sabato 31 ottobre 2009

A Oriente il cielo schiariva annunciando il nuovo giorno, mentre stridulo si levava il canto del gallo. Dalle stalle le vacche, le mammelle gonfie di latte, richiamavano i contadini alla mungitura con il loro lamentoso muggito.
Maria si avvolse nello scialle alla ricerca di un po' di calore smuovendo con l'attizzatoio i carboni e gettando della legna nel camino. Guardò oltre i vetri avvertendo l'estraneità di quelle alture dove i boschi si rincorrevano assediando i villaggi dell'interno: casupole affacciate su piazze con l'immancabile chiesa ortodossa e l'osteria di fronte. In mezzo un invisibile confine, con le donne a pregare da una parte e gli uomini a smadonnare dall'altra davanti a un bicchiere di grappa. Sospirò prima di voltarsi e avvicinarsi, per l'ennesima volta nel corso di quella notte, al letto spiando il volto del Moro che, fino a poco prima contratto in una smorfia di dolore, appariva ora disteso e con un accenno di sorriso sulle labbra.
"Svegliatevi, è una bella giornata... Ve la sentireste di buttare giù un po' di... ?", ma non aveva finito la frase, accompagnata da una carezza, che la sensazione di freddo avvertita dalla mano le passò al cuore e al cervello, dove esplose urlandole dentro quella verità che i suoi occhi si rifiutavano di vedere.
Il suo urlo arrivò fino alla camera di Sigismondo, che svegliato da un incubo e ancora sotto l'effetto nefasto di quelle immagini notturne che gli ronzavano nella testa aveva invano tentato di riprendere sonno, gettandolo giù dal letto e facendogli afferrare la giacca mentre dalla porta entrava Maria in lacrime. Sigismondo l'abbracciò cercando di calmarla, ma la moglie si scostò bruscamente, quasi non volesse condividere il suo dolore.
A disagio Sigismondo borbottò:"Mi dispiace... erano troppo gravi le ferite; non è riuscito... " mentre lei gli piantava addosso gli occhi, dicendogli:" Vai a chiamare Jovanka; dobbiamo prepararlo" e, quasi parlasse tra sé e sé, sussurrava ancora a voce bassa "Altro non posso fare per lui, ma è ben poco rispetto a quello che ha fatto per me e mia figlia"
I suoi occhi si posarono ostili sul volto del marito che sotto quello sguardo ricordò l'incubo notturno: la moglie che si allontanava senza nemmeno voltarsi indietro, mentre lui si sgolava a chiamarla, la gola contratta e incapace di emettere parola.
In quella notte appena trascorsa, quell'incubo che l'aveva svegliato era forse un avvertimento, un segnale del quale avrebbe dovuto tenere conto? "Oh mio Dio" pensò "sto diventando superstizioso. A furia di sentire parlare di fantasmi e premonizioni finirò per vedere un asino che vola". E, scuotendo il capo, si vestì in fretta e uscì nel giorno che ormai illuminava il paese, senza riuscire però a scrollarsi di dosso quella sensazione, quasi il presentimento di un pericolo incombente.
Trovò Jovanka sveglia, sul volto le tracce evidenti di una notte insonne. Non fu necessario parlare, alla donna bastò quel gesto sconsolato delle mani per capire e dare sfogo al proprio dolore.
"Maria vi aspetta, doveste aiutarla a... " borbottò, quasi infastidito da quella ostentazione di dolore così insolita nel suo ambiente, dove l'educazione imponeva il controllo dei sentimenti, il riserbo e la compostezza.
"Devo andare. Mi aspettano" concluse e, con un breve cenno del capo, si allontanò mentre i ricordi e il rancore riaffioravano prepotenti incupendogli lo sguardo.