martedì 30 dicembre 2008

Quest'anno non faccio bilanci

Quest'anno non faccio bilanci. Ho problemi sui criteri di valutazione. Di quanto varia la vita di una madre che ha perso un figlio? Una figlia? E' successo a un'amica, a un amico.
Quest'anno non faccio bilanci. L'anno passato non ho scritto un elenco di buoni propositi. Dopo un numero imprecisato di anni in cui l'ho fatto e i buoni propositi sono risultati essere sogni a occhi aperti - come i primi articoli della Costituzione europea - mi sono stancata di raccontare, ma soprattutto raccontarmi, frottole. So che continuerò a ingozzarmi di frutta secca e torrone nei pomeriggi bigi che gli inverni padani mi regaleranno. So che starò troppo al computer, che continuerò a farmi il fegato amaro ascoltando il telegiornale, che tremerò di paura quando la nebbia, cancellando e scolorando il paesaggio, trasformerà le strade che i miei figli percorreranno in agguati mortali.
Quest'anno non faccio bilanci: sono un po' più pesta e non saprei se mettermi tra i fondi di magazzino (valore simbolico 1 euro) oppure ai piani alti, nella scaffalatura vintage.
Quest'anno non faccio bilanci. Non quadrerebbero i conti: manca mia madre e a depennarla - per sempre - proprio non ci riesco.
Quest'anno non faccio bilanci. Avrei dovuto accendere un fondo rischi, ma ci si può cautelare contro la stupidità? Ci vorrebbe tutto l'oro del mondo e forse non basterebbe.
Quest'anno non faccio bilanci. Ho comperato troppi libri, troppe medicine, poche verdure, troppo cioccolato, pochissimo 'stira e ammira',vetri perfetti',fabuloso'e 'drago'.
Quest'anno non faccio bilanci. Ho due nuovi amici, ho scritto un altro libro. Sopravvenienze attive?
Quest'anno non faccio bilanci. Qualcuno mi diede un amore, era in lire. In euro non quadrano più i conti del cuore.
I principi contabili non funzionano per la contabilità degli affetti. Non c'è un'unità di misura dei sentimenti. Hanno tentato con il denaro. Non ha funzionato. Per questo mi accontenterò di esserci, a naso all'insù, a seguire la traiettoria dei botti, nell'ultima notte di dicembre perchè quest'anno non faccio bilanci.

sabato 27 dicembre 2008

I sommi banchieri

Quando venne introdotto l'euro e la Bce divenne la Banca dell'Unione, noi, poveri tapini,
demmo assolutamente per scontato che i sommi banchieri in questione conoscessero gli strumenti finanziari in circolazione, le loro caratteristiche, gli eventuali rischi per i risparmiatori, le banche e il sistema economico/finanziario.
E, infatti, lo sapevano perfettamente. Loro.
Noi no, ma loro si.
Perché non sono intervenuti?
Sembra non si potesse.
E noi, sempre i soliti tapini, abbiamo affidato i nostri risparmi a chi non può essere controllato e ha dimostrato di muoversi unicamente privilegiando l'obiettivo di massimizzare il profitto?
Gli stati membri hanno affidato ai banchieri della Bce il compito di guidare l'economia e i mercati creditizi, senza comunicare ai cittadini che, nel nuovo Far West, gli sceriffi avrebbero avuto le mani legate, salvo che al momento di dare l'assalto alla diligenza. Perché, in borsa basta avere qualche informazione un'ora prima dei mercati e l'assalto alla diligenza diventa un gioco da ragazzi. Si chiama 'insider trading'.
Non se n'è sentito parlare.
Con la ratifica del Trattato di Lisbona ci consegnamo nelle mani dei banchieri, sapendo però, questo è l'unico vantaggio di questa gravissima crisi finanziaria, che: o sono sceriffi che non sanno sparare, o bisogna diffidarne per non finire sotto il 'fuoco amico', o - e sarebbe l'ipotesi più inquietante - qualcuno ha cavalcato la tigre, dopo averla lasciata libera.
Ai cittadini italiani bisognosi pochi euro di carità, ma finanziamenti massicci a qualcun altro.
A chi?
Ma va? Alle banche?
Ma per metterle in condizione di non strangolare piccole imprese e privati.
Provate a chiedere a chi si rivolge alle banche per ottenere credito, che risposta ottiene?
Che uso stanno facendo le banche di questo denaro?
Chi controlla?
Nessuno.
Gli sceriffi, ormai, sono soltanto quelli che, pistola sul fianco, se ne stanno davanti alle banche, con un'aria falsamente minacciosa, non spaventando più nemmeno i rapinatori.
Gli altri, quelli preposti al controllo, a tutela dei cittadini e dei risparmiatori, se ci sono, non guardano, se guardano, non vedono.

venerdì 26 dicembre 2008

E L'Onda?

