giovedì 27 agosto 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Daviça sentì il rumore dei passi, pesanti, e le voci, alterate, mentre, balzata dalla sedia e in preda al terrore, cercava di riconoscere quelle voci. Chi aveva perduto per sempre: il marito, il padre, il cognato? O, forse, erano salvi e sarebbero state altre donne a piangere in quella primavera che nell'aria fredda del primo mattino sapeva ancora d'inverno? Ma la porta che si spalancava lasciando entrare Blanko, con il fratello più giovane gettato sulla spalla come un sacco di patate, la fece respirare di sollievo, subito venato di vergogna per quella felicità di vedere vivo il marito che i suoi occhi non erano riusciti a nascondere
Dietro gli altri due uomini. Con una manata il marito liberò la tavola, stendendovi il fratello mentre urlava alla moglie: "Prendi dell'acqua, andate a chiamare il barbiere... " tagliando con il coltello la camicia e mettendo a nudo la ferita. La madre di Daviça, scuotendo la testa, mormorò: " Povero Bosak, povero ragazzo... non c'è più niente da fare" mentre Blanko cercava di tamponare il sangue, chiamando il fratello e mescolando bestemmie a invocazioni ai santi, nella cucina dove la luce del sole illuminava il volto del ragazzo, disteso sul tavolo, il capo ripiegato sulla spalla, il viso che sbiancava mentre il sangue scivolando dal tavolo arrossava il pavimento. Entrò il barbiere che, dopo essersi chinato sul ferito, alzò gli occhi sconsolato sui presenti, rendendo con quello sguardo superflua ogni parola, poi, con rispetto e leggerezza chiuse gli occhi al ragazzo borbottando "Occupiamoci dei vivi!"
Blanko aveva una ferita da coltello per un colpo di striscio al braccio e il barbiere, dopo essersi seduto e aver pulito la ferita, cominciò a ricucirla.
"Fate in fretta " borbottò Blanko e rivolgendosi al padre ordinò: "Caricate il fucile che quei due rinnegati li ammazzo!"
Sulla cucina calò un silenzio che per qualche istante nessuno osò infrangere: la madre di Daviça cominciò in silenzio a pulire il pavimento, gli altri due uomini, furenti di rabbia e dolore, stavano già caricando il fucile. Daviça era lucida, quasi fredda mentre pensava che doveva trovare un modo per porre fine al massacro. Nessuno avrebbe osato in quel momento contraddire Blanko e lei sapeva che nemmeno le sue lacrime l'avrebbero fermato, nemmeno ricordargli che aveva un figlio... "La gente della nostra razza lava le offese con il sangue" pensò provando una cupa disperazione, ma non rassegnazione.
"Beviamo qualcosa di caldo: siamo tutti sconvolti e tu, Blanko, hai perso molto sangue" disse e veloce si avvicinò al camino. Pochi minuti dopo la fiamma scaldava l'acqua nel samovar e la donna s'infilava nella tasca del grembiule un boccettino.
Blanko a bassa voce raccontava l'agguato che, ad eccezione di alcuni irrilevanti particolari, non era diverso da quelli che, in quella faida che da tre generazioni insanguinava il paese, l'avevano preceduto, opponendo i Sokol ai Dabrovich. I Sokol, una famiglia numerosa e povera di contadini e pastori, avevano lavorato spesso per i Dabrovich, da generazioni i più ricchi e arroganti del paese. C'era stato all'origine della faida un diverbio finito a coltellate, apparentemente per un furto d'agnelli, ma nel paese si mormoravano pettegolezzi che le beghine riportavano fermandosi a chiacchierare sul sagrato della chiesa, i volti, sotto i fazzoletti bassi, improntati alla disapprovazione e alla sorpresa.

Gentile Presidente...

Gentile Presidente del Consiglio,
mentre scrivevo quell’aggettivo “gentile” mi saliva alla gola una certa ridarola perché la gentilezza che è fatta di misura, attenzione all’altro da sé e una punta di ritrosia, non è tra le sue – pur numerose – doti.
Oggi mi è giunta la notizia da parte di un caro amico di un altro licenziamento. La mia reazione, sulla base dei suoi illuminati consigli, è stata subito improntata a giovialità, barzellette - tratte dal suo ricco e variegato repertorio - sui disoccupati (in questo caso non ci sarà cassa integrazione date le modeste dimensioni dell’industria fallita) e tanto sano ottimismo, improntato a una visione della giornata del disoccupato spaparanzato in mutande (non è poco in queste giornate di caldo torrido) davanti alla TV a godersi i programmi prodotti dalle sue reti. Ma quello aveva proprio il magone, e era plumbeo: come uno di sinistra, quelli che le cose se le fanno andare male proprio per potersi lamentare, per poter scendere in piazza. Ammettessero mai che è una scusa per portare il cane a passeggio, pora bestia…
E’ tutta invidia, Presidente perché Lei è ricco, bello e famoso. Be’, io sulla bellezza avrei qualche dubbio, ma le donne la trovano irresistibile, un vero e proprio trombeur de femmes, pardon tombeur, come certamente la sua fortunata consorte potrebbe, in qualunque momento, confermare se, a furia di bazzicare corsi sull’etica negli e degli affari, non avesse finito per perderci la testa e pensare (quando le donne usano la parte che va dal collo in su, mi permetto di fare mio un suo concetto, i guai sono all’ordine del giorno) che negli affari ci siano regole morali da rispettare e che preferire alla moglie cinquantenne tre sedicenni sia da malati. Idee malsane che le ha messo in testa quel filosofo da quattro soldi che si ostina a frequentare, perché fa tanto intellettuale di sinistra.
Comunque Presidente, e con questo concludo, io la stimo e la ammiro moltissimo, lei è il mio punto di riferimento, il faro che illumina la mia un po’ grigia esistenza. E’ riuscito a farsi dare dalle banche finanziamenti miliardari senza alcuna garanzia, in amicizia, facendosi presentare da politici di rilievo, diventati suoi amici. (Come se la conquista Lei la gente…) quando a me in banca, dove mi conoscono da quando il nonno, buonanima, mi metteva cinquemila lire per il compleanno sul libretto di risparmio, non concedono nemmeno mille euro di scoperto sul conto. E’ sempre circondato da donne splendide… un po’ leggerine, un po’tanto eh, eh, - altrimenti perché le chiamerebbero veline? Non pago, guadagna un treno di soldi e quando ha un problema, va in Parlamento e si commissiona una legge che, come un abito fatto da un sarto, - vuoi mettere - calzi a pennello sulla sua persona. Be’, chi può le leggi come gli abiti, se le fa “su misura” o “ad personam”.
E ora, Presidente, La saluto e le auguro di farsi una bella vacanza ma, dia retta a me, la Veronica la lasci a casa che questa volta ha proprio esagerato e, si ricordi che Noi Italiani la vogliamo in forma, sempre giovane, pimpante, mica come Prodi che sembrava suo nonno.
Buone vacanze Presidente!