martedì 27 gennaio 2009

Amour fou

E' arrivata in una giornata di pioggia, infreddolita. Solo occhi, quei suoi occhi da gazzella inseguita, che spuntavano da sotto il berretto. Le prime parole, con al fondo un tremolio di gola, tradivano il nervosismo e la tensione che le sigarette aspirate in fretta, una dopo l'altra, non sarebbero riuscite a contenere. Un'amica. Ammalata d'amore, d'amor fou. Non capirò mai l'alchimia misteriosa di questo sentimento, la sua forza e la sua contemporanea inconsistenza. Mi resterà misterioso quel suo calarsi, con l'avidità fulminea di un falco, sulla preda arpionandola e trascinarla verso il cielo, inerme e rassegnata al proprio destino. Spesso è "colpo di fulmine" , come viene chiamata questa attrazione, spesso fatale, che sembrerebbe incastrare tra loro, in un abbraccio indissolubile, più vulnerabilità freudianamente intuite che affinità elettive. Ciechi come gattini appena nati e sordi a qualunque argomentazione diversa dal canto di sirene omeriche che soltanto l'altro sa evocare, perdiamo le coordinate abituali dell'andare.
Parlare, spiegare, argomentare dall'esterno: tutto tempo perso, perchè l'unico tempo valido sarà quello che una mattina, improvvisamente, riporterà alla data segnata sul calendario, al mese riportato sull'agenda... alla vita di tutti i giorni. Alla fine dell'incantesimo che, come tutte le malie, ha in sè un fondo di dolore, di tirrania, di crudeltà che in qualche amore prende il sapravvento, trasformando il rapporto in un gioco al massacro. E l'interminabile elenco delle donne (perché sono soprattutto donne le vittime) uccise "per amore" testimonia la forza distruttiva, l'uso che di questo sentimento può essere fatto.
Ancora oggi, oggi che le donne dovrebbero essere più colte, preparate, critiche? Perché? Una domanda alla quale posso solamente tentare di dare qualche risposta, facendo delle ipotesi. Forse nell'incontro con un uomo riemergono dolori antichi, vuoti affettivi mai superati che - così ci dicono - risalirebbero all'infanzia. Ora, adulte, vorremmo saldare finalmente quei conti in sospeso, liberarci da situazioni familiari difficili che ci hanno fornito modelli di riferimento, sia maschili che femminili, distorti e problematici.
Da un punto fermo dovremmo partire: la differenza tra i bisogni e i desideri.
Il bisogno è una catena, un laccio al collo, è un uomo che non ci piace, non stimiamo, che legge solamente fumetti mentre noi siamo topi di biblioteca, affoga in mille parole di cui noi consideriamo superflua la metà, adora il calcio che noi non tolleriamo, passerebbe la vita al mare e a noi - pelle da protezione cinquanta - il mare dà l'angoscia.
Cosa ci unisce? Boh, non lo sappiamo, ma sappiamo che non "possiamo" stare senza quell'uomo. Più corretto sarebbe dire che non possiamo fare a meno del clima da guerriglia urbana in cui ci fa vivere. Non ho detto non vogliamo, ho detto non possiamo. Come alcoolisti obbligati a tragugiare anche alcool denaturato per soddisfare i loro bisogni, instauriamo una "dipendenza affettiva" all'interno della quale non saremo più un uomo e una donna, ma una vittima e un carnefice. A questo punto si arriva allo scontro frontale, senza esclusione di colpi, al "J'accuse" interminabile, condito di pianti e promesse finali di cambiamento, alle nottate di insulti e recriminazioni protratte fino alle prime luci dell'alba che si alzeranno a illminare livide lo sfacelo: questo inferno che abbiamo messo in piedi e che chiamano amore. Poi ci saranno i tentativi di lasciarsi, ripetuti, monotonamente uguali nella loro ripetitività: uno che se ne va, l'altro che lo segue. Qualche volta si resiste per una settimana o giù di lì, poi, si torna comunque a casa mentre si fa strada la sensazione di aver fatto l'ennesimo errore. La vita diventa una prigione nella quale ci si rinchiude volontariamente, attaccate alle sbarre e guardare, disperate, le vite degli altri. Vite normali che a noi sono precluse
perché noi non siamo libere. Dentro. La vera gabbia che ci racchiude è in noi, relegata in luoghi reconditi della memoria. Sono ricordi che lasciano tracce di sé nei sogni, nei lapsus, nel dolore di vite che ci obbligano a scavare, a cercare il bandolo di una matassa arruffata che prima o poi, se vogliamo "scegliere" nella vita, dovremo dipanare. Perché soltanto la libertà interiore, che l'aver guardato in faccia i propri demoni - meglio se con l'aiuto di uno psicologo - permette di conquistare, ci consentirà di scegliere un uomo sulla base, questa volta, di motivazioni valide nel determinare comportamenti e scelte, come l'affinità o il rispetto della diversità.