sabato 18 luglio 2009

L'Italia non è un Paese normale

Era nato nel 1940, oggi avrebbe compiuto sessantanove anni il giudice Paolo Borsellino. Forse li avrebbe festeggiati in famiglia, con la moglie, con i figli, l'immancabile sigaretta accesa tra le dita. Sarebbe stato sufficiente farsi spostare in qualche ufficio tranquillo a occuparsi di immigrati e lasciar perdere la mafia e il fumo. E invece ha continuato a fumare, per tenere a bada la paura, l'angoscia per quel botto che sapeva sarebbe arrivato, per scacciare dalla mente quelle macchine accartocciate, il sangue sui corpi a brandelli...E il dolore che si tinge di rabbia.

Paura, dolore e rabbia, una mescolanza di sentimenti che quel suo sguardo esprimeva, perché il giudice Borsellino era un uomo normale che voleva soltanto alzarsi al mattino, prendere il caffè e fare due chiacchiere con il barista prima di andare in ufficio. Impegnarsi nel proprio lavoro, assaporando l'orgoglio di chi lavora bene. E, nelle sere chiare e assolate in quella sua Palermo carica di Storia e bellezza, tornarsene a casa, i ragazzini che non rispettano la stanchezza, la moglie che ride nella cucina che sa di basilico fresco. Era un uomo normale il giudice Paolo Borsellino inserito in un contesto che di normale non aveva e non ha nulla.

Come il suo amico e collega, il giudice Giovanni Falcone, voleva un Paese normale. Per questo
motivo sono stati assassinati. Mandanti sconosciuti! Come normalmente avviene nel nostro Paese.

Romanzo a puntate I Dellapicca.

La Capinera, le vele gonfie di vento, si allontanava da Salonicco. All'orizzonte, mare e cielo si fondevano senza soluzione di continuità in un azzurro acceso dando la sensazione, che mozzava il fiato, di poter essere risucchiati, in ogni momento, in un gorgo turchino.
Il Moro respirava quell'odore aspro di mare fissando le onde, i ricordi che arrivavano a folate. La stiva scoppiava di merce e l'equipaggio lo venerava. Per un istante un sorriso addolcì il suo volto massiccio, mentre ricordava come fosse riuscito, con pochi danni, a salvarsi da una tempesta che si era ingoiata velieri ben più attrezzati della Capinera. Imbrigliate le vele, si era fatto legare al timone e aveva affrontato quelle onde gigantesche senza mostrare il minimo timore. I marinai, terrorizzati, gli avevano detto di aver provato la sensazione di assistere a una battaglia all'ultimo sangue tra un dio, nero come la notte, e un mare pazzo di vento e tempesta. Da quel momento, in cui la sua prestanza fisica e la sua forza si erano fuse con il coraggio, ogni suo atto aveva acquisito un'autorevolezza che nessuno avrebbe più osato porre in discussione. Ora sapeva cosa avrebbe dovuto e potuto fare: vendere la merce e sparire in quel vasto mare che era il suo mondo, con la nave e l'equipaggio che l'avrebbero seguito ovunque. Anche all'inferno. Nei confronti di chi avrebbe dovuto avere degli scrupoli? Del Veneziano? Erano pari, non gli doveva più nulla. Ma che ne sarebbe stato di Maria? Come un cristallo di pregio, anche lui aveva un punto di rottura e era quella donna. Mettere tra loro miglia e miglia di mare non era servito a nulla. Anzi! La lontananza, concedendo alla fantasia di volare libera dal confronto con la realtà, aveva circonfuso di una luce irreale l'immagine di lei che si portava dentro. Doveva rivederla, parlarle, sapere cosa volesse e, soprattutto, cosa l'avesse spinta a tradire il marito. Forse lo amava e aveva già intuito la superficialità e l'arroganza celate sotto quella patina di eleganza e raffinatezza formale del marito?
Viaggiatore, sperso nel deserto della sua solitudine, il Moro intravide un miraggio, e su quell'immagine, nata dai suoi bisogni, diresse la sua nave. E la sua vita.
"Si torna a casa" tuonò, facendo esplodere la ciurma in un urlo di gioia che percorse la nave in lungo e in largo. Distolto dal suo lavoro, il viaggiatore conosciuto a Salonicco, che nella stiva stava inventariando la mercanzia, sollevò il capo e poi, intuendo il motivo di quel'allegria, ridacchiò, riprendendo, serio, il proprio lavoro. (continua...)