lunedì 28 dicembre 2009

Racconto a puntate (La vita cambia)

“Cristo, non ce la faccio più!”
Il dolore arrivava a ondate sempre più ravvicinate: partiva dalla schiena per attanagliarle i fianchi. Poi scendeva, scivolava untuoso lungo le cosce. Nemmeno nelle più nere previsioni avrebbe ipotizzato una simile sofferenza. Efficiente, un po’ distaccata, l’ostetrica la invitava a respirare come da corso preparatorio al parto.
Andò avanti ancora così per delle ore; poi finalmente arrivò un medico. “Coraggio, adesso l’aiuteremo” le disse, facendole un’iniezione. Dopo la somministrazione dell’ossitocina, il dolore diventò insostenibile, le doglie si fecero più lunghe e frequenti. Pregò di morire, annaspando tra le lenzuola inzuppate di sudore e la convinzione che non sarebbe mai riuscita a far uscire da quella fessura minuscola che le incideva il ventre il corpo del bambino.
Intorno al suo corpo martoriato si muovevano fantasmi vestiti di verde.
Qualcuno le stava dicendo: “Forza, spingi, spingi…”.
Spinse.
“Dai che ci siamo, ancora un piccolo sforzo”.
Spinse di nuovo.
Sentì un fiotto caldo tra le gambe.
Strillò. Le fece eco un altro pianto, stizzito.
“E’ un bellissimo maschietto”.
Continuò a piangere: di gioia e sfinimento.
Il ginecologo gettò il camice imbrattato di sangue e l’ostetrica le tolse la camicia madida di sudore che si era attaccata alla pelle.
Lo guardò.
Non c’eravamo ancora incontrati, ma ci conoscevamo già molto bene - gli mormorò, mentre lui, come un topino cieco, cercava il calore della sua pelle tentando di ciucciarle il braccio.
Con un sorriso, più incredulo che soddisfatto, si preparò ad affrontare i parenti.





La nascita del bambino, maschio per giunta, aveva svelenito gli animi.
Non tutti, però, e non del tutto.
Le fu imposto di dare al neonato il nome del nonno, morto durante la ritirata di Russia. Sua madre, che si era trasferita da lei nelle ultime settimane della gravidanza, dopo una breve visita all’ospedale il giorno successivo alla nascita si era dileguata. Dall’Abruzzo, circondata dalla fama di donna esperta nonché abile infermiera, giunse la suocera per occuparsi di lei e del neonato. Marias, basca per la precisione, parlava una mescolanza di spagnolo e dialetto abruzzese ma solitamente non parlava, almeno con lei.
La prima notte in cui si alzò per cambiare il pannolino a Giovanni, piombandole alle spalle come un falco, le strappò il bambino dalle braccia ingiungendole di tornarsene a letto mentre sull’onda di una nenia cantata nella sua lingua ninnava aritmicamente il nipote.
“Ma ci possiamo fidare di tua madre?” lei chiese al marito la mattina successiva.
“Stai scherzando, quello che fa mammà è ben fatto” lui le aveva risposto, seccato.
La situazione peggiorò nella settimana successiva: il bambino piangeva di giorno e di notte, quasi ininterrottamente. Lei e Marias si alzavano a turno durante la notte per tenerlo in braccio.
Il novello padre dormicchiava e imprecava.
Sulla casa sembrava essere passato un ciclone: file di ciripà sventolavano, appesi ad asciugare, e biberon di latte in polvere spuntavano come funghi da tutte le parti. Sul fuoco bollivano succhiotti e pentolini di camomilla.
Lei girava per la casa in vestaglia, ciabatte e calzettoni, rintronata dal sonno, spaventata. Aveva fantasticato un bebè da carosello e si ritrovava una creatura che non dormiva né di giorno né di notte. Angosciata chiedeva aiuto a Marias che non parlava, lanciandole oblique occhiate di disprezzo. Se apriva bocca sentenziava: “Una madre sa sempre cosa fare”.
Perentoria.
Ma lei non lo sapeva, e il suo senso d’inadeguatezza aumentava di giorno in giorno.
Dopo due settimane, stremata dall’assenza di sonno, Marias fece la valigia e se ne tornò in Abruzzo.
La casa era ormai un campo di battaglia.
Giuseppe faceva qualche sonnellino spezzettato durante il giorno e piangeva tutta la notte. Suo padre continuando a imprecare si era trasferito nella stanza degli ospiti, ma gli strilli del figlio che gli impedivano un sonno regolare lo rendevano isterico.
Lei affrontava quelle notti insonni passeggiando lungo il corridoio.
Cantava ninne nanne.
Piangeva. (continua...)