lunedì 7 settembre 2009

Gregor Samsa poteva prendere il cappello e uscire a camminare nel vento.

Cos'era quel trillo deciso che non le dava tregua? Che idiota: la sveglia. No, la sveglia non modula i suoni, non cessa di urlare per riprendere fiato. Non cessa di urlare per riprendere fiato? Respira! La sveglia? Aprì un occhio. Diffidente e con visuale limitata, ma sufficiente a inquadrare quell'angolo di culla. Si decise a guardare. Eccolo l'alieno: aveva smesso di urlare e la guardava. Tentava di sorriderle ma aveva troppa fame, il culo a mollo nel piscio e la copertina arrotolata in fondo. Era tutto estremamente sgradevole: conforto immediato urlava il suo pianto che riprendeva deciso. Anche lei avrebbe avuto bisogno di conforto - pensò. Chissà se lui aveva paura? Tanta quanta ne aveva lei?
Si alzò, guardandosi attorno nella casa in disordine. La giornata che occhieggiava da dietro le finestre le sbatteva in faccia una primavera avanzata, aggressiva come un'estate precoce. Aprì la finestra della cucina e quell'aria, che aveva rubato all'erba e alle prime viole il profumo, l'investì. L'invitava, la bastarda l'invitava a vestirsi di vento e a uscire: la pelle al sole e la libertà tra le mani. Lo cambiò e lo lavò. Era già più tranquillo, anche se si mordicchiava le dita, succhiandosele. Gli infilò in bocca il capezzolo, sentendo il tepore di quel corpicino caldo e leggero. Lo annusò, socchiudendo gli occhi: sapeva di gatto appena nato. Nel vetro della finestra si vide riflessa e, atterrita, chiuse gli occhi. Era stato un parto della sua fantasia?
L'aveva sognata o vista quell'immagine.
Tentò di staccarselo di dosso... un bambino non si attacca. Non è un bubbone, ma lui lo era.
La testa stava scomparendo, sfumavano gli occhi, le mani rientravano nelle bracciotte corte, sempre più corte. Lei lo stava fagocitando. Lei l'aveva fatto e lei lo distruggeva.
Qualcosa si era inceppato nel meccanismo riproduttivo che andava srotolandosi all'indietro.
Corse davanti allo specchio: appena in tempo per vederlo sparire del tutto mentre il suo ventre si caricava di lui, scalciante com'era stato negli ultimi giorni prima della nascita.
Tentò di urlare, ma dalla gola le uscì solo un gorgoglio indistinto.
Era diventata pazza? Come avrebbe potuto giustificare la scomparsa del bambino? Non era scomparso, era tornato nella sua pancia. Era lì. Era! Sì, perchè la pancia si riduceva, sempre di più. Si passò una mano sul ventre: piatto.
Non poteva essere vero. Cominciò a cercarlo, a chiamarlo: "Giovanni, Giovannino... "
Di nuovo la sveglia? No, era prolungato quel suono, lacerante e avrebbe impedito a Giovanni di sentirla.
" Giovanni, Giovannino... "
Sotto le sue finestre il medico auscultava il battito inesistente sul corpicino del neonato.
Scuoteva il capo.
La volante della polizia spegneva la sirena, poi, frenava a due passi dall'autoambulanza.
Lei sorrideva alla sua immagine riflessa nello specchio.
La mamma era scomparsa, come un incubo al risveglio dal sonno.
Gregor Samsa poteva prendere il cappello e uscire a camminare nel vento.