sabato 5 settembre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Il Moro si deterse il sudore che gli inzuppava la fronte: il lavoro procedeva e la catasta di legname sulla banchina diminuiva mentre il sole percorreva il cielo chiaro della penisola istriana scendendo verso il mare e illuminando le barche dei pescatori che attendevano il calare delle tenebre per gettare le reti al largo. Blanko era rimasto a osservarlo per tutto il giorno,senza perderlo di vista, in silenzio, lo sguardo che balenava febbricitante sotto le sopracciglia chiare quando socchiudeva le palpebre, come se la vista del mondo gli riuscisse intollerabile. Il Moro riconosceva quella mescolanza di rabbia, dolore e impotenza che lo sguardo di quel gigante tradiva. Erano sentimenti che si portava dentro da tempo: anche lui conosceva quel grumo di dolore che ogni anno indurisce, quell'inverno che circonda di ghiaccio l'anima e non conosce disgelo. Soltanto quella donna, che lo aspettava nella locanda con la bambina, lo agganciava ancora alla vita. Lui, così astuto, così pronto a cogliere qualsiasi segnale di pericolo, era caduto nella trappola e, a causa sua, il Veneziano era finito nelle mani dei suoi creditori. Cosa sarebbe successo se la servetta non fosse riuscita a scappare dalla porta sul retro della cucina e a raggiungerlo sulla Capinera ancorata alla banchina,  per raccontargli terrorizzata e piangente di quell'intrusione di uomini armati, del padrone in loro balia e della padrona barricata in camera da letto con la bambina, con i colpi delle spallate degli uomini che rimbombavano lungo il corridoio alternandosi alle risate e alle battuta scurrili?
Ricordava la corsa fino alla casa di Maria nella notte che incupiva, la scimitarra che gli sbatteva sul fianco e il pugnale che scintillava alla luce della luna. Aveva trovato la porta d'ingresso spalancata, il lume che lasciava intravedere seggiole rovesciate e oggetti per terra, mentre uno scalpiccio di passi pesanti proveniva dal piano superiore. Gettato di traverso su un divano, Sigismondo tentava invano di liberarsi. Piombato su di lui, gli aveva già reciso le corde, quando un grido di donna infranse il silenzio facendolo volare lungo le scale verso quella porta socchiusa dalla quale filtrava un filo di luce: uno dei battenti, scardinato, aveva ceduto sotto la spinta della sua spalla. Maria, il corsetto slacciato e strappato, giaceva sul letto, la bambina, terrorizzata in un angolo, che si lamentava istupidita dalla paura.
"Sei peggio di una cagna rabbiosa... vieni" mormorava tra i denti, cercando di afferrarla, l'uomo che le stava addosso, ma la sua irruzione nella stanza, lo fece rialzare, il braccio teso verso la spada gettata sul pavimento, mentre gli altri due, le armi sguainate, lo avevano affrontato. Il pugnale che aveva lanciato si era conficcato nel petto dell'uomo più giovane disegnandogli sulla camicia un fiore di sangue.
" Fatti sotto che il diavolo ti si porti!" Erano state le ultime parole del conte Giovanni, interrotte dal fiotto di sangue che andava colmando la sua mano e ipnotizzando il suo sguardo che acquistava una fissità incredula, mentre le ginocchia gli cedevano facendolo crollare sul pavimento, accartocciato negli spasmi dell'agonia.
Il terzo uomo, vista la sorte toccata agli altri due e la stazza dell'avversario, ma sopratttutto la furia che rendeva il Moro un'animale assetato di sangue, aveva deciso di squagliarsela, abbandonando abiti e spada.
Maria, che si era gettata sulla bambina tentando di calmarla, si voltò verso di lui mormorando: "Mio Dio, se non foste arrivato in tempo... " e singhiozzando chiese " Ma perché, chi erano quegli uomini... " senza avere nemmeno la forza di continuare
" Erano i creditori di vostro marito, ma... " e tacque, impacciato, mentre Maria, tentando di chiudersi il corsetto, lo seguiva.
"Dobbiamo scappare, torneranno in forze..."
Erano scesi. Sigismondo non c'era più e Maria, mentre lo sguardo le si incupiva, aveva sussurrato "E' fuggito! E ora che cosa facciamo?" mentre la bambina continuava a piangere aggrappandosi alla madre.
Nella concitazione del momento, complice anche l'oscurità della notte, non avevano notato il fumo che proveniva dal corridoio.
"Ci mancava soltanto questa: il magazzino sta bruciando!?"
Il crepitio delle fiamme che avanzavano lungo il corridoio li aveva spinti fuori dalla casa nella notte che i bagliori dell'incendio, favoriti dal vento che aveva cominciato a soffiare, animavano di lingue di fuoco. (continua...)

Chi ha paura del lupo (pardon) banchiere cattivo?

Il nostro ministro dell'Economia, Giulio Tremonti bacchetta le banche sulle dita impensierito -a mio avviso, correttamente - dallo strapotere che le istituzioni finanziarie, banche in testa, hanno dimostrato e dimostrano di potere esercitare.
Mi risulta che le banche fossero soggette fino a pochi anni fa alla cosiddetta Legge Bancaria, un articolato complesso di norme introdotto nel 1936 dopo il crollo di Wall Street, orientato al controllo, a tutela del risparmiatore, dell'attività bancaria a scapito, però, dei profitti del settore. Forse il ministro Tremonti, quando ha contribuito a smantellare tutto il sistema dei controlli sull'operatività bancaria - perché la funzione legislative è normalmente onore e onere del Parlamento e quindi dei ministri che lo compongono - non si è reso conto che si affidava non più a un controllo normativo, ma a quella che è stata definita la "moral suasion"? Il Parlamento invitava i banchieri a "fare i bravi", per intenderci.
L'America, intanto, lanciava i manager rampanti che trasformavano in oro la carta straccia (Lacan nella vecchia Europa avrebbe storto il naso di fronte a un'economia definita di carta) mentre i nuovi dei del mercato la moltiplicavano inondandone il mondo con l'ultimo gioco di prestigio prima del crac: la dematerializzione e, opslà, il denaro era solo un numero su un monitor,si speculava su titoli che derivavano il loro valore da attività sottostanti, non solo merci ma anche indici di borsa, prevedendone rialzi o ribassi. Il MIBtel (Milano indice borsa telematico) è un'attività sottostante? Cristo! dov'era l'economista Tremonti mentre le banche, senza più limiti, spacciavano il MIBtel per un bene, un'attività, una ricchezza che venduta e comprata, avrebbe consentito all'Occidente di trasformarsi nel Paese di Bengod? Ministro Tremonti in quella sede - il Parlamento - avrebbe dovuto parlare, intervenire, controllare spiegare.
Non l'ha fatto! Perché?
Pensava che i banchieri fossero filantropi? Ora che, come sempre, si preoccupano soprattutto di far quadrare i loro bilanci, lei grida allo scandalo? Di cosa si dovrebbero preoccupare nonché occupare? Era il Parlamento che avrebbe dovuto non slegare loro le mani. Mi sembra logico che il minimo che possano fare - i banchieri intendo - è infilare quelle stesse mani nelle tasche dei cittadini, degli enti pubblici territoriali e delle imprese facendo quello che, voi ministri, li avete - con legge dello Stato - autorizzati a fare: rubare.
Lei, Ministro, che ha legalizzato il furto dandogli valenza normativa, abbia almeno il pudore di fare ciò che così caldamente ha raccomandato ai suoi colleghi: taccia!