domenica 11 ottobre 2009

Benedetta

Se c'era una cosa che lei non riusciva a reggere era la sofferenza; non soltanto la sua, anche quella degli altri. Quella che nasceva da motivazioni reali, non da paturnie premestruali. Così quando la figlia le arrivò in cucina di primo mattino e le vomitò addosso la sua sofferenza, lei si aggrappò al tavolo come se si trattasse di un tronco trovato in mare dopo un naufragio.
"Ti faccio un caffè?"
Cercava di guardarla quanto meno fosse possibile, come succedeva ai passanti per strada che, quando lei li sorprendeva a fissarla, arrossivano come alunni sorpresi a copiare dalla maestra.
" Non ho voglia di fare colazione".
" Ti farebbe bene prendere qualcosa di caldo..."
La sua risatina la irritò, ma cercò di non darlo a vedere, mentre zuccherava il suo tè.
" Dici?"
" Dico".
" Se permetti contraddico"
" Non me ne frega un fico!"
" E io scappo a Portorico... Ma adesso, basta! Sei grande per questi stupidi giochi. Hai quasi diciotto anni Lodovica. E' arrivato il momento di crescere. Sei una donna!"
" Io non posso crescere".
" Tu non vuoi crescere!"

E crollò a sedere mentre lo sguardo le scivolava su quel naso che sarebbe stato troppo lungo persino per un Pinocchio sorpreso a mentire, sui capelli color stoppa, sugli occhiali dalle lenti spesse. Neanche la bocca era la sua o quella del padre, quel taglio senza labbra che i cromosomi avevano decretato essere la sua bocca, stampato in faccia come una sciabolata, la meravigliava, ancora la stupiva che sputasse parole e non sangue come una ferita.

Aveva scelto quel nome, Benedetta, quando il ginecologo, il camice ancora macchiato di sangue, le aveva detto che non sarebbe sopravvissuta. Ma Benedetta afferrata la vita, aveva stretto i pugni e non l'aveva più mollata. La morte, delusa, aveva alitato il suo soffio su di lei: era cresciuta poco, stentata come un geranio sul davanzale di un vicolo buio. Stortarelle le gambe, grigia la pelle. Soltanto i piedi erano grandi, assurdamente grandi per quel corpicino, come se la voglia di crescere fosse partita baldanzosa e si fosse quasi subito stancata di faticare, afflosciandosi come una vela senza vento.

Lo sguardo indecifrabile della figlia e quel gioco assurdo, con il quale obbligava l'interlocutore dopo le prime frasi a esprimersi in rima, spaventava e devastava la madre.
Ma sapeva che avrebbe potuto fare poco, nulla. Il medico l'aveva detto subito e aveva scosso la testa, imbarazzato.
"Suona, ma teniamolo lontano".
"Devi andare, lo sappiamo".
"Me la darai la mano?"
"Te la darò la mano: andiamo".

Il boato esplose con la violenza di un urlo troppo a lungo trattenuto. Pochi minuti e il silenzio attonito del quartiere veniva squarciato dall'urlo delle sirene delle ambulanze.