Suonava il telefono, insistente,petulante.
"Sì?"
"Ciao, sono Giorgio...Ti ricordi di me?"
Quel nome mi frullò nella memoria senza riuscire a collegarsi a un volto.
Breve impacciata pausa di silenzio che la comunicazione telefonica non consente. Poi, all'unisono, io" Non ricordo", lui "Trieste,l'università..."
"Non abito più a Trieste da trent'anni" e il rimpianto già mordeva.
"Nemmeno io, abito a Roma" .
Altra pausa di silenzio mentre dalla memoria spuntava un ragazzo magro, i capelli lunghi e ricci, l'eskimo e le clark.
"Ti ho vista su MySpace, una delle fotografie dell'album te la feci io. Ricordi?"
E ora i ricordi arrivavano come un fiume in piena. Nella testa mi esplose Trieste, azzurra di cielo e mare, malandrina di vento. Vento e giovinezza, che per me sono sinonimi, vento che mi faceva volare e ridere, quando ogni giorno era un'avventura per il solo fatto d'esistere, e la notte si aveva l'impressione che cedere al sonno significasse gettare via il tempo. E allora, nel collegio di monache dove avevo trovato alloggio con una decina di studentesse, bevendo caffè forte e nero, ce la raccontavamo fino alle prime luci dell'alba.
Eravamo tutte innamorate di qualcuno, io di Giorgio. Giorgio era uno dei capetti della contestazione che aveva contagiato anche l'università di Trieste. Io, venendo da una famiglia di sinistra, ero vaccinata contro gli slogan che mi arrivavano all'orecchio. Osservavo ciò che stava avvenendo abbastanza freddamente, seccata soprattutto di essere collocata sistematicamente in secondo piano rispetto alle contestazione e ai mille impegni che comportava. Qualche anno dopo avrei aderito con ben diversa partecipazione al femminismo dopo aver provato l'emarginazione femminile sulla mia pelle, passando anche attraverso l'esperienza insostituibile della maternità. Ma, in quegli anni universitari, la vita era solo promesse e progetti e speranze.
E, soprattutto, per me era libertà. Gli anni più belli della mia vita, in quella città dove essere donne ti dava una marcia in più.
" Giorgio?" mormorai, aggiungendo" Ora ricordo"
Lui rise. " Ne hai messo di tempo" aggiunse.
Altra lunga pausa di silenzio.
Entrambi persi dietro ai ricordi, con quel retrogusto di malinconia che i ricordi lasciano, soprattutto a Natale.
" Di te so molte cose perché leggo il tuo blog..." e poi in fretta, quasi a giustificarsi, "Sei sempre la stessa"
" Anche tu" pensai, ma senza dirlo.
" Beh, tanti auguri" lui concluse.
" Anche a te"
" Ci sentiamo?"
" Perché dovremmo?" pensai di nuovo, mentre rispondevo banalmente" E' possibile"
Poi il tu, tu della cornetta abbassata.
" Sei sempre la stessa?"
Non cambia la struttura portante della personalità ma, se trent'anni di vita se non ti hanno cambiata nemmeno un po', cosa diavolo li hai vissuti a fare? Per carità di patria non gli ho chiesto cosa facesse, cosa fosse diventato. Non me la sono sentita di fare domande per paura di doverlo annoverare tra i molti contestatori da strapazzo che vissero la contestazione come un gioco, e, poi, si accaparrarono saldamente le loro poltrone alle quali sono ancora tenacemente avvinghiati.
A volte basta una frase per capire.
Una frase soltanto.
Mi lasciò per una morettina adorante che lo seguiva come un'ombra, pendendo dalle sue labbra.
E ci feci pure una mezza malattia...
Io lo contestavo duramente, lui non ammetteva di essere contraddetto.
Diceva che le donne sono illogiche, poco razionali, possessive...
Lui: il contestatore che avrebbe dovuto cambiare il mondo!
E l'Onda? Si è già smorzata trascinando con sé soltanto una manciata di conchglie?

Il lavoro rende liberi e la carità riconoscenti.


Buon Natale a tutti e auguriamoci un anno migliore.
A Babbo Natale non chiedo nulla, tanto ho capito che lassù, nella sua casetta nel Paese di Ghiaccio, quest'anno ha avuto a che fare con problemi di concorrenza sleale. Berlusconi ha distribuito tessere di povertà e sua Eminenza Tettamanzi, il cardinale, ha donato una lauta somma, anche a titolo personale (da dove verranno tutti quei soldi?) ragione per la quale il vecchietto vestito di rosso è ripartito con la slitta piena e la testa carica di dubbi. Perchè i regali li porta ai bambini, lui, ma li addebita sui conti correnti dei genitori.

Morale: davanti a due uomini potenti, vestiti di abiti un po' fantasiosi e rossi, scegliere, prima di tutto, l'uomo di chiesa anche se mi chiedo: a chi saranno elargiti i fondi? Con quali criteri? Perchè tanta generosità?

