lunedì 30 marzo 2009

Parole

Se dovessi dare un volto, un corpo alla Parola le darei di Monna Lisa il sorriso che, rappresentazione pittorica dell’ambiguità, in uno stiramento di labbra e un riflesso nello sguardo tutto contiene.
Agli occhi darei l’innocenza di un bambino,perché la parola è coltello e freccia ma solo in mano a chi di anime è assassino.
I capelli li vorrei ricci, scomposti, selvaggi come criniere di puledri al galoppo, perché bastano una enne e una o per scardinare un impero.
Il corpo dovrebbe essere maturo, ma testimone di un’antica grazia perché è l’età che ci induce al silenzio, al risparmio assennato delle parole di cui abbiamo abusato fin troppo ed è in poche parole che si può sintetizzare una vita e la sua bellezza.
Con:” E’ una splendida bambina” si nasce, con un laconico: “Non c’è più” si muore.
Nel mezzo il silenzioso affanno del vivere.

Kappa e Venezia

Kappa 22 era abituato a un apprendimento che si basava su un flusso d’informazioni estremamente ampio, di conseguenza la trasformazione da memoria individuale episodica in memoria semantica con una modalità pappagallesca, non gli era propria. Inoltre il suo modo di apprendere, scegliendosi le informazioni in modo personale e soggettivamente elaborandole, era poco strutturato, per cui quello strumento, lo chiamavano televisione, che ingabbiava in percorsi prestabiliti i cervelli degli ascoltatori che subivano passivi, l’aveva in un primo momento sorpreso. Strani esseri gli umani: non riusciva a inquadrarli . Non erano illogici, non del tutto e non soltanto. E allora com’erano?
Lui, tanto per unire l’utile al dilettevole, aveva scelto come luogo privilegiato di osservazione un paese dalla forma strana, un luogo favorito da un clima temperato e splendide città d’arte. Una di queste sembrava, come una ninfea, sorgere dall’acqua: in un appartamento che dava su un canale percorso da motoscafi e gondole, imbarcazioni scomode, nere come rondini contro un’acqua color verde bottiglia, aveva sistemato il suo armamentario di ricerca, classificazione e studio dei dati raccolti.
Dorina era la figlia del proprietario dell’albergo più bello del canale ed era la più bella “tosa” di Venezia.
Si affacciò alla finestra. Nella città, nera di turisti, lo scalpiccio dei passi si accompagnava al rumore dell’acqua che l'aggrediva, l'accarezzava e l'assediava implacabile, fondendosi con i suoi palazzi, le sue calli e la sua gente che di quella convivenza sembrava fare motivo d’orgoglio. Quando alla sera i tramonti traevano sprazzi di luce dai suoi ori, i suoi smalti, i suoi palazzi riflessi nell'acqua, appariva come un miraggio tremolante scaturito dalla fantasia di un viaggiatore sperso nel deserto. E Kappa, in quella città che era una contraddizione costante tra istanze di pratictà e desiderio di bellezza, così si sentiva.
C’è una correlazione tra il nostro cervello e l’ambiente in cui viviamo: tanta bellezza comunicava emozioni forti e qualcosa intaccava, disturbava la razionalità ferrea del cervello uranoide di Kappa.
Disturbava e basta? (continua)