si addormentano tardi, tardissimo... guardano film che la TV trasmette a ore impossibili, tanto loro non sono stanchi: sono soltanto angosciati e quindi cercano di distrarsi, ma invece di addormentarsi, sfiniti dal lavoro quotidiano, davanti alla solita pappa americana tutta eroi ed effetti speciali, incominciano a vedere film di pregio. E' una televisione che era loro sconosciuta, che all'inizio li fa un po' sbadigliare, ma poi... Poi iniziano a pensare, con fatica si staccano dal pensiero ricorrente e angosciante che domina il loro cervello, quel posto di lavoro perduto diventato nel ricordo simbolo di un Eldorado da sogno. Guardano film intelligenti e scoprono di avere un cervello anche se per molto, forse troppo tempo, lo hanno ignorato: al punto di credere a un ometto che snocciolava bugie come una mitragliatrice proiettili, al punto di credere che la crescita economica sarebbe stata inarrestabile, il posto di lavoro sicuro, ricchezza e benessere a portata di mano. Capiscono di essere stati ingannati, sfruttati e poi "gettati a mare" come la zavorra di una nave in un mare in tempesta. Lo sconforto diventa rabbia, si colora di umiliazione mentre scatta l'invidia, esplode la collera. A volte a farne le spese sono figli e mogli, oppure i genitori, dai quali si è ritornati per avere un tetto sulla testa, instaurando convivenze impossibili. Si oscilla tra la depressione che uccide e la rabbia che fa uccidere. Serpeggia la ribellione, lievita come un dolce appena infornato. Una generazione fatta a pezzi apre gli occhi sul deserto che l'avidità dei padri ha lasciato in eredità ai figli. I progetti, i sogni si rivelano illusioni, pure illusioni, si vive all'insegna della provvisorietà, si naviga a vista, come navi nella nebbia. Nemmeno i più ottusi potrebbero pensare a una crisi congiunturale: è in atto un cambiamento epocale la cui portata è imprevedibile, anche se qualcosa sembra emergere dalla nebbia.
Sarà un mondo più povero, molto più concorrenziale: un mondo nel quale l'America e l'Europa faranno i conti con la Cina, l'India e altri paesi emergenti, altre culture... Sarà un passaggio di consegne morbido o strideranno cupe le armi? Il  potere non si concede, né si cede. Si conquista, si strappa a chi lo detiene.
Speriamo che i nostri giovani, obbligati a smettere la tuta, non indossino la divisa... Sarebbe l'ultimo schiaffo del Potere a una generazione che ha già pagato un prezzo altissimo.
Speriamo che Leone, Coppola, Monicelli, Rosi, Scorsese e Cimino, in quelle lunghe notti davanti alla TV, abbiano insegnato loro qualcosa.

lunedì 18 ottobre 2010

Velo d'organza


Velo d'organza


Nell'aria tiepida della sera
quella tua grazia,
appena scoperta
velo d'organza
la racchiudeva.

Velo da sposa
inghiottiva il pallore
ardevano i ceri 
sull'altare maggiore

Rossovestita,
molto scollata,
con la sapienza
che richiedeva
ballare il tango,
assecondavi
la sua arroganza

Di pizzo i guanti
sulle tue mani
senza domani
lo segui a stento
è un  valzer lento
sempre più lento

come la vita
che più non danza.
Porti pazienza.

domenica 17 ottobre 2010

Neuroni adieu...