La nostra Costituzione dichiara, se non vado errata, che l'Italia è fondata sul lavoro, non sulla carità. Sarà perchè il lavoro rende liberi e la carità riconoscenti?

martedì 23 dicembre 2008

Terremotando

Stavo parlando al telefono con un'amica quando ho visto il gatto diventare una palla di pelo irta dalla paura, mentre un rumore sordo e un tintinnare di vetri si accompagnava a qualcosa di assolutamente insolito. Ero Pollicino che cercava di stare in piedi mentre qualcuno sbatteva il palazzo condominiale come se fosse un uovo di Pasqua. Per fortuna dura poco: pochi secondi. Altrimenti si morirebbe. Di paura. Nulla come il terremoto dà la sensazione dei tapini che siamo, della casualità dell'esistenza. Ricordo il terremoto del Friuli: abitavo a Trieste. Stavo scodellando la minestra: era maggio, il caldo era stato quasi estivo, soffocante per tutto il giorno, con un'aria ferma, quasi fosse in attesa. Era sera, l'ora in cui ci si siede a tavola. Mia figlia era dai nonni, a Udine. Mio marito stava tornando a casa: gli avevo comunicato che ero incinta.
Lo stavo aspettando quando sentii quel rumore sordo aumentare d'intensità, gonfiarsi..Pensai venisse dal mare. Corsi sul terrazzo e mi appoggiai alla balaustra. Cominciò a oscillare e con lei tutta la casa. Il boato cresceva d'intensità: con mio figlio in braccio volai fino alla porta d'ingresso, la spalancai. L'inquilino dell'appartamento di fronte al mio aprì la bocca per parlare, ma notai che muoveva soltanto le labbra. Forse pregava.
"Le scale sono le prime a crollare" pensai resistendo alla paura che mi avrebbe indotta a scendere in giardino, a scappare dalla casa che si sarebbe potuta tramutare in un groviglio di cemento frantumato e contorto.
Noi fummo fortunati: l'onda sismica si smorzò nel sottosuolo carsico, irto di grotte e doline, mentre Gemona - epicentro del sisma - crollava su se stessa, insieme a mezzo Friuli. Tanti morti, troppe case mal costuite in una zona sismica. Case tirate su con lo sputo.
Per fortuna - teniamo le dita incrociate - qui le case le hanno costruite con altri criteri.
Nonostante quello scricchiolio di ossa rotte non ho trovato una crepa. E' andata bene!.

Sei Laura o Falilulela?


Rido di sollievo ragazzi. Che fifa nera il terremoto!

lunedì 22 dicembre 2008

sabato 20 dicembre 2008

La neve danza


Si era alzata presto e aveva, per prima cosa, sbirciato oltre il vetro della finestra. Il bianco assoluto del paesaggio, coperto dalla neve, le aveva rimandato una sensazione di estraneità. Non una macchina aveva osato avventurarsi sulla strada e anche sul marciapide non doveva essere passato ancora nessuno. I fiocchi continuavano, incessanti, a scendere, sfarfalleggiando lievi.
Odiava la neve: la faceva sentire in trappola, segregata tra le quattro pareti del suo appartamento. Roteando le braccia a mulinello per riscaldarsi, andò in cucina, accese il riscaldamento e mise sul fuoco la moka. Qualcuno si muoveva nell'appartamento sopra al suo, ma la neve ottundeva i rumori, impadronendosi non soltanto delle cose, che riserrava nel proprio abbraccio gelato, ma anche dei rumori.
Comandava, spadroneggiava e, se fosse scesa la temperatura, avrebbe cristallizzato il paesaggio in un'istantanea di gelo. Allora sì, sarebbe stato un bel problema.
Il caffé borbottò, schiumando. Il calore dalla tazza si propagò allo stomaco, ma la sensazione di ottusimento mattutino permase. Ebbe la sensazione di essere osservata. Con la coda dell'occhio avvertì un movimento, quasi un guizzo, oltre il vetro della finestra.
Si voltò; sui vetri scivolava solo la neve, placida.
Si avvicinò alla finestra che il cortile del palazzo separava dalla strada. Piccole orme scure indicavano un passaggio: qualcuno aveva attraversato il cortile, giungendo fino sotto alla sua finestra, ma chi? Le orme erano minuscole, anche se sagomate in modo da non lasciare dubbi. Sembravano orme di bambino. Di nuovo ebbe la sensazione che qualcuno la guardasse e, per la seconda volta il cortile sembrò animarsi, quasi un bisbiglìo salisse dai tronchi, propagandosi alle siepi e ai roseti genuflessi sotto il peso della neve.
Aprì la finesta e si sporse, sospettosa. Tutto taceva e la neve, che continuava, incessante, a cadere, già ricopriva le piccolissime impronte.
Tintinnò, o fu soltanto una sua impressione?, un suono di campanelli.
" Manca soltanto che mi suonino Jngle bells..." pensò, richiudendo la finestra, mentre lo sguardo le cadeva sul davanzale dove un pettirosso intirizzito la fissava, apparentemente senza temerla. Immobile. Quando lo raccolse si rese conto che il gelo l'aveva ucciso. Era bellissimo, perfetto nella sua immobilità. Il vetro le rimandò la sua immagine: biondi capelli di grano incorniciavano il volto piccolo, dagli zigomi pronunciati. Negli occhi, chiarissimi, il gelo dell'inverno.
Rimase immobile, impietrita.
Si infilò il pettirosso sotto al maglione, vicino al cuore, e rimase in attesa.
Il frullo d'ali fu più lieve di un sospiro, ma lo gnomo lo percepì.
Lei sobbalzò e i campanelli tintinnarono festosi nella sua testa. Guardò fuori dalla finestra
e sentì sussurrare la neve, perchè, voi bambini ben lo sapete, la neve sussurra. E canta. Canta.
E, sempre - è inutile che ve lo ripeta - scendendo, danza.
Sussurra, canta e danza per la felicità dei bambini e di chi conserva, nell'anima, una traccia d'infanzia.