Romanzo a puntate I Dellapicca

Maria, gli occhi fissi sul fuoco che crepitava nel camino, taceva. Accanto a lei anche Sigismondo, le mani abbandonate in grembo non fiatava.
"Non capirò mai gli uomini... portami via una figlia pur di vendicarsi...Ah, dimenticavo, il tuo onore da salvare. Il tuo onore! Perché ti sei mai dimostrato un uomo d'onore tu?" e, mentre pronunciava queste parole, il suo sguardo si faceva tagliente, duro e le labbra le tremavano.
"Rispondi!"
"Rispondi, maledetto!"
La bambina che teneva tra le braccia socchiuse gli occhi e scoppiò in lacrime, poi, vedendo il padre, tese le braccia verso di lui. Sigismondo si alzò dalla seggiola, con delicatezza prese la figlia e, dopo averle sussurrato qualcosa vedendo che si riaddormentava, la mise nel lettino.
Maria singhiozzava, stropicciando il fazzoletto tra le mani. Nei suoi occhi la sorpresa prendeva lentamente il posto della rabbia alternandosi al dolore, mentre osservava il marito che continuava a non pronunciare parola.
"Vuoi dire qualcosa o hai intenzione di startene muto come un baccalà fino alla fine dei secoli?" ma il tono era già diverso. Era possibile che Sigismondo fosse cambiato? Lui, innamorato di quella Venezia che lei non aveva mai visto, ma di cui le aveva raccontato mirabilia, lui che non si era mai adattato a Trieste che trovava rozza, grossolana, senza quella nobiltà decadente e leziosa che aveva frequentato nella sua città d'origine, come avrebbe potuto vivere tra quelle quattro case di pescatori, in quella lingua di terra lambita dal mare dove l'arrivo di una nave era considerato quasi un avvenimento e i forestieri guardati con diffidenza?
"Questo mondo non fa per te, non ti adatteresti mai: sono superstiziosi, profondamente legati alle loro tradizioni. Cosa faresti: il pescatore? Questo anello che mi hai dato" e rigirandoselo nel dito ebbe un breve sorriso "penso sia tutto ciò che ci resta?"
Sigismondo annuì dicendo:" Ricominceremo da capo. Apriremo una locanda, tu mi aiuterai... L'anello era di mia madre. Voglio che sia tu a portarlo perché rappresenta un passato che non deve più essere per me una zavorra che mi appesantisca, un rimpianto che mi colmi di amarezza, che mi avveleni il sangue. Anche Venezia non è più la città che io conoscevo; quella città è ormai soltanto un ricordo e del cicisbeo che folleggiava nelle sue calli è rimasto ben poco. Ormai sarei uno staniero dovunque, se esserlo è avvertire questa estraneità nei confronti dei luoghi, delle persone, perfino nei confronti di se stessi... Girando nelle calli, di cui conoscevo ogni pietra, ogni portone, anche il Carnevale mi sembrava assurdo, una pagliacciata, una recita infinita per scoprire alla fine che la maschera è diventata il volto".
Il fuoco si era spento facendo piombare la stanza nell'oscurià che la candela, che si stava consumando, attenuava appena. Maria era confusa, disorientata, in preda a sentimenti contrastanti. L'uomo che le stava di fronte era diverso, perfino nell'aspetto fisico: si era appesantito e lo sguardo sotto il ciuffo dei capelli che cominciavano a ingrigire, era cambiato, come la piega delle labbra che abitualmente comunicava una sensazione di stizza, di fastidio verso il mondo, e che ora sembrava scomparsa, come la parrucca, la cipria e gli svolazzi della camicia. Era sincero? Poteve fidarsi di lui e di quelle parole che sulle sue labbra le sembravano incredibili? Il Moro, che era stato corretto con lei, aveva una tresca con una ragazza del Paese che aiutava in cucina nella locanda. Lei si era sentita molto spesso sola e isolata: forestiera e bellissima non riscuoteva certo la simpatia delle altre donne che la spiavano, pronte a coglierla in fallo. Alcuni uomini l'avevano corteggiata, ma lei li aveva respinti trovandoli noiosi e scontati e l'unico che le aveva fatto battere il cuore era stato Blanko che veniva spesso alla locanda, ma limitandosi a chiedere del Moro, che lavorava alle sua dipendenze, per bere un bicchierino di grappa con lui. La notte in quel letto freddo e scomodo si stringeva addosso la figlia per provare un po' di calore e per sentirsi meno sola. Lo sguardo le cadde sulle mani del marito: bianche e morbide le ricordava sul suo corpo. Le tornò alla mente la loro casa dietro al porto, la finestra della camera da letto sulla quale si accaniva la bora ululando rabbiosa, mentre lei si stringeva, fingendosi spaventata, al marito, le tende bianche e leggere come vele che danzavano davanti ai suoi occhi. (continua...)