lunedì 16 febbraio 2009

I sogni son desideri

Ci sono persone che non hanno mai preso una sbornia. Non bevono, non fumano. Non eccedono nel cibo e…nemmeno nelle parole. Temono la perdita di controllo.
Cosa succederebbe se si lasciassero andare, scivolare senza freni inibitori lungo il crinale delle passioni, delle emozioni? Chissà quali segreti hanno mandato in castigo, faccia contro il muro come bambini disobbedienti relegati in un angolo, dimenticandosi di loro? Se illuminassero gli angoli bui del loro cervello, abbattessero la porta dei ricordi, frugassero nel pattume di ciò che hanno nascosto, cosa potrebbero trovare? L’altra faccia della luna, quella in ombra…valli senza sole, in cui si rintanano i lupi per sgozzare gli agnelli. A volte è il sogno, questa terra senza tempo, questo spazio dove tutto è possibile, che manda una sciabolata di luce sui segreti, snidandoli dall’ombra e allora, eccoli riemergere, per un istante: invecchiati, bavosi, laidi, le mani adunche allungate nel tentativo di afferrarci. A chi non è capitato? Tutti sogniamo. Dietro ai segreti si spalanca un palcoscenico, suona una musica che pensavamo dimenticata, urla o sussurri, parole che non vorremmo risentire rimbombano. Il dramma esplode: torniamo bambini, o siamo i vecchi che saremo…Il sogno è diventato un incubo per concedere una possibilità di fuga ai segreti. Terrorizzati riemergiamo dal sonno.
Lo psicologo sussurra ”I sogni son desideri”.

Raccontino

Si erano appena sposati e lei non aveva ancora conosciuto i parenti del marito, suocera in testa. Erano partiti subito dopo la cerimonia diretti a quel paesino, poco più di una spruzzata di case, a qualche chilometro da Chieti, dove lui, il marito, era nato e cresciuto.
Arrivarono di sera; entrarono sospinti verso il salotto buono. Valeria, un po’ intimidita, oltre a stringere molte mani, fu quasi soffocata di baci e complimenti ai quali si sottrasse con la scusa di sistemare i bagagli.
“ Non avete fatto festa per il matrimonio, festeggeremo il carnevale; che vestito ha portato?” le chiese una signora che le volteggiava intorno curiosa, aggiungendo: “La maschera più bella sarà premiata”. Valeria sorrise, scusandosi e sottraendosi con sollievo a quell’atmosfera un po’ soffocante.
Entrò nella camera: sul letto un abito ‘Charleston,’ in velluto di seta nero, una cloche che risultò essere della sua misura e scarpine di vernice. Di lato una maschera, nera e avorio come le scarpe.
Eccitata come una bambina, indossò il vestito e si voltò verso lo specchio dell’armadio.
Guardandosi, ebbe la sensazione di vedere un’estranea. La stanza sembrò animarsi di presenze furtive, vibrarono nell’aria sospiri, mormorii di parole appena sussurrate e una risatina.
Alle sue spalle?
Che sciocca! La stanchezza e l’emozione di quella lunga giornata le stavano giocando un brutto scherzo – pensò, annodando il nastrino di velluto intorno al collo e fermandolo con un bocciolo di rosa color avorio. Troppo stretto, le dette una sensazione di soffocamento. Tentò di allentarlo, ma riuscì soltanto a stringere ulteriormente il nodo. Le sue mani afferrarono la rosa di tulle. Sentì sotto le dita inturgidirsi i petali, una spina le punse la mano. La rosa si apriva, viva. Viva? Spalancò la bocca cercando l’aria. Il nastro, quasi fosse stretto da mani invisibili la stava strangolando. Si gettò contro la finestra annaspando con le mani intorno alla gola e con le ultime forze la spalancò, sbilanciandosi nel movimento.
Il suo corpo piombò nel cortile, senza un grido, mentre il nastro di velluto si scioglieva, roteando libero nell’aria della sera in uno spampanio di petali luccicanti.
Nel salotto tutti commentavano, stupiti, la straordinaria somiglianza di Valeria con la bisnonna del marito, morta suicida precipitando dalla finestra, “oh, mio Dio!, alla vigilia di carnevale alle otto di sera del….”
L’orologio a pendolo emise il primo rintocco. Tacquero le voci, mentre altri sette colpi rimbombavano uno dopo l’altro nel silenzio attonito della casa.