Viaggio di cuore

Ho letto un libro che mi è piaciuto molto. L'autrice, Marilena Monti, incentra la storia del protagonista, il poetico, incantato e fragile Ugo, professore di lettere in un liceo, sullo scontro/incontro del protagonista con sé stesso e sulla descrizione del viaggio, che quasi tutti, prima o poi, siamo costretti a fare alla ricerca di noi stessi. La motivazione dell'angoscia che deborda, travalicando i limiti della sostenibilità e obbligando il protagonista a escogitare ogni possibile tecnica di sopravvivenza, é un trapianto di cuore che, se inizialmente consente la creazione di un alibi, subito dopo non permette che a quell'alibi ci si aggrappi, facendolo a pezzi, scardinandone le fondamenta e travolgendo in questa furia anche il protagonista. Muri di parole, aspre e forti, si ergono a inutile difesa di una parvenza di vita ferita da dolori antichi e rancori incancreniti, mentre il viaggio diventa fuga e ricerca di un oblio irraggiungibile. La scrittura calda e piena, ricca fino all'opulenza, della scrittrice si fa serrata e incalzante, svelando non soltanto angoli di Sicilia ubriachi di sole, ma anche scelte e sentimenti, sprofondati a viva forza nel buio della dimenticanza che, riemergendo, a spizzichi e bocconi, di luogo in luogo, di ricordo in ricordo...
Non vi anticipo il finale. Imprevedibile!

venerdì 19 dicembre 2008

Quanto riserbo sul Trattato di Lisbona.

Non mi sento tranquilla. A Lisbona - in sordina - nasce un trattato, che assomiglia molto a una Costituzione di cui sembrerebbe costituire la premessa, e nessuno ne parla? Un territorio sempre più vasto da governare di cui si stanno decidendo le regole di governo, e nessuno che apra un dibattito?
A chi spetterà il potere decisionale?
Mi informo e scopro che ci saranno 27 Commissari, il Consiglio europeo e - volevi? - la Bce.
Scopro anche che i 27 in questione, per il momento uno per ogni nazione, diventeranno ancora meno, a partire da 2014. Dal che deduco che non tutti i paesi saranno eguali. Non saranno nemmeno necessariamente eletti dal popolo.
Saranno pochi, lontani e ...potenti.
E se a noi, poveri ma numerosissimi tapini (5oo milioni per l'esattezza), non dovessero andare bene?
Scopro che con un rimando ad altro documento si parla anche della pena di morte. La pena di morte! E, oltre alle missioni di pace, si prevedono missioni offensive. Ah, dimenticavo, approvato il "Trattato" di Lisbona sarà illegale manifestare contro l'Unione europea. Inoltre quanto stabilito a Lisbona potrà subire modifihe soltanto su parere unanime degli stati partecipanti.
La Francia e l'Olanda hanno bocciato con referendum popolare la Costituzione europea, ma i rispettivi governi hanno ratificato il Trattato di Lisbona che ne ricalca l'impostazione.
Secondo voi, un trattato, che stabilisce la prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, per quale motivo nasce circondato dal riserbo? Stanno cambiando le regole del gioco, approfittando della situazione attuale? Chiedono più ampi poteri per noi o per "loro"?
Non sarebbe il caso di saperne un po' di più?

Trattato di Lisbona- testo integrale
Trattato sul funzionamento della U.E. testo integrale

lunedì 15 dicembre 2008

Ci fecero credere che...

Ci fecero credere che saremmo entrati, calzati e vestiti, in una nuova età dell'oro. Dissero che ci sarebbe stata una moneta, l'euro, indenne da svalutazioni striscianti e men che meno selvagge. Aggiunsero che saremmo stati tutti eguali in un' Europa senza più guerre, senza inquinamento, senza disoccupazione.

Ci fecero credere che, come alternativa all'Europa, avremmo avuto il disastro, la balcanizzazione del Paese, miseria, inflazione e l'uscita dal consesso dei paesi più industrializzati.

Il mercato, per voce dei suoi sacerdoti (economisti e banchieri), tuonò e sussurrò, snocciolando numeri e elaborando rapporti. Il mondo dell'economia fu ancorato a terra da rigidi parametri che avrebbero assicurato il conseguimento di tutti gli obiettivi prefissati.
La nuova Bibbia venne redatta a Maastricht. E se qualcuno avesse osato "sforare" uno dei parametri? Come un angelo ribelle, sarebbe stato colpito da pesantissime sanzioni pecuniarie, prima, e allontanato dal Paradiso, poi e per sempre.

