lunedì 27 luglio 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Il Moro, l'andatura elastica e sicura, entrò, fece qualche passo, accennò, piegando il tronco mentre le palpebre si abbassavano a nascondere il suo sguardo, un saluto in direzione di Maria e poi, la mano appoggiata sull'impugnatura del pugnale infilato nella cintura di seta rossa, si voltò verso Sigismondo che, ostentatamente, né si alzava, né lo invitava a sedersi, lasciandolo lì, in piedi impalato, come un servo. Sulla stanza calò il silenzio che Teresina infranse borbottando:" Vado in cucina..." mentre Maria si alzava e, rivolta ai due uomini, diceva: "Vi lascio ai vostri discorsi d'affari" aggiungendo, con un accenno di sorriso, "Avrete molte cose di cui parlare". Quindi, con un breve cenno formale in direzione del Moro che, a sua volta, chinato leggermente il capo in risposta si scostava per farla uscire dalla stanza, sussurrava "Bentornato a Trieste!" prima di chiudersi la porta alle spalle.
" Ma che bel minuetto!" borbottò sarcastico Sigismondo, versandosi da bere. Il Moro, davanti a lui, non muoveva un muscolo. In attesa. Il padrone di casa si agitò sulla seggiola, a disagio.
Quel traditore del Moro, convinto che ignorasse ciò che era accaduto, era tornato, aveva osato tornare e presentarsi a casa sua - pensò mentre, scrutandone il volto, aveva la fugace impressione di scorgere una scintilla d'ironia nello sguardo dell'uomo che, apparentemente, non denotava il minimo disagio per l'insolenza di cui il Veneziano lo faceva oggetto. Sentimenti contrastanti s'incrociavano scontrandosi dentro di lui, mentre le mani gli tremavano tradendo più che l'intensità delle sue emozioni, l'incapacità di una scelta chiara e decisa alla quale ispirare il suo comportamento. Era già stato informato - le chiacchiere volavano come il vento di bocca in bocca nell'ambiente del porto - di quel carico che riempiva la stiva e che, venduto, avrebbe risolto tutti i suoi guai con i creditori, che lo tormentavano come mosche con il ronzio fastidioso e continuo delle loro richieste. Ma il desiderio di vendicare il suo onore ferito gli mordeva l'anima e ora, ora che se lo trovava finalmente di fronte, la rabbia gli saliva al cervello, offuscandoglielo. Lo sguardo gli cadde sul pugnale che il Moro teneva infilato nella fusciacca e sulla mano che si appoggiava - o stringeva? - l'impugnatura. Lui era disarmato! E se l'altro avesse voluto...?
Sentì che il sudore gli imperlava la fronte. Incrociò, cercando di leggervi dentro i pensieri e le emozioni, lo sguardo dell'altro, ma Il Moro non si muoveva, limitandosi a seguire i suoi movimenti, il volto che sembrava privo d'espressione.
Poi, Sigismondo si alzò: lentamente. Fuori il vento aveva cominciato a soffiare. Un refolo, infilatosi nella stanza da qualche fessura, spense il lume, precipitando il locale nel buio. (continua...)