domenica 27 settembre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Sigismondo era riuscito a imbarcarsi appena in tempo e e ora il veliero puntava verso il mare aperto, sfuggendo ai controlli che gli avrebbero imposto una quarantena dovuta all'epidemia che stava falcidiando il ghetto. C'erano troppi problemi da affrontare in città perché qualcuno perdesse tempo a seguire il veliero che prendeva velocità, le vele che si gonfiavano di vento e gli ordini che s'intrecciavano sul ponte mescolandosi allo stridio roco dei gabbiani. Il capitano lo aveva accolto a bordo soltanto per la cupidigia di quell'anello con lo stemma dei Dellapicca che ora ornava la sua mano. Sigismondo si voltò indietro: nuovamente fuggiva, lasciandosi alle spalle non soltanto una città, ma un modo di vivere. Trieste, nel corso degli anni, era diventata, quasi senza che se ne accorgesse, la sua seconda patria e ora lo sguardo gli scivolava sulle rocce bianche che il mare aggrediva, sulle case che punteggiavano le prime balze confondendosi con il verde dei boschi che, infittendosi, salivano verso il cielo ammorbidendo in linee sinuose le alture che facevano corona alla città. Conosceva tutte le strade, le piazze, le bettole dove aveva passato intere nottate al tavolo da gioco. Conosceva quel vicolo sul quale si affacciava la sua casa e quel letto che le tende di pizzo custodivano come una bomboniera preziosa.
Il desiderio della moglie, evocato dai ricordi, gli percorse il corpo accelerandogli il battito del cuore. E quel maledetto Moro! Aveva fatto i conti senza l'oste... Però Maria e Benedetta era a lui che dovevano... Be', se non ci fosse stato il Moro che fine avrebbero fatto! E ora dov'erano? Come avrebbe fatto a rintracciarle e a sopravvivere senza possedere più nulla? Un senso di oppressione gli gravò sul petto, mentre si osservava la mani nude e ancora bianche e morbide: mani che non avevano mai lavorato, mani avide che sapevano soltanto prendere. Alzò nuovamente gli occhi: davanti a lui la città si allontanava appiattendosi in una linea ondulata che si distingueva sempre meno dall'azzurro cupo del mare che stava per fagocitarla. Sigismondo socchiuse gli occhi e crollò a sedere sulla panca, indifferente all'animazione operosa che lo circondava. Accanto a lui un uomo lo apostrofò, ma le sue parole
gli arrivarono all'orecchio confuse, indistinte. Non aveva la minima voglia di parlare. Per dire che cosa? Raccontare le sue disgrazie? Farsi compatire? Finse di non aver sentito e si avvolse nel mantello mentre il veliero baldanzosamente affrontava il mare aperto e Sigismondo affondava, cupo e spaventato, in un sonno agitato che incubi e fantasmi avrebbero rpetutamente interrotto.