Si ritrovavano ogni mattina nel bar a sinistra in Piazza Nigra; anche oggi che l'aria trasudava nebbia ad annuciare un altro inverno e le prime gocce di pioggia rimbalzavano sul selciato.
"Ciao Giovanni, come va?" Era Michele che, in piedi davanti al bancone, si accendeva una sigaretta.
"Solito... " borbottò l'altro,  facendo un cenno alla barista, la Gianna, ogni giorno un po' più inquartata a dimostrazione delle sue origini contadine, il seno ampio e generoso come quella sua risata che accendeva sempre negli occhi di Michele bagliori dimenticati.
Entrarono Mario e Lorenzo: bagnati e infreddoliti.
Si conoscevano ormai tutti e si chiamavano per nome. Quando erano in vena ricordavano i tempi eroici, quei tempi ormai lontani in cui erano stati tanti e agguerriti, decisi a lottare fino all'ultimo uomo: decisi a non arrendersi. Per una questione di dignità, di decoro...
Il nemico era stato abile: si era insinuato nella loro terra in modo subdolo, senza dare nell'occhio: una puntata qua e una là, furtarelli di poco conto che, come la zampata di un gatto, lasciavano segni sottili, quasi invisibili.
La tigre si era acquattata nell'ombra a spiarli, a studiarli... Era cominciata la guerra, ma senza una dichiarazione ufficiale, una guerra negata da tutti. E quel disagio che serpeggiava nel Paese, quell'intoppo negli spostamenti, quella mancanza di nerbo, la fragilità? E la stanchezza? E tutti o quasi a dire "La gioventù non è più quella di un tempo, non ha carattere, si spaventa di fronte si problemi, trema... ".
In effetti, nonostate il Paese sembrasse lo stesso, a un osservatore attento non sarebbero sfuggiti quel rallentamento nelle attività produttive, quella mancanza di progettualità, quell'apatia che obbligava  chi di dovere a fornire aiuti, supporti...
Il deterioraramento lento ma inarrestabile aveva richiesto approfondimenti, analisi  particolareggiate: il nemico era stato individuato, fotografato... , intuito più che visto. Finalmente aveva un nome, un volto: il nemico si era materializzato, apparendo per ciò che era: un morbo maledetto, invasivo, potente e inarrestabile. Destinato, in tempi più o meno lunghi, a vincere ogni resistenza, a fiaccare ogni anelito di libertà.
Il Paese era rimasto sbigottito, atterrito. Incredulo. Ma come: allora non era dipeso da nessuno! Beh, da qualcuno sì, ovviamente, ma risalire alle responsabilità precise sarebbe stato difficile e a questo proposito, si vagava ancora nella nebbia più fitta, nella nebbia delle ipotesi.
E così era cominciata la Resistenza.
Erano stati stanati uno a uno... e ormai erano pochi, troppo pochi per far funzionare il Paese.
Si trovavano là al bar dell'angolo, ad aspettare il loro turno.
Lei lanciò loro un'occhiata pensosa, anche un po' complice e mormorò: "Confidiamo nella ricerca ragazzi! E... resistiamo!"
I suoi neuroni, con uno sforzo quasi eroico, raddrizzarono le spalle, assumendo un'aspetto vagamente marziale. Fuori, un raggio di sole, trafitte le nuvole, accarezzò il selciato sconnesso prima di essere nuovamente imbrigliato nella prigione compatta delle nuvole. Come lei.

La libertà è...

La libertà viene data per scontata quando c'è, un po' come la salute. Poi però succede qualcosa - un simbolo leghista imposto all'interno di una scuola, tanto per dirne una - ed ecco che scatta dentro di noi una sorta di allarme, un disagio che fa accapponare la pelle. Cosa sta succedendo o - ancora più inquietante come domanda - cosa succederà?

In un film di Marco Risi, Fortapasc, una frase "Ci sono i giornalisti, giornalisti, e... gli altri" mi fa scorrere di nuovo un brivido sulla pelle, mentre mi chiedo come sia possibile vivere in un Paese dove si muore per avere scelto di fare bene il proprio lavoro. L'attacco forse più pericoloso è alla madre di tutte le libertà, quella d'informazione. E Santoro, giornalista che non s'inchina al potere, che dà voce alla rabbia, alla paura, all'umiliazione accendendo i riflettori sulla parte in ombra del nostro Paese, quella invisibile, non solo non viene premiato - come dovrebbe accadere in ogni paese civile -  ma viene punito.

 La verità, cibo per stomaci forti, sorella siamese della liberta, poiché l'una non può esistere scissa dall'altra, è ormai diluita, triturata, ridotta in poltiglia da una informazione che deve rassicurare, tenere calmi gli indigeni.

Raramente come in questo momento l'unione può e deve fare la forza. La spaccatura all'interno del sindacato, il lancio di uova contro le sedi sindacali sono l'espressione di una guerra tra poveri che sta perdendo di vista i veri responsabili della crisi. Mentre gli operai riempiono le strade di striscioni colorati e di rabbia, i banchieri in doppio petto si defilano e - lungi dal ricominciare a speculare su cambi e titoli - continuano a spostare miliardi da una piazza finanziaria all'altra per incrementare i loro profitti. Perché nessuno li ha fermati, perché
per fermarli dovrebbero essere emanate nuove leggi a tutela del risparmiatore, perché per fermarli dovrebbe essere ripristinata una normativa di controllo sull'esercizio del credito... Perché nel nostro Paese siamo fin troppo impegnati a emanare nuove leggi, finalizzate al controllo sì, ma di uno dei tre fondamentali poteri la cui indipendenza garantisce la tenuta della democrazia, il potere giudiziario.