Non scesero nei particolari, troppo tecnici per il popolino, premurandosi però di far rientrare i trattati attinenti all'Unione Europea nell'ambito della politica estera, sottratta, in base alla Costituzione, alla volontà dei cittadini.

Abilissimi, fecero leva sull'immaginario collettivo richiedendo ai cittadini europei di mettersi in marcia, di andare, di affrontare i sacrifici e le fatiche del viaggio, facendoci sentire come i coloni americani in cammino verse il lontano West, alla conquista di verdi pascoli incontaminati.

Quando, alla prima sosta del nostro andare, ci fermammo a fare i conti fummo in grado di quantificare il costo dell'operazione. Salari e stipendi avevano dimezzato il loro potere d'acquisto, a vantaggio dei beni il cui valore, in euro, risultò raddoppiato.

Ma come? E l'Europa degli eguali? Questa Europa che si andava delineando ampliava, istituzionalizzandolo, il solco tra ricchi e poveri. Un brivido di paura serpeggiò lungo la schiena di molti dei 500 milioni di cittadini dell'Unione.
Ma era soltanto l'inizio.

I capi (pochi, sconosciuti e lontani), assisi a Bruxelles, cominciarono a emanare Direttive comuni. In tutti i campi si cercò di uniformare le regole, ma ogni Paese aveva la sua storia, le sue leggi, la sua lingua e le Direttive venivano recepite con difficoltà e attuate con Regolamenti difformi. Turbinarono nei cieli europei migliaia di documenti, mentre i parlamentari con le loro corti variegate di figli degli amici e mogli dei fratelli (emblematico il caso Bossi: figlio del senatur, respinto per la terza volta all'esame di maturità, ma ritenuto professionalmente e politicamente idoneo) dilapidavano patrimoni in trasferte e recuperi spese.

L'Unione Europea si realizzava compiutamente soltanto a livello monetario e finanziario-creditizio. Leggi e regolamenti, ispirati al principio della prudenza, venivano sostituita da un quadro normativo che consentiva alle banche un'operatività a ampio raggio, molto più redditizia ma estrememamente rischiosa. Il controllo sulle operazioni di borsa e sull'attività delle banche e delle società finanziarie diventava facilmente eludibile mentre nuovi e complessi strumenti venivano introdotti sul mercato a rivoluzionarne l'operatività. Oggi ci chiediamo perché. Forse perché chi aveva voluto l'Unione Europea non desiderava lacci e lacciuoli in campo finanziario? Forse perché era diventata la finanza il settore più redditizio e l'economia di carta il paese di Bengodi?

I problemi legati agli altri settori si liquidarono ricorrendo a una formula a effetto che accontentò tutti: era nata "l'Europa unita nella diversità".
In occasione della gravissima crisi finanziaria, abbattutasi prima sugli Usa e poi sull'Unione Europea, assistendo a summit dispendiosi - al termine dei quali è echeggiato soltanto il grido "Si salvi chi può" - abbiamo preso atto dell'inesistenza di un'Europa politica e della impossibilità, per alcuni stati membri (tra cui l'Italia), di rispettare i parametri di Maastricht.

E ora? Ora, abbiamo capito che il Trattato sull'Unione Europea è stato un libro dei sogni, che noi cittadini siamo stati ingannati e depredati per dare vita a un Far West finanziario, all'interno del quale siamo stati - nuovamente! - spennati come polli natalizi, da quelle stesse banche che, con tanta prosopopea, avevano sciorinato professionalità e lungimirante competenza.

Nel Paese, governato da una casta di burocrati ottusi, parassitari e avidi, una middle class impoverita, arrabbiata e priva di prospettive per i propri figli, esige delle spiegazoni.

Erano questi i verdi pascoli incontaminati?
Qualcuno ha barato al gioco. Pesantemente.
Coloro che hanno distrutto il futuro di una generazione, dovranno risponderne?
Oppure no?

venerdì 12 dicembre 2008

Precarietà sotto l'albero di Natale

Mamma smettila! E dai, finiscila!" La voce di mio figlio trasudava fastidio e irritazione.
"Tutto ciò che non riconquistiamo ogni giorno, ogni giorno lo perdiamo. Guarda cosa sta succedendo a livello sindacale. Stanno restituendo le tessere in massa e non capiscono che è un errore" risposi, didattica per deformazione professionale, continuando a stirare.
Uscì, sbattendo la porta.

Ripiegai la camicia. Nel mondo della scuola il sindacato CGIL non aveva mai avuto molto seguito ma, ora, da quando erano stati istituiti i Cobas, sindacati autonomi di categoria, e l'aggravio di ore di lavoro e di adempimenti si era fatto imponente, le tensioni si erano fatte palpabili. Ma erano stati i famigerati “accordi di Luglio”, con i quali CGIL, CISL e UIL avevano accettato, nel 1992, l'eliminazione definitiva della scala mobile a segnare un punto fondamentale di non ritorno.
Ricordavo Trentin con lo sguardo basso il giorno in cui, giustamente, presentò le dimissioni per aver siglato quell'accordo.

