lunedì 7 luglio 2008

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Femmina ribelle

Era una normale giornata di febbraio: limpida e fredda.
La sveglia aveva emesso il solito trillo invadente e lei si era girata nel letto cercando di non svegliarsi. Accanto al suo, il corpo massiccio del marito non dava segno di vita.
“ Giuseppe, alzati “
Allungò una mano alla ricerca dell’interruttore.
Clic.
Disegnando un’ovale luminescente sul comodino, un fascio di luce si allargava tremulo, spezzando l’oscurità della stanza.“ Che ore sono? “
Borbottando, il marito si sollevò lasciando scivolare i piedi nudi sul pavimento alla ricerca delle ciabatte.
“ Sono le sette” gli rispose, infilandosi la vestaglia.
Poi, come sempre, aprì la finestra e spalncò le imposte.
A oriente la notte sbiadiva, svelando i contorni delle case e la sagoma della chiesa
che, imponente, sembrava ergersi a guardia della piazza.
“ Che tempo fa? “
“ Bello, ma freddo “ rispose.
Si voltò cercandolo con gli occhi. Ancora seduto sul letto, le dava le spalle.
Borbottava a bassa voce qualcosa: lamentoso.
Sul cassettone un centrino bianco, lavorato all’uncinetto, e un portagioie di velluto. Sollevò la mano e la osservò, in silenzio, notando le vene in rilievo sul dorso, la cicatrice sul pollice e l’anulare che sembrava conservare una traccia della fede che, la sera prima, aveva sfilato mettendola nel portagioie.
In cucina accese la radio, mentre il profumo del caffè si sprigionava dalla caffettiera.
Riempì la ciotola del gatto, che miagolò riconoscente.
Il marito si sedette, stropicciandosi i baffi: lo sguardo vuoto che scivolava sugli oggetti senza coglierne la consistenza.
Gli mise la tazzina sotto il naso, la mano, stretta sul manico, sotto gli occhi.
Guardò ma non vide: Giuseppe non la vedeva.
Lo sentì armeggiare nel bagno, il passo greve di sonno e noia che faceva scricchiolare il pavimento di legno.
“ Ci vediamo alla solita ora “.
Il tonfo della porta la fece trasalire.
Tornò nella camera da letto. Si vestì, tolse la lettera dalla borsetta e l’appoggiò sul comò.
Sfilò la valigia da sotto il letto.
A piccoli passi cauti, da ladra, raggiunse la porta d’ingresso.
Depose le chiavi sul mobile d’angolo e aprì.
Scivolò fuori, leggera.
Sul pianerottolo la traccia del suo profumo - femme rebelle - svanì prima che lei scomparisse, inghiottita dall'oscurità che si tingeva d'aurora, nel gelido inverno metropolitano.