E allora ben vengano a farci scattare n piedi, come la platea di Annozero, le parole di una delle più belle canzoni di Gaber, la libertà è... partecipazione!

mercoledì 6 ottobre 2010

Barcellona e Woody Allen

Due turiste americane, cresciute a latte e bistecche al sangue, sbarcano a Barcellona. E' estate, il sole arroventa le guglie della cattedrale voluta da Gaudì, fa brillare di colori pastosi una città calda, sensuale... Mani brune pizzicano le corde di una chitarra. La rossa camicia del pittore, cangiante, fa risaltare il suo sguardo, impudico quanto la proposta che l'uomo fa alle due ragazze... E il vecchio Woody decolla: si dice ciò che non si pensa, si fa quello che non si dice, ci si misura con la vita o ci si nasconde in questa città di cui Cristina, una delle due ragazze, quella che ha già programmato tutta la sua vita futura sulla base dei solidi rassicuranti valori borghesi che le sono stati inculcati, cerca di cogliere l'identità catalana, per farne l'oggetto della sua tesi di laurea, per contenere nella gabbia delle parole, il calore che le divampa dentro, quella passione nascenteche la indurrà a cedere alla lusinga di quello sguardo che le scivola sulla pelle come una bruciante, insostenibile carezza. In pochi minuti scoprirà la donna che potrebbe essere, ma solo per negarla, come i desideri ai quali per sempre rinuncerà, scegliendo di sposare il solido, rassicurante fidanzato americano.
L'amica che l'accompagna invece sceglie - subisce? - il fascino del pittore, la disordinata anarchia della sua vita, lo scontro/incontro con la donna che è stata sua moglie e che riappare nella sua vita, sconvolgendola con la violenza di un tornado. Penelope Cruz è nera di occhi e capelli quanto l'amante americana dell'ex marito è bionda e pallida, quasi a sottolinearne la diversità  e il potere dell' attrazione/repulsione. Concentrato di genialità alla quale tutti s'inchinano ammirati ne incarna tutta la prepotenza, la bellezza e la mancanza di limiti. E' troppo per l'americana che forse nella dipendenza dell'amante dalla ex moglie, scoprirà una debolezza in cui  riconoscersi e ricacciarsi, insoddisfatta, alla ricerca di una completezza che si capisce o intuisce essere solo una chimera, un'ipotesi, una promessa non mantenuta.
Un attimo e... via, come la vita. 

Ancora su donne e autonomia

Nell'immaginario collettivo, la madre è vissuta come la personificazione dell'altruismo e della bontà. A differenza del padre, che  finisce sui giornali immortalato in versione mammo con il pupo tra le braccia nel caso - raro - in cui si faccia carico di allevare un figlio, la madre se cresce da sola due o tre pargoli lavorando non fa assolutamente notizia. E' normale, come naturale è rinunciare al lavoro per i figli, sacrificare i propri talenti per occuparsi della famiglia, sì della famiglia, l'intera famiglia: quella che comprende i nonni e include il cane, il gatto e anche gli eventuali canarini e i pesci rossi... E' tutta manodopera gratuita alla quale spesso è sufficiente assicurare solo ciò che serve alla sua sopravvivenza. La retta di un asilo nido, lo stipendio di una badante inciderebbero in misura tale da rendere praticamente nullo l'apporto economico di una madre lavoratrice gravata da figli piccoli e genitori non autosufficienti, senza contare che la casalinga assicura un clima più disteso alla famiglia. I dati sulla depressione  e l'alcolismo che affliggono le appartenenti alla categoria sembrerebbero indicare, però,  una realtà ben diversa da quella ipotizzata negli spot televisivi.
Questo serbatoio di potenzialità, talenti e opportunità è quindi un magma indistinto che funge da salvagente e protezione all'interno della nostra società? Se sul piano giuridico le donne non possono essere considerate cittadine di serie B, e se si laureano e si specializzano come ( e più) dei maschi, quando si delinea il divario con l'altro sesso e perché si allarga? Le contraddizioni esplodono nel mondo del lavoro, ma un lavorio sotterraneo, quasi un brusio indistinto negli anni formativi dell'adolescenza e del'infanzia, ha già conferito alla donne un marchio di diversità, preparandole non a lottare per fare valere i propri diritti, ma a  rinunciare.
Così si rimanda la maternità per tenersi il posto, per competere con i colleghi, per non essere angosciate dal senso di colpa, per evitare le critiche delle donne più anziane che hanno fatto scelte differenti.
La donna, a parità di preparazione con un maschio, non viene scelta dal datore di lavoro, è la prima a essere licenziata nei momenti di crisi, ed è colei che si sobbarca il peso di un doppio o triplo ruolo, occupandosi della casa e della famiglia.
Spesso è costretta a difendersi anche dalle avance del capo o capetto di turno.
L'ambizione e la voglia di misurarsi nel lavoro, doti nei maschi, nelle donne sono osservati con inquietudine e sospetto e se, all'interno della famiglia, è la donna a fare carriera il rapporto con il marito probabilmente entrerà in crisi. Non dobbiamo dimenticare che nel nostro Paese le donne devono fare i conti anche con la Chiesa che ancora non accetta conquiste civili come l'aborto o il divorzio allungando sul mondo femminile la sua lunga e inquietante ombra per continuare ad ancorare  le donne al concetto di peccato e non di responsabilità. La bellezza femminile che ingabbia la donna nello stereotipo della tentatrice,  vera e propria emanazione del Diavolo, bandita dai palazzi del Vaticano e umiliata nel grigiore degli abiti che le monache indossano, la dice lunga sulla concezione cattolica in merito alla questione femminile... Chi ironizza o grida allo scandalo sul burka dovrebbe riflettere chiedendosi se seppellire le donne nei conventi o incartarle nelle cupe vesti che contraddistinguono i vari ordini religiosi sia poi così diverso?
Perché la società non considera la diversità femminile una ricchezza? Perché la donna si vive in termini di alternatività riduttiva e non di complementarietà fonte di arricchimento? O madre o professionista, o femmina intrigante o moglie/madre casta? Quale ruolo gioca e ha giocato la cultura sull'evoluzione femminile? Quanto il lavoro di cura all'interno della famiglia, non remunerato e nemmeno considerato, permette allo Stato di risparmiare sul Bilancio pubblico? Quanto ottuso è quello Stato che rinuncia a ciò che la metà dei suoi cittadini potrebbe dare in progettualità, in fantasia, in talento organizzativo e innovativo e - considerazione finale, ma non ultima - quanto ristretta è l'ottica di quel mondo maschile che detenendo il potere avrebbe la possibilità di cambiare le cose ma si guarda bene dal farlo per conservare un'illusoria  e - come dimostrano i Paesi del Nord Europa - obsoleta concezione di superiorità?