Un anno dopo i sindacati confederali si accordarono per un sistema di relazioni sindacali improntato alla collaborazione con le organizzazioni padronali. La chiamarono "concertazione", ma la musica non la scelsero più i lavoratori.
Gli iscritti avevano cominciato a restituire le tessere. Il sindacato s'indebolì. Io mi sgolavo a ripetere di resistere, criticando gli errori che erano stati fatti, ma dall'interno. I lavoratori si sentivano al sicuro: contratti a tempo indeterminato, ferie pagate, maternità tutelata. Assenze per malattia? Pure. Nella scuola non ti avrebbero licenziata anche se avessi passato le tue ore a giocare a carte con gli alunni. ( E qualcuno, anche se pochissimi, lo faceva)C'è un proverbio delle mie parti che dice: "Non tagliarti il naso perchè il sangue casca in bocca"

Criticare dall'interno, ma non lasciare trasparire nulla all'esterno. La dannata litigiosità della sinistra, idealmente migliore e quindi più delicata, vulnerabile, fragile...di fronte a chi, come il mercato al quale si assimila, fiuta soltanto l'odore dei soldi. Comprimere il costo del lavoro per guadagnare di più, ma soprattutto rendere il lavoro flessibile, farlo dipendere dai ritmi di produzione, dal volume delle scorte in magazzino, dalle innovazioni tecnologiche. Ma, Cristo, i bisogni di chi lavora non sono flessibili, almeno non quelli primari. Come il Titanic che si sollevò in diagonale, prima d'inabissarsi, la concertazione portò, in pochi anni a quella tragica legge che va sotto il nome di Legge Biagi, normativa che fece, in pochi minuti, piazza pulita di decenni di faticose conquiste sindacali. Ottima la pensata: data la difficoltà di licenziare trovarono il modo di evitare le assunzioni, istituzionalizzando la precarietà.

Ovviamente la legge fu salutata come validissima soluzione al dramma della disoccupazione.
Ti assumo - si disse al lavoratore - ma per pochi mesi; poi si vedrà. Il rinnovo del contratto ? Dipenderà. Da cosa? Da tanti fattori e qui il discorso si fece fumoso: sei incinta? E no ragazza mia! non ci si dà alla pazza gioia in pendenza di contratto a tempo determinato...Sei bravissima, ti sei impegnata allo spasimo? Hai anche un master? Appena il mercato lo consentirà, ti chiameremo. Grazie e arrivederci.

Grazie e arrivederci, ragazzi che avete pensato che le sicurezze fossero state conquistate una volta per tutte. Le certezze sono, come le banche americane, crollate una dopo l'altra. E non erano birilli. Sotto l'albero di Natale in confezione natalizia, quest'anno bombe a orologeria. A voi, ragazzi, il duro compito di disinnescarle.

giovedì 11 dicembre 2008

Quando c'erano le mie donne...

A chi ha la mia età capita di essere depresso? Capita, capita...ma, tanto.
Ma tanto perché?
Beh, per cominciare non devo tenere alto il livello del mio rendimento sul lavoro.
Infatti sono in pensione. Non rischio nemmeno di contagiare figli e/o mariti: per i fatti loro i primi, divorziata dal secondo; residente altrove il compagno. Se poi non troverò la voglia di farmi due spaghetti, mi farà soltanto bene: al giro vita e al portafogli.

Che siano le avanguardie del trauma da festività natalizia, nonché del rendiconto annuale del 31 dicembre che io, nonostante la mia laurea in economia, non riesco mai a far quadrare, e non soltanto perché il totale a pareggio "sballa"?

"Anno bisesto, anno malsesto" avrebbe sentenziato nonna Angela, che di angelico aveva solo il colore degli occhi, azzurri sì, ma capaci nei suoi momenti migliori di mandare bagliori d'acciaio. Eppure le ho voluto un gran bene e, soprattutto, l'ho ammirata. Donna coraggiosissima, capace di sfidare i benpensanti convolando a nozze con un uomo molto più giovane di lei, dopo aver risposto, ai familiari che la esortavano a riflettere: "El me piasi e me lo ciogo". Esempio perfetto di concisione e determinazione.

Fu lei, come ho già raccontato, a prendersi cura di me durante la guerra, barattando un vestitino da battesimo, ricamato a mano, con due limoni, nel tentativo di arginare una gastroenterite tossica che mi stava mandando al Creatore. Fu sempre lei che tanto fece, e tanto corse e protestò, che un ufficiale medico americano venne a visitarmi e mi salvò, sia dalla morte per dissenteria sia da quella per fame.

Forse perchè nata in guerra, forse perchè allontanata dai genitori piccolissima o, chissà, fatta rientrare in famiglia quando ormai mi ero abituata a considerare mia nonna una madre, io, le feste natalizie, non le ho mai potute sopportare.

