sabato 6 dicembre 2008

"Confesso che ho vissuto"

C'è un momento nella vita di ogni persona in cui ci si volta indietro, non una, ma due o più volte " a rimirar lo passo che..." E' in quel momento che cambia il nostro modo di considerare la vita? E' in quel momento che la percezione di avere, ormai, alle spalle la parte più importante e significativa della vita, si fa certezza, facendoci ripiegare, annoiati dai giorni a venire, su quelli appena trascorsi?
Ricchi di passato ma poveri di futuro, anche noi esclamiamo:"Confesso che ho vissuto".
L'ingranaggio della ruota immaginaria, che gira instancabile su se stessa, si è spostato di un dente appena, ma abbiamo già preso il posto che fu delle madri. La loro generazione, le donne passate attraverso la tragicommedia del fascismo e l'orrore della guerra, ha consegnato il testimone alla nostra, la generazione delle donne nate in guerra.
Una guerra della quale ho un solo, ma indimenticabile ricordo: una strada in fiamme - poi mi confermarono che fu uno dei primi, massicci bombardamenti alleati sulla stazione di Udine - urla, polvere nell'aria e fumo. Io, piccolissima, in braccio a mio padre, respiravo quell'odore aspro, indimenticabile, che mai più ho sentito: odore di morte, d'incendi e di case sbriciolate come biscotti. Nell'aria, urla: di uomini e sirene.
Mio padre, un pezzo d'uomo forte come un armadio, che tremava. Troppo presto capii l'impotenza dei genitori. Troppo in fretta crescono i figli di guerra.
Ricordo, ancora, lungo la strada che percorrevo per andare a scuola, a guerra ormai finita, le case sventrate, i pochi muri, crivellati dai fori dei proiettili, rimasti in piedi con le loro pareti dipinte di giallo e rosa e gli oggetti del vivere quotidiano fatti a pezzi, slabbrati e rotti, affioranti dalle macerie.
La violenza della guerra costrinse mia madre, che aveva un'altra figlia maggiore di un anno, a portarmi da mia nonna perchè, fuggire, a tutte le ore del giorno e dalla notte con quelle bambine piccolissime, in braccio o per mano, nei rifugi, era diventato impossibile.
Mia nonna abitava a Monfalcone. Quando i tedeschi, annettendo al Reich la Venezia Giulia, istituirono la Adriatisches Kustenland, e la guerra si fece feroce, i miei genitori non mi videro più.
Mia madre mi riabbracciò a guerra finita: seduta sulle ginocchia di un soldato americano, il suo elmetto in testa, tra due ali di folla in festa... Quando mio padre mi prese in braccio, scoppiai in lacrime, mormorando daddy al soldato americano. Fu lui a salvarmi portando scatolette di cibo e medicinali a mia nonna. I miei genitori non li ricordavo. Erano passati quasi due lunghi e terribili anni da quando mia madre mi aveva portata dalla nonna.
E' anche per questo motivo che odio la guerra, che - visceralmente - la detesto?