sabato 2 ottobre 2010

Tolstoj in fuga da... ?

Com'é la vita con un genio? La vita minuta, quotidiana, quella che non conosce l'intrusione dei fotografi, la curiosità invadente del pubblico che ti osanna ma s'intrufola nel tuo privato.
In The Last Station di Michael Hoffman  il  regista prova a infrangere la barriera di cristallo che separa il privato di un grande artista come Tolstoj dallo sguardo del suo pubblico.
La moglie e i figli, tredici figli...  Di lei, Sofia, avevo saputo qualcosa leggendo qua e là, intuendone la caratterialità anche attraverso lo sguardo di una scrittrice femminista - tante, troppe, maternità, un marito vecchio e dispotico, quelle riscritture dei romanzi, fatte a a mano, a penna, tra biberon e culle... - che non mi aveva convinto. La finezza psicologica che caratterizza i personaggi femminili del grande scrittore nasceva solo dal suo genio? Oppure, mentre scriveva, la moglie commentava, chiedeva, approvava? Stregata da tanta genialità ma osando anche - magari mordicchiandosi il labbro pensosa  - esprimere i suoi dubbi su alcuni personaggi, soprattutto quelli femminili? E con quanta attenzione  Tolstoj l'avrà osservata, quali dialoghi gli avranno permesso di avere accesso all'intimità più profonda di una donna, esplorando l'anima della moglie?
Sofia e il marito sono colti e osservati dal regista nell'ultimo tratto del loro percorso di vita insieme: quella stazione finale, alla quale il titolo allude, è ormai a pochi passi ma l'intensità profonda che la comunicazione tra loro ha ormai acquisito, come quel tratto rosso che sottolinea la femminilità delle donne di di Shiele, fiammeggia, prorompe, tracima lasciando intuire la complessità di un amore /passione che può travolgere fino a diventare dipendenza relazionale, temuta  ma cercato, vissuta ma negata.
Il Grande Vecchio fuggirà nella notte, come un ladro, per affrontare la morte che sente alitargli sul collo ma alla quale non può abbandonarsi senza prima essersi staccato dal mondo, strappandosi di dosso Sofia che tra le sue braccia lo ingabbia,  incatenandolo alla vita, alla sua vita, quella che lei vuole per lui  o per lei e con lei...
Riporterà a casa solo il corpo del marito,  strappatole prima che dalla morte, da un ultimo necessario, nella evoluzione umana e artistica dello scrittore,  bisogno, nel tempo assurto a dignità di desiderio, di... libertà da ogni laccio: anche da quello, dolcissimo, dell'amore.