Il "cessate il fuoco" di poche ore, giusto il tempo di scartare una maglia di tre misure più grande del dovuto, ringraziare per un libro sui funghi mangerecci (chiaramente riciclato), rimpinzarsi di caviale pseudo norvegese, panettone Bauli al cioccolato, brodo "in terza: cappone, gallina e?" per piombare, in preda alla depressione e appesantita dalla difficoltà di digestione, sul divano del salotto, a ruminare cibo e cattivi pensieri...Beh, mi sembra uno dei tanti modi escogitati dal bipede umano per rovinare la sua già grama esistenza.

Cattivissimi pensieri! dicevo. Almeno ci fosse la nonna o la mamma. No!, mi hanno piantata qui con le spalle scoperte a fare la nonnina 'Jingle bell'. E è già un miracolo che non mi bardino da Babbo Natale con tanto di barba, sacco di doni sulla schiena e aria paciosa, mentre con la voce in falsetto dovrei tentare, quasi sicuramente senza riuscirci, di fingere una voce da nonno buono.

Ci fossero almeno le mie donne a farmi compagnia... Nei momenti duri avevamo la capacità di riderci addosso. Nonna poi avrebbe cucinato come sapeva fare lei e ci saremmo ritrovate davanti ai fornelli a litigare sugli ingredienti, ognuna convintissima della validità delle proprie ricette. E mi avrebbero tirata su di morale sfidandosi in un crescendo di " I omini?" la nonna, e la mamma "Un pegio dell'altro", seguiti da "Meio sole che mal acompagnade" " te vol meter le done? " " La dona tien su tre angoli della casa e...l'omo? "
Nonnina avrebbe risposto: "Nianca un!" E poi il finale a effetto di mia madre - ripetuto, ma sempre valido - "El meio, coparlo!". E io avrei cominciato a ridere e mi sarei fatta
raccontare di quella volta, quella volta in cui...

Sono io, ormai, soltanto io la custode della memoria, diventata, come dice la chanson des vieux amantes, vecchia, ma ancora e ostinatamente non saggia, così poco saggia da immalinconirmi e deprimermi per una una ricorrenza alla quale dovrei aver imparato a dare la giusta valenza.
Dovrei: o viverla bene, tra cadeaux e canzoni di Natale, o sottrarmi alle aspettative, ai rituali, ai condizionamenti consumistici...Mah!

A proposito di "brodo in terza", dovrò chiederlo a mia figlia che, come abilità culinaria, te la raccomando. Beh, il quaderno delle ricette natalizie dove sarà mai? Se la custode della memoria... dimentica, siamo messi male! Mi rimane un dubbio: se buttassimo tutto all'aria? Se mangiassimo un panino e spiegassimo ai bambini che ...?
Non si può?
Non si potrebbe proprio'?

domenica 7 dicembre 2008

Il potere della scrittura.

Nella scrittura, cambiando la realtà ma secondo logiche consequenziali, si rappresenta una dimensione "altra", ma possibile. Realizzando un'ipotesi fantastica, si dà corpo e sostanza ai sogni, fornendo un'altra chiave di lettura e di comprensione della realtà.
Scrivere quindi non allontana dal mondo che ci circonda, ma ci restituisce al mondo con maggiori strumenti di analisi.
La speranza che si nutre di fantasia, realizzandosi anche solo sulla carta, non si traduce in illusione.
Se un uomo non avesse sognato di volare, mai nessuno avrebbe progettato un aereoplano.
Per questo credo, fermamente, nel potere salvifico della scrittura.

sabato 6 dicembre 2008

"Confesso che ho vissuto"

