domenica 7 giugno 2009

I Dellapicca (Una bambina diventa donna)

Soffiava il borin quella sera portando in città il profumo delle prime viole. Il pesco, nell’orto della locanda, in boccio fino al giorno precedente, era fiorito e Maria davanti allo specchio sbirciava pensosa la sua immagine. Anche lei sbocciava, l’abito che si accorciava e tirava sul seno, la massa dei capelli che luccicava dorata sotto il sole. Sentiva la primavera, ne avvertiva sulla pelle il tepore. Le sembrava che il mondo, visto con occhi di donna, fosse cambiato come se le giornate, che si andavano allungando in sere tiepide e chiare, fossero giornate d’attesa, e alitassero promesse che il vento le sussurrava all’orecchio. Alla gola le prendeva una sensazione di smarrimento. Suo padre non la lasciava quasi più uscire, e, nella locanda, si affacciava frequentemente alla porta a controllare che i clienti, che affollavano la taverna, non le dessero fastidio, senza capire che i modi grossolani, le risate sguaiate e il tono di voce troppo alto di quegli uomini li appiattivano agli occhi della figlia in un grigiore uniforme, rendendoglieli distinguibili quanto un gatto nero da uno grigio in una notte senza stelle.
Per questo motivo aveva colto subito la diversità di quel veneziano che era giunto alla locanda accompagnato da quel nero gigantesco. Aveva lavato la sua biancheria in fine tela di fiandra, pulito la giacca di velluto con i bottoni dorati, ricucito la manica strappata della veste in seta e, quando, una sera, con la cesta sotto al braccio, era entrata nella sua stanza, lui si era alzato dal letto e le aveva fatto un inchino, appena accennato, ma un inchino. Le aveva chiesto il suo nome, con quella parlata morbida, che sembrava scivolasse dalle sue labbra e ondeggiasse nell’aria. Poi l'aveva guardata in modo strano e aveva allungato una mano per afferrarla, ma lei gli era sfuggita, scappando intimidita dalla stanza. Aveva visto nei suoi occhi affiorare lo stupore, come se da lei si fosse aspettato qualcosa...
Cosa ci faceva un uomo come quello nella loro locanda? Cosa voleva da lei? Nei suoi occhi, quando la guardava, affiorava un calore acceso, quasi febbrile che la inquietava dandole la stessa sensazione che le provocava la bora infilandosi sotto alla gonna e scivolandole in una lunga gelida carezza lungo la schiena.
Aveva detto a suo padre di essere veneziano e di trovarsi a Trieste per affari. Cosa gli era successo quella sera in cui era rientrato ferito, quasi sorretto dal servo? Lei gli aveva portata in camera dell’acqua e dell’aceto e il nero gli aveva ricucito la ferita alla testa dimostrandosi molto abile nel farlo. Non sembrava un servo, a volte non si capiva chi tra i due fosse il padrone…Il veneziano portava un anello al dito sul quale era inciso uno stemma gentilizio. Era un nobile, ma dai borbottii di suo padre non era ricco perché aveva versato solo un acconto e continuava a rimandare il pagamento accampando scuse su problemi che sembrava avesse con una lettera di credito che non riusciva a convertire in denaro contante.
Chi era quell’uomo misterioso che, forse, si stava nascondendo. Da chi? E perché? E per quale motivo, ogni volta che lo vedeva l’emozione le tagliava le gambe e la timidezza l’ammutoliva?
Non le era mai successo, nemmeno quando, nel collegio di monache dove era cresciuta, era venuto il vescovo a dire messa e lei, che cantava da solista, aveva ricevuto una carezza da quell’uomo bardato di bianco e oro, l’anello che riluceva nel buio della chiesa con i santi che, minacciosi, si chinavano su di lei, alla luce delle candele votive nei fumi acri dell’incenso.
Dopo essersi appuntata un rametto di pesco sulla blusa, si pizzicò le guance e si annodò la treccia con particolare cura, poi, gli occhi chiari colmi di attesa, entrò nella locanda, scivolando leggera tra gli avventori, mentre nel vano della porta s’inquadrava la figura del Moro.
Dietro a lui, pochi minuti dopo, entrava anche il veneziano.
(continua...)