C'è un momento nella vita di ogni persona in cui ci si volta indietro, non una, ma due o più volte " a rimirar lo passo che..." E' in quel momento che cambia il nostro modo di considerare la vita? E' in quel momento che la percezione di avere, ormai, alle spalle la parte più importante e significativa della vita, si fa certezza, facendoci ripiegare, annoiati dai giorni a venire, su quelli appena trascorsi?
Ricchi di passato ma poveri di futuro, anche noi esclamiamo:"Confesso che ho vissuto".
L'ingranaggio della ruota immaginaria, che gira instancabile su se stessa, si è spostato di un dente appena, ma abbiamo già preso il posto che fu delle madri. La loro generazione, le donne passate attraverso la tragicommedia del fascismo e l'orrore della guerra, ha consegnato il testimone alla nostra, la generazione delle donne nate in guerra.
Una guerra della quale ho un solo, ma indimenticabile ricordo: una strada in fiamme - poi mi confermarono che fu uno dei primi, massicci bombardamenti alleati sulla stazione di Udine - urla, polvere nell'aria e fumo. Io, piccolissima, in braccio a mio padre, respiravo quell'odore aspro, indimenticabile, che mai più ho sentito: odore di morte, d'incendi e di case sbriciolate come biscotti. Nell'aria, urla: di uomini e sirene.
Mio padre, un pezzo d'uomo forte come un armadio, che tremava. Troppo presto capii l'impotenza dei genitori. Troppo in fretta crescono i figli di guerra.
Ricordo, ancora, lungo la strada che percorrevo per andare a scuola, a guerra ormai finita, le case sventrate, i pochi muri, crivellati dai fori dei proiettili, rimasti in piedi con le loro pareti dipinte di giallo e rosa e gli oggetti del vivere quotidiano fatti a pezzi, slabbrati e rotti, affioranti dalle macerie.
La violenza della guerra costrinse mia madre, che aveva un'altra figlia maggiore di un anno, a portarmi da mia nonna perchè, fuggire, a tutte le ore del giorno e dalla notte con quelle bambine piccolissime, in braccio o per mano, nei rifugi, era diventato impossibile.
Mia nonna abitava a Monfalcone. Quando i tedeschi, annettendo al Reich la Venezia Giulia, istituirono la Adriatisches Kustenland, e la guerra si fece feroce, i miei genitori non mi videro più.
Mia madre mi riabbracciò a guerra finita: seduta sulle ginocchia di un soldato americano, il suo elmetto in testa, tra due ali di folla in festa... Quando mio padre mi prese in braccio, scoppiai in lacrime, mormorando daddy al soldato americano. Fu lui a salvarmi portando scatolette di cibo e medicinali a mia nonna. I miei genitori non li ricordavo. Erano passati quasi due lunghi e terribili anni da quando mia madre mi aveva portata dalla nonna.
E' anche per questo motivo che odio la guerra, che - visceralmente - la detesto?

venerdì 5 dicembre 2008

Il diario è morto, viva il blog

Noi scribacchini del web - fino a pochi anni fa limitati nella nostra passione per la scrittura dall'esiguità di un foglio, dalla difficoltà delle correzioni ma, soprattutto, inchiodati alla segretezza dei nostri scritti - oggi abbiamo il blog.
Li ricordate i tempi oscuri in cui eravamo obbligati a fingere di aver dimenticato il diario aperto sulla scrivania, perché qualcuno ci mettesse il naso e leggesse quanto avevamo scritto?
Ci rammarichiamo,ora, di non avere commentatori ma, allora, alla lettura nessuno avrebbe potuto far seguire un commento. Tutt'al più qualche battutina sferzante e delle occhiate di sghembo.

Chi aveva questa mania, questa dipendenza dalla parola, scribacchiava, inoltre, ovunque gli capitasse: dalla grossolanità becera delle scritte vergate sulle pareti dei gabinetti, alla goliardia delle frasi incise sui banchi, alle disperate parole di commiato lasciate sui muri delle celle da chi pronto a partire, intuiva che non sarebbe più tornato... fino alla fantasmagoria di colori, alle lettere-disegno dei graffiti metropolitani, dove il bisogno di lasciare traccia di sé ha reso i muri grigi delle grandi città scenografie infuriate di giovanili disagi.

Se la scrittura è il varco che fa affiorare rabbia, dolore, angoscia ed ebbrezza, è il blog che accoglie e rende pubblico il tutto, facendo piazza pulita di una bugia conclamata, la bugia che vedrebbe colui che scrive farlo per sé stesso, per capire e capirsi. Oh no!, si scrive per essere letti e il blog, con le sue regole, i tag, l'iscrizione nei motori di ricerca e le altre mille diavolerie che sottintende, ha come obiettivo prioritario quello di dare visibilità all'autore.

Alcuni blogger piacciono più di altri, vengono letti e commentati da molti. Il blogger diventa una star della blogsfera. Un po' si esalta. A chi non succederebbe? La notorietà lo sfiora, ma ecco che un'altro blogger gli ruba la scena. Scatta la competizione e, se la concorrenza abbassa il prezzo e migliora il prodotto, anche i blog, in concorrenza tra loro, migliorano, o dovrebbero migliorare, lo stile, la grafica e i contenuti.

Scrittori e scrittrici, che avrebbero riposto "nel cassetto" i loro romanzi, li mettono su internet, invitando al download. Nascono gli e-book. Si leggono gratuitamente notizie, commenti, favole, racconti e romanzi. Scricchiola sinistramente il potere degli editori.
Quali cambiamenti ulteriori ci aspettano?
Difficile dirlo, anche perchè, quasi in tutti i campi, le previsioni vengono smentite dai fatti. A mio avviso, questo bellissimo giocattolo per adulti che il blog è continuerà, imperterrito e ancora per molto tempo, a raccogliere consensi.
Leggete, se l'argomento vi interessa:Marco Freccero

giovedì 4 dicembre 2008

nostalgia

Avanti e indietro, trascinando la sua inquietudine,
la mia gatta miagola noia e voglia di uscire.
Oltre il vetro, un cielo di neve scende, opprimente,
a rinserrare giornate che il buio ingoia a bocconi e morsi,
strappandole alla luce che balugina incerta.
L'inverno mi esplode dentro, freddo come lama di coltello.
Tra poco, assurde come un belletto troppo acceso su gote casacanti,
risplenderanno le luminarie natalizie.
Sarà il primo Natale senza mia madre.